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IL LIBRO

Sette sfide per restare umani

Restare umani – Sette sfide per non rimanere schiacciati dalla tecnica è un libro scritto a quattro mani dallo psicologo Marco Scicchitano e dal sociologo Giuliano Guzzo: uno strumento utile per approfondire il tempo presente.

Cultura 12_06_2018

Dal 7 giugno è disponibile in libreria un nuovo e interessante libro: Restare umani – Sette sfide per non rimanere schiacciati dalla tecnica. Scritto a quattro mani dallo psicologo Marco Scicchitano e dal sociologo Giuliano Guzzo, il testo è uno strumento utile per approfondire il tempo presente e, nel contempo, un invito rivolto a ciascuno a non perdere il patrimonio che ci contraddistingue come persone. La Nuova Bussola Quotidiana ne ha parlato con uno degli autori, Giuliano Guzzo.

Partiamo dal principio: con quale intento avete scritto questo libro? Restare umani era il nome di una rubrica che Marco Scicchitano teneva sul quotidiano La Croce. Si trattava di articoli molto belli finalizzati a mettere in luce l’umanità che tutta una serie di situazioni, ma soprattutto di innovazioni e pratiche biotecnologiche rischiano non solo di sbiadire, ma addirittura di far dimenticare. Un giorno Marco mi ha telefonato proponendomi di aiutarlo a scrivere un libro che, a partire dal percorso tracciato da quei suoi pezzi, denunciasse le minacce disumanizzanti dei nostri giorni sia sotto un profilo psicologico – che avrebbe curato lui – sia sotto quello sociologico, che avrei realizzato io. Restare umani è ciò che ne è uscito. Si tratta dunque di un libro ma anche di un invito a non sottovalutare le insidie delle trasformazioni biotecnologiche e di costume delle quali, quotidianamente, siamo testimoni.

Il testo, a quattro mani, come dicevi analizza sia il profilo psicologico, sia quello sociologico: si tratta di due visioni che camminano di pari passo? Certo. La psicologia e la sociologia offrono due prospettive complementari; sono due modi distinti, ma che si completano a vicenda, di guardare all’uomo contemporaneo e alle sue sfide. Confesso che all’inizio il fatto di scrivere un libro a quattro mani non suddiviso per argomenti, ma con ciascuno dei sette temi – la generazione, la differenza tra maschile e femminile, la sessualità, l’aborto, gli innesti tecnologici nel corpo umano, l’essere cittadini di una civiltà globale, la morte – affrontati sia da Marco che da me non mi convinceva molto. Temevo che si sarebbe stati ripetitivi. Invece mi sbagliavo. E credo sia venuto fuori davvero un libro utile, perché affronta tanti argomenti spinosi ma con semplicità, documentazione e al tempo stesso in un numero non esagerato di pagine.

Uno degli aspetti che toccate nel testo è quello della generatività: è ancora possibile questa disposizione d'animo, in un mondo sempre più fondato sull'ego del singolo?
Apparentemente no. Non solo perché nascono sempre meno bambini, ma anche perché i figli non sempre vengono cercati, ma vengono sovente lasciati come ultima spiaggia, come ultima esperienza della vita di coppia. Inoltre, come Restare umani documenta, vi sono tutta una serie di insidie che rendono la maternità minacciata, prima fra tutte quella dell’utero in affitto, che ne è una brutale commercializzazione. Il punto però è un altro: possiamo permetterci, come civiltà, di fare a meno della maternità, di non valorizzarla? Secondo me no. Ed è per questo che ho voluto scrivere questo libro, perché sono sicuro che certe ragioni, che altro non sono che quelle del buon senso, possono essere ascoltate, comprese e condivise.

Un altro punto interessante è quello della sessualizzazione precoce e senza limiti: quanto toglie questo alla nostra umanità?
Molto, purtroppo. Toglie alla nostra umanità ma pure, se mi è consentito dirlo, alla stessa sessualità, declassata da aspetto importante della vita umana a mero bene di consumo. Dicendo questo ripeto cose evidenziate nei decenni da un gran numero di pensatori, ma purtroppo ancora non considerate da tanti con la dovuta attenzione. Col rischio che l’esperienza stessa della sessualità venga snaturata e privata della sua bellezza. Un rischio che, ripensando alla cosiddetta liberazione sessuale, dovrebbe portare a chiedersi: abbiamo liberato il sesso, oppure – con la contraccezione, la pornografia ed ora con l’ideologia del gender – ci siamo liberati del sesso, nel senso più alto e nobile del termine? Credo varrebbe la pena chiederselo.

Infine, chiudete con la morte: oggi le persone che non producono, che non sono più considerate "utili", vengono scartate. La morte non è già vissuta in maniera naturale, in casa, bensì viene concepita come un diritto che si può pretendere e l'ospedalizzazione spesso forzata non lascia spazio per la coltivazione degli affetti. Quale prospettiva abbiamo, per il futuro?
Solo una: riscoprire la fragilità come valore. Dobbiamo smetterla di pensare che si tratti di una piaga che colpisce solo i meno fortunati, le persone disabili o quelle anziane. No: la fragilità è qualcosa che prima o poi interesserà tutti. Tutti infatti, se invecchieremo, ri-sperimenteremo una condizione di dipendenza simile a quella di quando eravamo piccoli. Ma non per questo saremo meno uomini o meno degni di vivere. Dobbiamo agire dunque riscoprendo questo valore, che è anche occasione di solidarietà e d’amore. E dobbiamo farlo perché l’alternativa a una società che apprezza la fragilità è quella di un’umanità che dimentica sé stessa, incupita e abbruttita. Possiamo permetterlo? Credo di no. Occorre restare umani.