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DIFESA

Ritiro dall'Afghanistan, per guadagnare consensi

L'annuncio che l'Italia ritirerà le truppe dall'Afghanistan entro un anno è diventato l'ennesimo caso politico, perché la mossa del ministero della Difesa ha colto di sorpresa il resto del governo. Ma decisioni del genere servono solo a cercare consensi elettorali.

Politica 30_01_2019
Il ministro Trenta

Inutile negarlo, i ritiri dai conflitti servono a guadagnare consensi. Gli annunci poi, hanno l’obiettivo di guadagnare o cementare il consenso nell’immediato anche se il ritiro avverrà tra un anno.

Obama annunciò il ritiro delle forze da combattimento Usa da Kabul nel 2011 per guadagnare voti per un secondo mandato. Lo stesso sembra voler fare oggi Trump. L’annuncio di ieri del ministero della Difesa, punta forse a consolidare il consenso del popolo M5S da tempo in calo costante secondo tutti i sondaggi.

«Il ministro Trenta ha dato disposizioni al Comando operativo di Vertice interforze (COI) di valutare l'avvio di una pianificazione per il ritiro del contingente italiano in Afghanistan». Lo hanno riferito fonti della Difesa, aggiungendo che «l'orizzonte temporale potrebbe essere quello di 12 mesi». Alla missione Nato in Afghanistan (Resolute Support) l’Italia ha assegnato 800 militari in calo già programmato a circa 700: la missione costa attualmente circa 200 milioni annui ma dal 2002 l’Italia ha speso in Afghanistan quasi 10 miliardi in un’operazione costata la vita a 54 militari mentre altri 700 circa sono rimasti feriti o mutilati.

In Italia la questione assume i toni dell’ennesimo caso politico. La Farnesina fa sapere che non sa nulla del ritiro delle truppe da Herat e Kabul, per la Lega si tratta di valutazioni espresse dal ministro della Difesa perchè «nessuna decisione è stata presa». In soccorso di Elisabetta Trenta è giunto però Palazzo Chigi ammettendo di essere al corrente dell’iniziativa. In ogni caso il COI è normale che sviluppi piani per ogni evenienza legata alle missioni militari oltremare, incluso il ritiro anche in condizioni di emergenza.

Le opposizioni fanno notare che prima di un tale annuncio sarebbe stato meglio informare le Camere, specie tenuto conto che le missioni all’estero vengono approvate solitamente con larga maggioranza parlamentare. Persino il segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg, afferma che «è troppo presto per speculare sul ritiro» anche se non si può escludere che l’annuncio della Trenta rispecchi le informazioni raccolte in questi giorni negli USA dal sottosegretario alla Difesa, Angelo Tofalo, circa un rapido ritiro statunitense da Kabul che gode del consenso dell’opinione pubblica e dell’elettorato americano.

Il ritiro italiano (e quello di tutti gli altri contingenti Nato che schierano 8.500 militari in Afghanistan) è infatti legato alla decisione dell’Amministrazione Trump di dimezzare i 15mila militari americani in Afghanistan. Nelle stesse ore in cui a Roma si discuteva di ritiro da Kabul, americani e talebani hanno trovato un'intesa di principio per un accordo sulla pace in Afghanistan come annunciato dall'inviato americano, Zalmay Khalilzad. La bozza di accordo prevede l'impegno dei talebani a non far ridiventare il Paese un santuario di terroristi (come ai tempi in cui ospitavano Osama bin Laden e al-Qaeda) in cambio del ritiro delle forze militari occidentali.

Secondo una fonte americana la delegazione talebana ha chiesto tempo per discutere con la dirigenza del gruppo i termini dell’intesa che riguardano i negoziati diretti con Kabul e il cessate il fuoco ma il presidente Ashraf Ghani teme che a fare le spese dell’intesa Trump-Talebani sia proprio il governo (e le forze armate) afghano.

I precedenti in tal senso certo non mancano. Alla fine degli anni ’80, dopo il ritiro sovietico, il governo afghano filo-Mosca non resistette molto all’attacco dei mujaheddin così come i vietcong presero Saigon appena 16 mesi dopo gli accordi di Parigi del gennaio 1973 che consentirono a Richard Nixon di completare il ritiro delle truppe dal Vietnam. Ghani pretende «colloqui seri» con il suo governo dai talebani che finora hanno definito ogni governo di Kabul «fantoccio dei crociati».

Dopo 18 anni di guerra il ritiro dall’Afghanistan verrà accolto da tutti con sollievo ma nessuno avrà motivo di andarne fiero specie se il prezzo della nostra incapacità di combattere e vincere un conflitto prolungato anche se a bassa intensità, dovesse essere un ennesimo bagno di sangue a Kabul.