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IL DIBATTITO

Severino contro tutti «Per me Dio è poco»

Secondo il filosofo bresciano la fede nel divenire è irrazionale, ed è il vero "nichilismo" che coinvolge tutti, anche la Chiesa cattolica.

Rubriche 06_09_2011
Emanuele Severino

Prima sulla Repubblica, poi sul Corriere della Sera, i più noti filosofi italiani hanno discusso di un possibile ritorno della filosofia al realismo, nel senso di un abbandono dell’esasperato soggettivismo moderno, che ha portato alla negazione di ogni realtà alla quale la conoscenza dell’uomo debba adeguarsi, con la conseguenza che la cultura di oggi non ammette più alcun valore  morale oggettivo e assoluto, e tanto meno l’esistenza di un Dio creatore e trascendente.

A favore di questo ritorno al realismo - che rappresenterebbe  una svolta epocale nella storia della filosofia contemporanea - si sono pronunciati Umberto Eco (che non è nuovo a ripensamenti del genere, e che iniziò la carriera accademica con un bel libro sulla metafisica della bellezza  in Tommaso d’Aquino) e Maurizio Ferraris (che negli ultimi anni, con la sua proposta di una sistematica «ontologia formale», ha mostrato la necessità di ammettere la consistenza metafisica degli oggetti del pensiero). Si è invece mostrato contrario Gianni Vattimo, amico-nemico di Ferraris all’Università di Torino, oramai cristallizzato nella difesa del suo (peraltro indifendibile) «pensiero debole», che è la sintesi di tutte le forme di anti-realismo e di scetticismo presenti nel pensiero contemporaneo (Nietzsche, Heidegger, Gadamer).

Alla fine, nel dibattito si è inserito Emanuele Severino, per ripetere una volta ancora la sua nota tesi: tutto il pensiero occidentale, da Platone in poi, “crede” nel divenire, ossia crede che gli enti vengano dal nulla e poi ritornino nel nulla, il che - sostiene Severino - è falso, perché  tutte le cose sono eterne, anche se appaiono e scompaiono continuamente. La fede nel divenire è irrazionale, dice Severino, è il vero «nichilismo», che coinvolge persino la Chiesa cattolica, la quale continua a professare la fede in un Dio che crea le cose dal nulla. Insomma, per Severino tutti sono nell’errore, salvo lui stesso, che è uscito fuori dalla storia del pensiero occidentale ed è «ritornato a Parmenide». Per questo approfitta del dibattito sul realismo per irridere al goffo tentativo dei suoi colleghi di cambiare un insignificante particolare del modo di pensare proprio di tutto l’Occidente (l’idealismo), che invece va rifiutato in blocco.

Comunque, nell’intevento di Severino sul Corriere della Sera del 31 agosto («Nuovo realismo, vecchio dibattito. Tutto già conosciuto da millenni») ci sono alcune cose che sarà utile rilevare. La prima è che, ancora una volta, Severino entra in dialogo ? con gli altri flosofi e con la cultura in generale  ? proponendo delle tesi che risultano letteralmente incomprensibili per il grosso pubblico dei quotidiani (talvolta anche per gli stessi specialisti). I lettori del Corriere della Sera, se oltre al titolo dell’articolo di Severino leggono qualcosa all’interno, avranno indubbiamente l’impressione che si tratti di ragionamenti raffinati, ricchi di erudizione, con continui riferimenti alle tante idee e alle tante figure della storia della filosofia: ma alla fine resteranno senza aver capito di che cosa si stia parlando, perché non riusciranno in alcun modo a decifrare il significato concreto dei termini fondamentali del discorso.

L’unica cosa che risulta chiara a chi legge Severino, sia sui giornali che nei suoi tanti libri, è che il filosofo bresciano sostiene di aver ragione solo lui, perché solo lui sarebbe saldamente installato nella verità: quella verità assoluta, eterna e incontrovertibile che solo la vera filosofia (quella dello stesso Severino, s’intende) riesce a mettere in luce. Tutti gli altri filosofi, ma anche i teologi, e soprattutto i papi (prima Giovanni Paolo II, poi Benedetto XVI) sono nell’errore. Questo sì che si capisce bene, anche perché da quasi vent’anni il Corriere della Sera pubblica articoli di Severino nei quali la dottrina della Chiesa cattolica (sulla contraccezione, sull’aborto, sulla fede, sui sacramenti, sulla vita eterna, su tutto) viene contraddetta e ridicolizzata.

Evidentemente al Corriere della Sera va bene così: paga il pegno di pubblicare articoli che sono il contrario del giornalismo, perché illeggibili, pur di rilanciare mille volte il messaggio (ben evidenziato anche nei titoli e negli occhielli) che la Chiesa cattolica è la custode di un pensiero vecchio, superato, contraddittorio e soprattutto ingenuo. La polemica anticattolica di stampo illuministico che Eugenio Scalfari ha condotto per decenni dalle colonne della Repubblica è così superata in forza dialettica dalla polemica neognostica che Emanuele Severino continua a condurre dalle colonne del Corriere della Sera.

Una seconda annotazione. A Severino ha dato molto fastidio il richiamo di Umberto Eco e di Maurizio Ferraris al «senso comune» come fondamento critico del realismo. In particolare Severino non può sopportare che si parli di una «filosofia del senso comune». Il fastidio nasce dal fatto che questo termine, «filosofia del senso comune», è quello che io ho usato per combattere il razionalismo idealistico che è rappresentato in Italia, appunto, da Severino e dai suoi molti discepoli, anche cattolici. Severino mi conosce, ha discusso con me in pubblico e in privato, e ha letto i  miei scritti, tra i quali la Filosofia del senso comune. Logica della scienza e della fede, la cui prima edizione è del 1990 e la nuova edizione, interamente rielaborata, è del 2010 (Leonardo da Vinci, Roma); inoltre, ha letto il saggio che una mia allieva ha dedicato ad analizzare e decostruire la sua filosofia (V. Pelliccia, Emanuele Severino. La critica razionalistica del senso comune e della fede, Leonardo da Vinci, Roma 2008).

E così respinge rabbiosamente la tesi che la conoscenza umana parta necessariamente dalle prime verità inconfutabili dell’esperienza, le quali attestano l’esistenza delle cose come enti limitati, in continuo divenire.  Dall’esistenza evidente delle cose e dalla loro precarietà l’intelligenza umana giunge necessariamente all’evidenza che deve esserci Dio, creatore e provvidente. Insomma, la filosofia del senso comune  è la giustificazione critica del realismo e della certezza dell’esistenza di Dio: e questa certezza razionale consente agli uomini di accogliere il messaggio di un Dio che ci rivolge la Parola per rivelarci la verità che ci salva. Tutto ciò a Severino non sta bene: egli considera la filosofia come “il pensiero di Dio”, di Dio che è «pensiero di pensiero» (Aristotele) o «coscienza assoluta dell’Assoluto» (Hegel).

Ma Severino ritiene di essere egli stesso “il pensiero di Dio”, che lo rende capace di vedere tutto dall’eternità e nell’eternità. Certo, Severino non si identifica con Dio come l’Essere, come Persona, perché l’unica realtà è il Pensiero e fuori del Pensiero non c’è nulla. Severino si identifica con il Pensiero e nega la Trascendenza, ossia il Dio della teologia filosofica e della fede cristiana. Per questo, discutendo con me che lo accusavo di credersi Dio, Severino rispose: «Per me Dio è poco!» (cfr Panorama, 2 giugno 1997).