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Santa Teresa, il mottetto che ricorda cos’è la musica sacra

La musica sacra cattolica ci ha consegnato dei capolavori. Tra questi il mottetto Sancta Mater Theresia a 7 voci di Domenico Bartolucci (†2013), creato cardinale da Benedetto XVI. L’opera venne commissionata al maestro per il quarto centenario della riforma teresiana e fu cantata ad Avila, secondo una pratica che si è ormai persa ed è segno della crisi di fede in cui viviamo

Cultura 15_10_2020

La musica sacra cattolica ci ha consegnato dei capolavori grandissimi, capolavori che formano la gloria e il vanto della nostra tradizione. Se pensiamo per esempio a tutto il repertorio eucaristico, oppure a quello in onore della Vergine Maria, o quello per le funzioni della Settimana Santa, possiamo veramente ammirare la grandissima varietà e ricchezza di cui siamo eredi. Purtroppo, al giorno d’oggi gran parte di questo repertorio è ignorato, e sostituito spesso da repertori dozzinali, ricalchi mal riusciti della musica commerciale.

Tra i repertori più ampi, oltre a quelli richiamati sopra, bisogna ricordare le musiche in onore dei santi. Anche questi formano una parte veramente consistente del repertorio sacro, un tesoro immenso che aggiunge all’attenzione dei fedeli un patrimonio di preghiere, antifone, canti che ci testimoniano le virtù dei grandi modelli nella fede. Tra questi vogliamo menzionare il mottetto Sancta Mater Theresia a 7 voci di Domenico Bartolucci (1917-2013).

Bartolucci è stato uno dei grandi protagonisti della musica sacra del nostro tempo, compositore e direttore di coro e già maestro della Cappella Musicale Pontificia detta Sistina per più di quattro decenni. Benedetto XVI, in onore delle sue grandi benemerenze in campo artistico e musicale, lo creò cardinale. Il maestro ha attraversato un tempo difficilissimo, portando su di sé la sofferenza e l’isolamento di chi continuava a credere nella missione alta della musica sacra.

Sterminata la sua produzione. Vogliamo soffermarci appunto su questo mottetto in onore di Teresa d’Avila (1515-1582), una delle più grandi sante nella storia della Chiesa e gloria dell’Ordine carmelitano. Nel testo viene detto: “Sancta Mater Theresia, respice in nos, et vide, et visita vineam istam et perfice eam, quam plantavit dextera tua”. È questa un’antifona tradizionale in onore della santa spagnola, anche se in altre versioni troviamo qualche piccola modifica nel testo, come per esempio “respice de coelo” invece che “respice in nos”. La troviamo citata anche nelle Divote preghiere alla serafica madre S. Teresa di Gesù da recitarsi nelli nove giorni prima della di Lei festa nella Vener. Chiesa del suo Ordine, Santa Maria della Scala, stampate a Roma nel 1811.

La composizione del maestro Bartolucci è stata raccolta nel suo sesto libro dei mottetti, pubblicato nel 1994. Nella prefazione di questo sesto libro Bartolucci tra l’altro affermava: “Spero con tutto ciò che anche questo sesto libro sia accetto e trovi benevola accoglienza, come gli altri via via pubblicati, da parte dei Colleghi Maestri di Cappella e di quanti amino e coltivino ancora la Musica Sacra”. È interessante l’uso che fa delle maiuscole, per sottolineare la dignità non solo della musica sacra ma anche di coloro che ad essa si dedicano. A quel tempo, il maestro era già molto amareggiato per la situazione oramai fuori controllo delle cappelle musicali e del ruolo della musica liturgica nel culto divino.

Il mottetto in questione fu commissionato a Bartolucci per il quarto centenario della riforma teresiana e fu cantato ad Avila durante la celebrazione commemorativa il 24 agosto 1962 dal coro della Cappella Sistina diretto appunto dallo stesso maestro. Santa Teresa d’Avila sentiva come urgente una riforma che riandasse all’essenza del messaggio carmelitano, come ci dice nel suo Castello interiore: “Noi tutte che portiamo questo sacro abito del Carmelo siamo chiamate all’orazione e alla contemplazione, perché in ciò è la nostra origine e noi siamo progenie di quei santi Padri del Monte Carmelo che in grande solitudine e nel totale distacco dal mondo cercavano questa preziosa perla della contemplazione”.

Questo desiderio di ritornare a una purezza del messaggio originario è lodevole, perché il tempo può certamente portare a delle incrostazioni che vanno accuratamente rimosse.

Riguardo al mottetto, vanno fatte alcune considerazioni. Esso nasce dalla pratica della commissione di opere musicali per grandi celebrazioni ed eventi religiosi. Questa pratica dava l’occasione di arricchire il repertorio della musica sacra con nuove composizioni, ma purtroppo si è andata perdendo. Ciò si può attribuire non a una mancanza di mezzi per commissionare nuovi lavori, ma piuttosto a una cattiva concezione del ruolo dell’arte e della musica nella nostra fede. Queste non hanno più un ruolo centrale com’era nel passato e sono emarginate, spesso vittime della tirannia delle mode.

Una seconda considerazione riguarda il numero di voci scelto dal maestro: sette. Un organico veramente importante perché significa che ci sono sette parti polifoniche reali. Questa cura e attenzione per la ricchezza dei mezzi musicali è un qualcosa che anche abbiamo perduto. Certo, bisogna dire che un brano così non è alla portata di tutti i cori. Può essere affrontato soltanto da cori che hanno raggiunto un certo livello artistico e tecnico. Ma anche questo è importante, in quanto spinge gli altri cori all’emulazione di questa eccellenza artistica, non verso sottoprodotti copiati dalla musica leggera.

La terza considerazione è un po’ più tecnica. Il mottetto, come detto, è a sette parti reali: soprani I, soprani II, contralti, tenori I, tenori II, baritoni e bassi. In questo brano il maestro usa da par suo una “tecnica a blocchi sonori”, che è frequente in composizioni con un numero elevato di parti reali. C’è un dialogo continuo fra le voci acute che sono le tre superiori e le quattro voci basse, le voci dal colore più grave, il coro maschile. Questo dialogo dà veramente l’idea di un continuo conversare fra terra e cielo, che impressiona grandemente l’animo del fedele.

La quarta considerazione riguarda la valorizzazione del patrimonio di preghiera tradizionale. Esistono migliaia di preghiere, antifone, inni, che sono praticamente oramai dimenticati. Quasi ogni santo ha queste preghiere, antifone, inni in suo onore e mantenerne la memoria viva attraverso nuove composizioni che usano questi testi potrebbe essere una cosa molto buona anche per aumentare la devozione. Se prima si ascoltava cantare Si quaeris miracula, si sentiva già la presenza di sant’Antonio di Padova. Mentre oggi, nella crisi di fede in cui viviamo, tutto questo è praticamente scomparso.