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DECRETO CONTROVERSO

Se l'azienda è responsabile anche dei contagi di Covid

La pandemia sta ponendo frequenti problemi al diritto. Si parla in molti campi di rinegoziazione delle clausole contrattuali. C'è una bomba pronta ad esplodere nel mondo delle imprese ed è quella della possibilità che siano i datori di lavoro a rispondere degli eventuali contagi da Covid-19 dei propri dipendenti. Urge una maggior chiarezza

Economia 16_05_2020
Preparativi per le riaperture

La pandemia sta ponendo frequenti problemi al diritto. Si parla in molti campi di rinegoziazione delle clausole contrattuali. Lo smart working, ad esempio, sta mettendo in crisi le tradizionali categorie del diritto del lavoro e c’è una crescente spinta verso il riconoscimento del diritto alla disconnessione del lavoratore, che altrimenti rischia di essere sempre reperibile e di veder dilatato all’infinito il suo orario di lavoro.

Ma c’è una bomba pronta ad esplodere nel mondo delle imprese ed è quella della possibilità che siano i datori di lavoro a rispondere degli eventuali contagi da Covid-19 dei propri dipendenti. Infatti, la somma fra il decreto Cura Italia (art.42, comma 2, decreto legge 17 marzo 2020, n.18) e una circolare dell’Inail, la n.13 del 3 aprile 2020, fa ricadere sui vertici dell’azienda le responsabilità civili e penali di eventuali contagi da Coronavirus dei dipendenti. Allo stato attuale, ovunque avvenga il contagio, ne risponde l’azienda, anche se avesse adottato scrupolosamente tutte le misure di sicurezza. Facile immaginare quanti lavoratori userebbero questa opportunità per rivendicare tutele aggiuntive e risarcimenti danni.

Le aziende annaspano e molte di esse non riapriranno, perché con le nuove norme sul distanziamento non troveranno conveniente farlo. Se a ciò si aggiungono anche tali rischi sul piano del diritto del lavoro, tutto diventa più complicato e disincentivante. Su questo punto il mondo imprenditoriale è compatto, senza distinzioni. Non è di buon senso equiparare un contagio da Covid-19 a un infortunio sul lavoro. L’equivoco tuttavia è nato dai dati dell’emergenza. I contagiati denunciati all’Inail tra la fine di febbraio e il 4 maggio sono stati 37.352, i casi mortali 129. Ma il 73,2% delle denunce e quasi il 40% dei casi mortali di Coronavirus riguardano il settore della sanità e assistenza sociale. Dunque sono stati soprattutto infermieri, medici e categorie rimaste in prima linea fin dall’inizio della pandemia a pagare il prezzo più elevato. E quando si è trattato di essere solidali con il personale maggiormente esposto al contagio, giustamente è stato accordato a quelle categorie l’infortunio sul lavoro, con un risarcimento Inail rapido rispetto alle condizioni di malattia riconosciute dall’Inps. Ma se è verosimile che molti medici e infermieri si possono ammalare sul luogo di lavoro e probabilmente non si ammalerebbero di Covid-19 se non andassero negli ospedali, altro ragionamento va fatto in generale.

Per tutti gli altri lavoratori, che gradualmente stanno tornando nelle fabbriche e negli altri luoghi di attività, e ci si riferisce anche ai milioni di professionisti e lavoratori autonomi, occorre sancire il principio che i datori di lavoro devono approntare tutte le misure di sicurezza e ottemperare a tutte le indicazioni presenti nei protocolli, ma poi se un lavoratore si contagia la colpa non potrà ricadere su di loro. Peraltro, visto che il periodo di tempo che intercorre tra il contagio ed il manifestarsi dei sintomi può arrivare fino a 14 giorni, e che ci sono tanti contagiati asintomatici, risulta estremamente difficile sostenere per il lavoratore che si sia contagiato con certezza all'interno della sede di lavoro. Sarebbe difficile escludere altre possibili cause di contagio, quali la vicinanza ad altre persone positive nei luoghi di aggregazione, come supermercati o mezzi pubblici, o altrimenti il contatto con familiari conviventi contagiati.

Tuttavia c’è il rovescio della medaglia, e cioè il rischio che alcuni datori di lavoro, proprio in considerazione della molteplicità dei luoghi nei quali i lavoratori potrebbero contrarre il virus, decidano di allentare le misure di sicurezza in azienda. Di fronte alle dichiarate perplessità del mondo imprenditoriale, l’Inail si è affrettato a chiarire ieri sera che «l’infortunio sul lavoro per Covid-19 non è collegato alla responsabilità penale e civile del datore di lavoro» e che «il datore di lavoro risponde penalmente e civilmente delle infezioni di origine professionale solo se viene accertata la propria responsabilità per dolo o per colpa». Ma i dubbi restano e ogni caso sarebbe diverso dall’altro, con inevitabili strascichi in termini di contenzioso.

La verità è che urge un’iniziativa di Governo e Parlamento, da concertare nel più breve tempo possibile, al fine di non disincentivare le aziende che stanno cercando di ripartire. Va ricordato che gli stabilimenti per riprendere la produzione devono adeguarsi ad impegnativi protocolli di sicurezza, sostenendo costi aggiuntivi, difficilmente recuperabili, considerato il fermo dei mesi scorsi e la riduzione della capacità produttiva legata proprio a questi adempimenti che inevitabilmente rallentano i processi. Anche il Ministro dello sviluppo economico, Stefano Patuanelli, si è detto convinto che una soluzione debba essere trovata, per il bene delle imprese e del sistema Italia. Ma occorre fare presto, altrimenti si perderà altro tempo prezioso nella ripresa della produzione di beni e servizi.