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PROVE TECNICHE DI REGIME

Sembra il "Lercio" ma è la norma sulle fake news

Prove tecniche di regime. Il Ddl sulle cosiddette fake news punta a reprime le campagne mediatiche miranti "a fuorviare settori dell'opinione pubblica, attraverso informazioni intenzionalmente tendenziose o false, l'istigazione dell'odio contro singoli individui e anche attacchi personali, spesso in ambito politico". Così ogni opinione espressa pubblicamente contro il mainstream sarà sanzionabile.  Possiamo lasciare che questo accada senza che nessuno si faccia sentire?

Politica 21_02_2017

Sembra il Lercio.it, talmente è esilarante. Invece è il Ddl 2688 “Disposizioni per prevenire la manipolazione dell'informazione online, garantire la trasparenza sul web e incentivare l'alfabetizzazione mediatica”, ovvero il testo sulle fake news, per capirci quelle che sono diventate un allarme sociale planetario dopo l’elezione di Donald Trump.

«Onorevoli senatori – così si apre la relazione di presentazione – tra i capisaldi di ogni sistema democratico risiedono, al contempo, la libertà e la credibilità dell'informazione, che rappresentano, a loro volta, l'essenza del giornalismo, il cui primo dovere è nei confronti della verità». Apparentemente siamo in presenza di  un testo che riguarda il giornalismo, il testo prosegue infatti con le tappe della storia dei mezzi di comunicazione, da Gutenberg al web, sottolineando che «se l'informazione diventa disinformazione i mezzi di comunicazione di massa possono essere utilizzati a fini di propaganda». Invece no.  Non si parla stampa, bensì della diffusione dei social media e del pericolo di «contaminare internet con notizie inesatte e infondate o, peggio ancora, con opinioni che seppur legittime rischiano di apparire più come fatti conclamati che come idee». Ma cosa è un’opinione che rischia di apparire più come fatto conclamato? E perché mai è addirittura peggio di una notizia inesatta e infondata?

Si legge ancora: «L'Assemblea parlamentare del Consiglio d'Europa ha, a questo proposito, osservato con preoccupazione il numero di campagne mediatiche online miranti a fuorviare settori dell'opinione pubblica, attraverso informazioni intenzionalmente tendenziose o false, l'istigazione dell'odio contro singoli individui e anche attacchi personali, spesso in ambito politico, volti a minare il regolare svolgimento dei processi democratici». Ma che cosa sono le informazioni intenzionalmente tendenziose? Cos’è una campagna mediatica online mirante a fuorviare settori dell'opinione pubblica? Cosa si intende per minare il regolare svolgimento dei processi democratici? Ma soprattutto, questo è veramente un Disegno di legge  o piuttosto una candid camera per vedere se sappiamo riconoscere una cosiddetta fake?

Ma è qui che il comico e il tragico iniziano a intrecciarsi. Vengono fatti riferimenti diretti a Francia e Germania che hanno avviato «programmi specifici volti a verificare l’attendibilità  delle notizia che circolano sul web». Su internet, si legge ancora, «chiunque può dire quello che vuole, per la più che legittima libertà di espressione, ma se il pubblico di internet prende per buono e fondato qualsiasi cosa circoli online, senza più distinguere tra vero e falso, il pericolo è enorme. In particolar modo quando i temi trattati riguardano aspetti sensibili della società come, per esempio, la sanità e soprattutto se le opinioni si mescolano in maniera indistinta ai fatti».

Sanità? Francia? Opinioni che si mescolano in maniera indistinta ai fatti?  Vuoi vedere che anche in un testo redatto male e spiegato peggio, viene fuori l’intenzione di fondo? Nella terra della liberté infatti qualche giorno fa il reato di «tentativo di intralcio all’interruzione volontaria della gravidanza» è stato esteso anche ai siti internet che «spacciandosi per siti di informazione» – così scrive l’Ansa –  «danno in realtà  notizie di parte sulle conseguenze dell’aborto».  Per capire cosa si intenda, anche in questo caso è utile andare a leggere il rapporto della Commission des affaires sociales sulla proposta di legge – registrato il 23 novembre scorso, in piena discussione del testo. Affermare che tra le conseguenze dell’aborto ci siano incubi, stati di malessere, angoscia, tentativi di suicidio rientra nelle «notizie di parte», così come il «focalizzarsi sui rischi: emorragie, embolie, sterilità» . È scritto poi nero su bianco che alcuni siti, si fanno nomi e domini dei principali siti pro life d’oltralpe, «orientano le scelte» o ancor peggio «hanno uno scopo dissuasivo». Ma quindi il reato è diffondere notizie false oppure avere uno scopo dissuasivo? E soprattutto, che fine fa la liberté d’espressione? Il legislatore francese ha pensato a tutto, e se durante la discussione in commissione mette nero su bianco il rimando all’articolo 9 della Convenzione europea di salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, che spiega che la libertà d’espressione «può essere limitata da misure necessarie alla protezione della sanità o dei diritti altrui», nella relazione finale del testo vero e proprio – depositato il 16 febbraio scorso -  si legge che «istillare nella donna un dubbio che le impedisca di prendere in tutta serenità la sua decisione [di abortire ndr.] costituisce chiaramente un ostacolo al diritto delle donne di disporre del proprio corpo».

Fin troppo somigliante al testo sulle cosiddette fake news italiano, che prevede che una multa fino a 5 mila euro per «chiunque pubblichi o diffonda» online «notizie false, esagerate o tendenziose che riguardino dati o fatti infondati o falsi». Se poi la fake news è tale da «destare pubblico allarme», o «fuorviare settori dell’opinione pubblica», si aggiungono ai 5 mila euro di multa anche un anno di reclusione. Quando poi si promuova una «campagna d’odio» o si arrivi «minare il processo democratico, anche a fini politici», gli anni di reclusione diventano due e l’ammenda sale a 10 mila euro. Ma chi stabilisce che una notizia è falsa, esagerata o tendenziosa? E come?

Il Ddl – i cui primi quattro firmatari sono Adele Gambaro (ALA), Riccardo Mazzoni (ALA) , Sergio Divina (Lega Nord), Francesco Maria Giro (FI – Pdl) – stabilisce poi che chiunque apra un sito, un blog, o un forum o una qualsia piattaforma «destinata alla pubblicazione e diffusione on line di informazione, debba comunicare entro quindici giorni tramite posta elettronica certificata al tribunale competente il proprio nome, cognome, domicilio, codice fiscale» consentire evidentemente l’obbligo di rettifica  di eventuali affermazioni non false, bensì «ritenute lesive». Da chi? Dal ministero della verità che verrò istituito dal legislatore?

Comunque per assicurare che no, la libertà d’espressione non è in pericolo, il testo introduttivo al Ddl spiega ancora che non si tratta di sanzionare «idee e di convincimenti di carattere privato o di una mera estrinsecazione verso terzi di opinioni personali, né di meri commenti di carattere personale, ma di eventuali campagne finalizzate o comunque in grado di nuocere agli interessi pubblici e finanche al corretto esercizio del processo democratico, così come stabilito dalla Costituzione». Campagne in grado di nuocere agli interessi pubblici. Quindi non c’entrano nulla, le fake news, le bufale, le notizie esagerate o tendenziose, il punto è tutto qui: zittire le voci contrarie al pensiero unico.

Guarda caso il Ddl 2688 spiega poi che i professionisti dell’informazione sono esenti da questo provvedimento poiché i giornalisti «nell’esercitare il diritto di cronaca, per evitare di incorrere in sanzioni civili o penali, si devono attenere scrupolosamente a regole molto stringenti». E questo sulla carta è senz’altro vero, ma è sotto gli occhi di tutti l’oceano di parole che ogni giorno vengono dette e scritte sui temi più diversi in cui si cerca di influenzare l’opinione pubblica. Un esempio su tutti, diventato virale negli ultimi mesi, è quello di Giovanna Botteri, inviata Rai negli Stati Uniti che dopo la vittoria di Donald Trump alle presidenziali, in diretta nazionale ha affermato: «Non si è mai vista come in queste elezioni una stampa così compatta e unita contro un candidato», ecco, non sembra siano arrivate notizie di sanzioni su questo caso e nemmeno si è letto o sentiti di giornalisti in qualche modo richiamati per aver pubblicato «notizie esagerate e tendenziose». Quindi, perché usare la scure con i semplici cittadini?

Insomma, a differenza del Lercio.it, qui c’è poco da ridere perché le conseguenze sono facilmente immaginabili. Condividere online un articolo contro la mercificazione dei bambini attraverso l’utero in affitto potrà essere considerata da qualcuno «una campagna d’odio»? E chiedere pubblicamente la chiusura dell’Unar  che coi nostri soldi finanza associazioni che promuovono incontri sessuali – spesso a pagamento – tra uomini può essere considerato «nocivo per gli interessi pubblici»? Affermare che il testo sul cosiddetto testamento biologico apre all’eutanasia omissiva sarà punibile con il carcere? E organizzare on line una mobilitazione contro questa legge mortifera il cui iter avanza a passo spedito? Se il Ddl Scalfarotto sulla cosiddetta omofobia è uscito dalla porta, grazie ad una resistenza fuori e dentro il palazzo, qualcosa di ben più inquietante sta rientrando dalla finestra, poiché abbraccia la libertà di esprimersi su qualunque cosa. E ogni opinione espressa pubblicamente contro il mainstream sarà sanzionabile.  Possiamo lasciare che questo accada senza che nessuno si faccia sentire? Se non noi, chi?