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LAUDATO SII

San Francesco e l'enciclica: istruzioni per la lettura

Il Papa che ha preso il nome dal santo di Assisi ce lo propone oggi come “modello” per «una sana relazione col creato come una dimensione della conversione integrale della persona». Così si legge nell'enciclica Laudato sii. In effetti, quella di S. Francesco fu una vera e propria conversione integrale. 

Creato 18_06_2015
San Francesco d'Assisi

Sui sentieri del bosco che incornicia il convento francescano della Verna è praticamente impossibile restare indifferenti. Capita anche al turista più svagato, lì la natura parla. Era l'estate del 1224 e frate Francesco si ritirò sul monte aretino per stare in silenzio e in preghiera con il Signore. Là «detergeva dall'anima ogni più piccolo grano di polvere», dice la Leggenda maggiore, e visse quella meraviglia per cui «il verace amore di Cristo» trasformò «l'amante nell'immagine stessa dell'amato». Preso dal desiderio di seguire fino in fondo il suo Signore, ricevette il dono delle stimmate. Francesco d'Assisi è stato quello che si dice un alter Christus, fin nella sua carne viva.

Il Papa che ha preso il nome dal santo di Assisi ce lo propone oggi come “modello” per «una sana relazione col creato come una dimensione della conversione integrale della persona». Così si legge nell'enciclica Laudato sii. In effetti, quella di S. Francesco fu una vera e propria conversione integrale, dell Cantico delle Creature, fino alle stimmate a La Verna, la sua è stata una sinfonia senza interruzione di continuità. «E proprio la sua inclinazione a vedere in Cristo il modello e il fine di ogni creazione», ha scritto il cardinale Giacomo Biffi, «lo porta a leggere il mondo come una serie di segni che gli parlano del suo unico amore, il Salvatore crocifisso». Per tutti gli uomini di buona volontà questo “modello” rimane come una figura colossale dentro le tante pagine dell'enciclica papale, e saltarlo a piè pari, come un pezzo di racconto un po' noioso, vuol dire non comprendere fino in fondo il senso delle parole del Papa. La figura di San Francesco d'Assisi deve interrogarci, perché, non a caso, lui conclude il Cantico delle Creature scrivendo: «Guai a quelli che morranno ne le peccata mortali!».

La prima parte dell'enciclica, in cui il Papa fa un excursus di «quello che sta accadendo alla nostra casa», è interessante perché passa in rassegna i guai che la natura sta passando oggi. Le cause di questi guai spesso trovano fonte nell'egoismo che abita il cuore dell'uomo, il quale fatica a rispettare il suo prossimo e quindi anche il creato. Per fare un esempio di quale sia il livello di confusione a cui si può arrivare seguendo l'egoismo del cuore, il Papa scrive che «non è compatibile la difesa della natura con la giustificazione dell’aborto» (n°120). Su alcuni argomenti dell'enciclica di carattere più strettamente scientifico, la scienza e la capacità di innovazione potranno fornire risposte, e bisogna rifuggire vagheggiamenti di un improbabile ritorno alla caverna, né strane ipotesi di stili di vita che finiscono per fare della natura quell'idolo che non è.

«Il culto ateo della natura», scrive ancora il cardinale Biffi nelle sue memorie, «finisce troppo spesso coll'essere disumano e disumanizzante», infatti, porta l'uomo a confondersi le idee su Dio, su sé stesso e perfino sulla scienza. A questo proposito Papa Francesco scrive in Laudato sii che «non si può sostenere che le scienze empiriche spieghino completamente la vita, l’intima essenza di tutte le creature e l’insieme della realtà. Questo vorrebbe dire superare indebitamente i loro limitati confini metodologici».

In fondo anche la questione sociale dettata dalla crisi ecologica, così come la definisce il Papa nell'enciclica, può trovare soluzione solo se c'è quella conversione integrale che passa dal «riconoscere i propri errori, peccati, vizi o negligenze, e pentirsi di cuore, cambiare dal di dentro» (n°218). Su questo punto l'enciclica papale, tutti potranno convenire, è consonante e in continuità con l'insegnamento tradizionale della dottrina sociale della Chiesa. Lo ha scritto Benedetto XVI in Caritas in Veritate, lo ha scritto più volte San Giovanni Paolo II, lo ha scritto anche Leone XIII nella famosissima enciclica sociale Rerum novarum: il dolore non mancherà mai sulla terra; perché aspre, dure, difficili a sopportarsi sono le ree conseguenze del peccato, le quali, si voglia o no, accompagnano l'uomo fino alla tomba. (n°14). Ecco perché, a conclusione del meraviglioso Cantico delle Creature, troviamo quel finale insolito del guai «a quelli che morranno ne le peccata mortali», ed ecco perché S. Francesco non può essere confinato al ruolo di una bella cornice dell'enciclica Laudato sii.

«La giustizia sociale», scriveva nel lontano 1945 il grande don Divo Barsotti, «deve essere la meta cui tende lo sforzo, la volontà di ogni cristiano che sinceramente voglia l'avvento del Regno di Cristo», ma troppo spesso «ci culliamo nel vano tentativo e nella speranza illusoria di un vero avvento della giustizia sopra la terra». Per questo «prima di volere e affaticarsi per una soluzione del problema sociale che, nel presente ordine umano, non potrà mai essere perfetta e definitiva, noi dovremmo volere e affaticarci per possedere una piena disponibilità di fronte a Dio». «Un San Francesco d'Assisi», concludeva Barsotti, «vale da solo infinitamente di più di molti riformatori sociali, non per quelle riforme sociali che più o meno direttamente può avere ispirato o compiuto, ma proprio per aver insegnato agli uomini (…) il cammino che conduce a Dio». Questo è il “modello” proposto nell'enciclica sulla custodia del creato, speriamo di non dimenticarlo.