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SCUOLA

Se contro l'odio il ministro propone parolacce

"Condivido" e il "Manifesto della comunicazione non ostile", un'iniziativa del Miur che ha coinvolto 30mila studenti, esprime molto bene il vuoto culturale ed educativo che caratterizza la scuola. Studenti intrattenuti con uno show a base di turpiloquio. Ma i giovani, davanti a proposte vere, sanno tirare fuori bellezza, passione e interesse. Chiedere a D'Avenia e Nembrini.

Educazione 17_05_2017
Il ministro Fedeli e Paolo Ruffini

“Condivido”, l’iniziativa proposta dal Ministero dell’Istruzione per la sensibilizzazione degli studenti contro il linguaggio d'odio in rete (Hate speech), insieme al lancio del "Manifesto della comunicazione non ostile" da adottare in tutte le scuole, alla presenza del ministro dell'Istruzione Valeria Fedeli, ha fatto parlare di sé. In realtà, però, la notizia l'ha fatta il linguaggio eccessivamente volgare usato dal conduttore dell'evento, il comico toscano Paolo Ruffini.

Venti regioni, mille scuole e 30mila studenti collegati in streaming per una conferenza avvenuta in contemporanea a Milano, Trieste, Cagliari e Matera. E' stato organizzato, racconta il Ministro, per presentare ai giovani il manifesto "che in fondo applica l'art. 3 della Costituzione, quello contro le discriminazioni di qualunque tipo, che tengo sempre sulla scrivania". "Da oggi è partita la circolare che lo invia a tutte le scuole". "Il Manifesto contro la comunicazione ostile, contro le parole dell'odio, va portato nelle scuole per consentire ai docenti, alle ragazze e ai ragazzi - ha aggiunto - di ragionare su cosa succede quando si discute usando parole ostili e si utilizzano parole che poi spingono a violenze e discriminazioni". 

Tra i 10 punti del Manifesto, presentato lo scorso febbraio alla presenza della presidente della Camera e già adottato in molte scuole italiane, ci sono concetti come, ad esempio, "virtuale è reale", "le parole danno forma al pensiero", "condividere è una responsabilità", "si è ciò che si comunica", "prima di parlare bisogna ascoltare" o ancora "le parole hanno conseguenze".

Non so davvero se valga la pena dire qualcosa di fronte a tanta astratta inutilità. Già l’iniziativa è di per sé l’espressione di quel vuoto culturale, educativo e ideale che caratterizza la scuola (e tanta parte della società italiana di oggi). Un vuoto che evidentemente si riesce a riempire solo con le parolacce… Ha ragione Ruffini, nel suo genere, essendo una delle massime espressioni della “comicità” del vuoto. Che cosa vuoi dire di fronte a una cagata (iniziativa) del genere? Lui ha immaginato che fosse necessario esprimersi così perché è necessario accorciare le distanze coi giovani, che si esprimono con le parolacce.

Ma di quali giovani parla? E quale umanità dei nostri giovani conosce? Non sa – no, non lo sa, e probabilmente non lo sa nemmeno il Ministro - che quegli stessi giovani, se messi davanti a un Alessandro D’Avenia o a un Franco Nembrini (solo per citarne due fra i tanti) sono capaci di tirare fuori dei tratti di bellezza, di passione, di genialità, di interesse per la cultura – quella vera - che non potremmo mai immaginarci? Proprio pochi giorni fa, intervistato, D’Avenia rispondeva così alla domanda sulla condizione odierna dei giovani:

«La cronaca ne parla come di una generazione allo sbando. Però la sera io riempio i teatri parlando di Leopardi e qualcosa significherà, vuole dire che forse c'è anche altro… Occorre un lavoro interiore… I giovani si aggrappano alle risposte credibili. Io parlo di un mondo difficile da affrontare ma, se lo ascolti, capisci dove sta la debolezza. Se a 14 anni trovi qualcuno che dice: "Guarda, tu hai un talento, comincia a impegnarti in questo", è chiaro che il meglio delle tue risorse non vanno sprecate nella distruzione, ma impiegate nella costruzione. Quando non c'è questo impegno (che sia il volontariato o lo sport) è chiaro che c'è un ripiegamento narcisistico su se stessi. Ed è facile che alcol e droghe diventino l'espressione di un'insoddisfazione».

E’ proprio necessario, allora, avvicinarli con le volgarità? Non sono forse, i nostri giovani (come tutti noi, del resto), naturalmente attratti dalla bellezza?

Il ministro crede davvero che basti un manifesto e una iniziativa buonista del cavolo per cambiare il modo di dialogare sui social? E in più, per farlo, invita (e sicuramente paga con denaro pubblico) un comico che della umanità dei nostri giovani – e probabilmente, poveretto, anche della sua - capisce poco. E così il Ministro va ad alimentare proprio ciò che vuole eliminare, mostrando ai giovani tutta l’incapacità che gli adulti di oggi hanno di proporre qualcosa di veramente solido – che non sia la solita “fuffa” buonista - per la loro vita.

Qualcosa che li appassioni, gli faccia desiderare (non “sognare” come dice qualcuno, ma desiderare) impegnarsi per cose grandi, che gli testimoni che è possibile vivere così e che è pure bello. Macchè. Gli fanno il predicozzo a metà fra la psicologia della comunicazione e il manuale delle buone maniere, travestendo il tutto da manifestazione ad alta tecnologia. E i giovani si incavolano; ed esprimono il loro disagio anche con la violenza delle parole. Talvolta, purtroppo, andando anche oltre.

Il ministro Fedeli ha persino affermato che ''Il manifesto contro l'hate speech lo devono studiare anche gli adulti''. Ma siamo matti? Piuttosto mi dimetto o mi faccio licenziare.

Non saranno i concetti astratti, né i predicozzi moralistici, e nemmeno le iniziative buoniste calate dall’alto a cambiare la situazione. E’ necessario incontrare testimoni autentici della bellezza e della bontà, capaci di far sobbalzare innanzitutto il cuore e dunque la mente. E di conseguenza la parola.
La scuola, da questo punto di vista, avrebbe una potenzialità enorme e quindi un compito importantissimo. Ma è stata sacrificata sull’altare della burocrazia, del sindacalismo e del relativismo, e il massimo che oggi riesce a fare è una iniziativa come “Condivido”, inutile se non dannosa.

Accidenti, ho costruito un muro anche oggi!