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L'INTERVENTO

"Senza un Creatore anche la politica perde speranza"

 “Senza il riferimento al Creatore, l’ordine naturale si indebolisce e poco a poco viene perso di vista”. Sono le parole dell'Arcivescovo Giampaolo Crepaldi che ha presentato in Senato il libro di Benedetto XVI Liberare la libertà. "La politica può essere ancora fonte di speranza e la fede è in grado di trasfondere anche nella vita politica un realismo cristiano. Non chiudendo gli occhi davanti alla realtà, anche nelle sue forme più crude e nel non cessare di confidare nell’aiuto di Dio, che è il Signore della storia".

Attualità 12_05_2018

Liberare la libertà. Fede e politica nel terzo millennio (Cantagalli, Siena 2018, il nuovo volume di Joseph Ratzinger/Benedetto XVI, è stato presentato a Roma, venerdì 11 maggio, con inizio alle ore 18, presso la Sala Zuccari di Palazzo Giustiniani. Dopo un indirizzo di saluto del Presidente del Senato Maria Elisabetta Alberti Casellati, sono intervenuti: l’arcivescovo Georg Gänswein, prefetto della Casa Pontificia e segretario particolare del Papa emerito, il presidente del Parlamento Europeo Antonio Tajani, l’arcivescovo di Trieste Giampaolo Crepaldi. L’incontro è stato moderato dar Pierluca Azzaro, curatore del volume, che contiene una prefazione di Papa Francesco e un testo inedito del Papa emerito Benedetto XVI. Pubblichiamo qui di seguito il testo integrale dell’intervento dell’Arcivescovo Giampaolo Crepaldi.

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Nel libro che abbiamo l’onore di presentare oggi convergono tre Pontefici e questo lo rende veramente singolare e di grande interesse. Ci sono alcuni testi scelti del teologo Joseph Ratzinger, insieme ad alcuni suoi insegnamenti espressi durante il suo Pontificato. C’è la prefazione di Papa Francesco. E c’è anche un rinvio, implicito, a san Giovanni Paolo II. Infatti, il titolo “Liberare la libertà” del volume è ripreso dal paragrafo 86 della Veritatis splendor ed esprime il senso e gli intenti dell’intera enciclica sulla morale. Questa “convergenza” è, come dicevo, di grande interesse perché segna la continuità e nello stesso tempo la novità – la novità nella continuità, si potrebbe dire – degli insegnamenti della Chiesa sul tema dei rapporti tra la fede e la politica.

La politica, la morale, la fede: questi sono i tre termini che fanno da cornice ai contenuti del libro e che, occorre riconoscerlo, costituiscono il quadro dell’intera Dottrina sociale della Chiesa. La politica ha bisogno della morale. Essa non è direttamente morale, perché ha una sua legittima autonomia di criteri e di metodi. Però non può prescindere dalla morale, come testimoniano i comuni cittadini che sono spesso molto rigorosi nel giudicare la politica proprio dal punto di vista etico, e come testimoniano anche gli uomini politici che sentono sempre il bisogno di giustificare secondo il bene e la giustizia le scelte che operano. Non c’è uomo politico che non presenti come “buona” e “giusta” l’azione che sta per intraprendere. Anche il raggiungimento di obiettivi di ordine materiale – per esempio di carattere economico o produttivo – in politica assume sempre anche una giustificazione legata al bene comune. Su quest’ultimo si hanno visioni spesso diverse, ma ciò non impedisce ai politici, per primi, di appellarvisi nella giustificazione delle loro scelte. E proprio questo dimostra che la politica, pur essendo autonoma, non si fonda da sé. Cerca la sua ultima legittimità non nei risultati raggiunti né, a ben vedere, nel mandato elettorale, ma nel bene comune, ossia di tutti e di ciascuno, che essa è chiamata a realizzare.

Oggi viviamo in un contesto di pluralismo etico. Però tutti ci riconosciamo in alcuni principi morali di fondo, che sono anche presenti nella nostra Costituzione repubblicana. Ciò significa che si tratta di un pluralismo “inquieto”, che da un lato sente il richiamo della libertà, ma nello stesso tempo avverte l’attrattiva per la verità. Non è per caso che la stessa discussione politica tocchi spesso tematiche di grande significato etico, non solo di morale individuale ma anche di morale pubblica. Non è questo il segno di un pluralismo “inquieto”? Pluralismo che testimonia, pur nel conflitto delle interpretazioni e delle valutazioni, che la politica non basta mai a se stessa e che i politici sono lì anche per qualcosa d’altro dalla politica. E che proprio questo – il fatto di essere a servizio di altro da sé - dona alla politica la sua ultima dignità.

È a questo punto che entra in gioco la fede, la quale apre sia alla politica che alla morale delle finestre che esse non sarebbero in grado di aprire da sole. Nella vita umana tutto ha bisogno di essere salvato dai pericoli di involuzione che porta con sé. Se la politica assolutizza se stessa si trasforma in tecnica o in ideologia. Se la morale assolutizza se stessa diventa una serie di divieti legalistici. Il respiro della fede cristiana può aiutare l’una e l’altra - non rendendole esse stesse fede, ma, lasciandole nella loro legittima autonomia - offrendo loro però un fine ulteriore, una spinta della coscienza verso l’alto e verso il largo, eco di un richiamo da oltre e verso un oltre. Da ciò non può derivare nessun danno né alla politica né alla morale, che non vengono negate, ma confermate e, potremmo dire, “fatte respirare meglio”.

Mi sono soffermato su questi tre passaggi – la politica, la morale, la fede cristiana – perché questo loro rapporto di reciproca “purificazione” rappresenta uno dei punti più interessanti degli insegnamenti di Benedetto XVI in questo libro, qui confermati da Papa Francesco. Infatti, non è solo la fede a purificare la politica e la morale, ma anche il contrario. Si tratta di una circolarità virtuosa. Nel famoso dibattito del 2004 con Habermas, il cardinale Ratzinger notava che il nichilismo politico ha bisogno della purificazione della fede così come il fondamentalismo terrorista ha bisogno della purificazione della ragione. Tra ragione e fede c’è circolarità.

La vita politica dei rappresentanti del popolo, le scelte dei legislatori deputati a ciò dalla volontà popolare, rappresentano un alto ruolo istituzionale, ma con ciò non sono esenti dai problemi di coscienza, anzi – se così si può dire – questi problemi qui sono ancora più centrali. Nell’opera che oggi presentiamo sono presenti anche Sant’Agostino e il Cardinale Newman, autori molto amati da tutti e tre i Pontefici coinvolti in questa pubblicazione. I due grandi pensatori, come ben sappiamo, hanno indagato a fondo la coscienza umana, offrendo spunti impareggiabili anche per la coscienza del politico. La coscienza è l’ultimo tribunale per il nostro agire, ma non è l’unico. Benedetto XVI ci ha insegnato che la coscienza ha bisogno di una autorità che metta in moto la sua anamnesis, il recupero più profondo della sua storia e delle proprie motivazioni. Il motivo ultimo per cui c’è bisogno della autorità è che essa induce questo processo di verifica continua della coscienza con se stessa.

Ecco perché nella Chiesa c’è l’autorità ecclesiastica, ed ecco perché nella società e nella politica esiste un’altra autorità che consiste nella verità. Il tribunale della verità al quale Socrate intendeva sottoporre i suoi stessi giudici. Quando la coscienza, anche quella dell’uomo politico, rientra in se stessa e si concede al processo dell’anamnesis – spiega Benedetto XVI – essa incontra la verità, che abita in interiore homine, la verità che unifica mentre le opinioni dividono. La politica è attività e talvolta attivismo, ma nello stesso tempo sente il bisogno di questo sguardo interiore, perché la verità è conosciuta sia dall’intelletto che dal cuore. Papa Francesco, nella Prefazione al libro, indica molte di queste verità che anche per la politica devono rimanere tali: il rispetto della vita, la tutela della famiglia, la ricerca della giustizia per tutti. La coscienza personale è in grado di vederle anche quando, nell’agone politico, essa subisce scossoni e strattoni, e quando lo fa si accorge che non lo fa solo con l’intelletto ma anche con il cuore.

Nella sua Prefazione, Papa Francesco insiste molto a segnalare l’importanza di uno sguardo di amore. In fin dei conti, anche il riconoscere la dignità della persona, il valore della famiglia, della vita umana, dell’educazione dei giovani secondo il bene e la virtù … sono atti d’amore, di amore per la verità delle cose che precede i Parlamenti e le Costituzioni. C’è qualcosa che precede la politica – come già ho detto in precedenza – e il tenerne conto da parte della politica non implica una sua diminuzione, ma il riconoscimento del suo onore e della sua vera dignità. Nel famoso discorso al Bundestag di Germania, tenuto da Benedetto XVI nel 2011, si diceva appunto che la maggiore virtù del politico è quella chiesta da Salomone a Dio: la saggezza di saper guidare gli uomini nel bene, perché la politica non è amministrazione di cose ma governo di uomini.

Il libro ospita anche un inedito di Benedetto XVI sul tema dei diritti umani e del loro fondamento, segnalando il pericolo che la moltiplicazione dei diritti porti con sé la distruzione dell’idea di diritto, processo questo che credo sia evidente ai nostri giorni. I diritti umani appartengono all’uomo come soggetto di diritto, ma per la loro legittimazione presuppongono i doveri che derivano dall’ordine naturale finalisticamente inteso. In molti casi i diritti vengono invece assolutizzati e, quindi,  infinitamente moltiplicati.

Ci si chiede perché ciò avvenga. La risposta principale data da Benedetto XVI nel suo inedito è che il piano naturale non riesce a mantenersi come tale, e quindi a raggiungere i suoi fini naturali, senza il piano soprannaturale. Senza il riferimento al Creatore, l’ordine naturale si indebolisce e poco a poco viene perso di vista. Concezione questa che Papa Francesco conferma nella sua Prefazione. Si fonda qui il ruolo pubblico della fede cattolica che vanta la pretesa di onorare fino in fondo le esigenze naturali della persona e della società in quanto “religione dal volto umano” e chiede che questo suo ruolo le venga riconosciuto anche dalla politica. Si tratta di una richiesta – esigente – di libertà religiosa.

Il libro che stiamo presentando è denso di contenuti e va letto come tale, ma è anche foriero di speranza e come tale va pure valorizzato. Nelle attuali difficoltà, probabilmente non diverse da quelle di altri periodi, ma a noi più evidenti perché più presenti e vivide, la politica può essere ancora fonte di speranza. Può sembrare temerario ed avventato affermarlo, ma la fede è in grado di trasfondere anche nella vita politica un “realismo cristiano”. Esso consiste nel non chiudere gli occhi davanti alla realtà, anche nelle sue forme più crude, e nel non tralasciare di perseguire tutte le vie concretamente in nostro possesso per risolvere i problemi e trovarvi giuste soluzioni. Ma consiste anche nel non cessare di confidare nell’aiuto di Dio, che è il Signore della storia. Il cristianesimo è una religione di speranza, come Benedetto XVI ha bene illustrato nell’enciclica Spe salvi.

Questa è una virtù teologale, ma non perciò essa non si estende anche in ambiti che potremmo considerare profani o laici. La vita politica ha bisogno di presupposti – come ho più volte ricordato – che essa non sa darsi. Uno di questi presupposti è proprio la speranza. Essa ha aiutato tanti valenti uomini politici a fare scelte contro il proprio interesse e li ha spinti a forti rinunce pur di mantenersi fedeli al bene del proprio Paese e del proprio popolo. Ciò è avvenuto – si badi bene – non solo per uomini politici credenti, ma anche per uomini politici che, almeno espressamente (ma è solo il Signore che giudica cosa si agita nel profondo dei cuori) non esprimevano una fede religiosa. La speranza è un valore cristiano ed è un valore umano. È un valore umano che Cristo ha elevato a virtù divina. La fede religiosa dona alla vita sociale molti aiuti: uno di questi è proprio la speranza. E il libro che stiamo presentando contiene un confortante e incoraggiante messaggio di speranza, per tutti. Anche per questo siamo grati a papa Benedetto.