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TEOLOGIA E REDENZIONE

Scrutare i segni dei tempi e scoprire che non c'è il Covid

Secondo il linguaggio della teologia postconciliare il Coronavirus non può appartenere alla categoria dei segni dei tempi che si fondano invece sul dialogo positivo col mondo. La Chiesa riusciva meglio a leggere i segni dei tempi quando non conosceva ancora la moderna dottrina dei segni dei tempi perché valutava gli eventi storici, compresi gli eventi naturali dell’epidemia, alla luce della teologia della redenzione. Nella versione contemporanea dei segni dei tempi, invece, la Chiesa chiede solidarietà, coraggio, impegno: tutte cose molto buone, per le quali però è sufficiente la presidenza della Repubblica. 

Ecclesia 15_04_2020

La Chiesa ha elaborato e accolto negli ultimi decenni la dottrina dei “segni dei tempi”, che però non permette di leggere l’attuale epidemia come un segno dei tempi. Questo è un paradosso che va spiegato e da cui dipende una serie di incertezze, decisamente nuove rispetto al passato, che caratterizzano la Chiesa del coronavirus. Vediamo innanzitutto cosa si intenda oggi per segni dei tempi e perché l’epidemia da coronavirus non possa rientrare in questa categoria.

La concezione dei segni dei tempi è recente, non appartiene alla tradizione della Chiesa. Una sua anticipazione si ebbe con la Mater et magistra (1961) di Giovanni XXIII e il (discutibile) metodo del “vedere, giudicare e agire” lì teorizzato. Qualche accenno c’è anche nella Pacem in terris (1963), ma è soprattutto la Gaudium et spes (1965) del Vaticano II che assume questa nuova categoria, la fa propria e la consegna alla teologia postconciliare perché sia approfondita. Da allora non si contano le pubblicazioni sull’argomento, anche se il concetto, ben lungi dal venire in seguito chiarito, risulta invece piuttosto complicato. Dalla teologia più avanzata esso è oggi addirittura contestato, perché troppo arretrato rispetto alle nuove acquisizioni.

Secondo monsignor Fisichella, i segni dei tempi sono “eventi storici che riescono a creare consenso universale, tali per cui il credente è confermato nel verificare l’immutato e drammatico agire di Dio nella storia e il non credente è orientato a individuare scelte sempre più a favore di una promozione globale dell’umanità”.  Definizione piuttosto problematica, come si vede: il consenso universale è inabilitato a definire la verità e il bene e ancor di più l’agire di Dio nella storia, l’idea che Dio agisce nella storia va purificata da possibili significati storicisti dato che Dio è signore della Storia e non un suo agente, per il non credente è piuttosto difficile pensare alla promozione globale dell’umanità, che invece richiede un riferimento a Dio.

A parte le incertezze definitorie, nel concetto di segni dei tempi sono coagulate alcune idee di fondo che richiamiamo sinteticamente: Dio opera nella storia profana mediante eventi profani, per essere considerati segni dei tempi gli venti storici profani debbono promuovere la dignità dell’uomo e la giustizia, essi suggeriscono soluzioni umane ai nuovi problemi, il soggetto della loro interpretazione è il “popolo di Dio”, essi sollecitano la dottrina a cambiare e la dottrina a sua volta illumina i segni dei tempi in una relazione circolare, infine i segni dei tempi si fondano sul dialogo col mondo e quindi su una visione positiva del mondo stesso. Anche il fenomeno dell’ideologia gender è oggi considerato dai teologi cattolici un “segno dei tempi”.

Ora, tutti vedono che, date queste premesse, i segni dei tempi possono essere solo positivi, relativi ad un progresso, dato che, in qualche modo, sono le sempre nuove incarnazioni di Dio nella storia (Hegel ne sarebbe convinto sostenitore). Ma l’epidemia da coronavirus – da questo punto di vista - non è un evento positivo e di progresso ma negativo e di regresso. La dignità dell’uomo sembra essere calpestata sia dalla natura del virus sia da tante inadeguate risposte umane. La giustizia non sembra essere tenuta in conto: muoiono anche i bambini e molti operatori sanitari. Il dialogo col mondo è reso difficile perché ognuno si chiude nel proprio mondo. Per questo il coronavirus non rientra nella categoria dei segni dei tempi e mette in scacco la teologia contemporanea su questo punto per essa strategico.

Un tempo, quando non conosceva la nozione contemporanea di segni dei tempi, la Chiesa valutava gli eventi storici, compresi gli eventi naturali dell’epidemia e della fame che solo naturali non sono mai, alla luce della teologia della redenzione. In fondo era anche questo un modo di valutare i segni dei tempi, non però con i criteri del progresso, della giustizia umana e della promozione della persona, ossia con criteri solo umani, ma con quelli della perdizione e della salvezza, della volontà salvifica di Dio onnipotente che può permettere anche le epidemie e la fame vedendole nel suo piano provvidente di salvezza associata a Cristo sofferente. La Chiesa invitava a vederle anche da parte nostra in questa logica provvidenziale di fede e di carità ed è per questo che proponeva penitenza, non solo per i peccatori penitenti ma anche per gli innocenti, compresi i bambini, in una solidarietà spirituale che unificava la Chiesa intera, quella pellegrinante, quella purgante e quella esultante nella gloria.  

Nella versione contemporanea dei segni dei tempi, invece, la Chiesa chiede soprattutto coraggio, impegno, aiuto reciproco, solidarietà, attenzione ai più deboli, rispetto delle regole, riorganizzazione dei servizi sanitari… tutte cose molto buone, ma anche tutte cose umane per le quali è sufficiente la presidenza della Repubblica. Essa tende a chiedere questo perché il concetto attuale di segni dei tempi è storico e per combattere il negativo presente nella storia occorrono nuovi segni dei tempi, ma storici anche essi e quindi si rimane sempre sul piano orizzontale. A pensarci bene, la Chiesa riusciva meglio a leggere i segni dei tempi quando non conosceva ancora la moderna dottrina dei segni dei tempi.