Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
Sant’Espedito a cura di Ermes Dovico
IL PUNTO

Sinodo sulla Famiglia, quanti equivoci

Le uscite dei cardinali Schoenborn e Marx (che non vogliono "pregiudizi dottrinali" su divorziati risposati e gay), rivelano l'atteggiamento di una Chiesa che strizza l'occhio al mondo, malgrado il Papa abbia posto condizioni chiare.

Famiglia 14_11_2013
Sinodo

Da quando il Papa ha annunciato che il prossimo Sinodo dei vescovi sarà dedicato alla famiglia, tra vescovi e teologi è cominciata una fibrillazione davvero curiosa. Quando poi è stato inviato un questionario a tutte le diocesi del mondo per conoscere il “sentimento” di tutti i fedeli sui problemi della famiglia, allora l’eccitazione ha raggiunto il massimo, e non si contano teologi e vescovi che si sono lasciati andare a dichiarazioni quanto meno sorprendenti. Non tutti lo dicono, ma tutti pensano o auspicano che ci siano cambiamenti dottrinali a partire dalla comunione ai divorziati risposati. 

Ha cominciato subito monsignor Bruno Forte, non appena nominato segretario del Sinodo («Parleremo di tutto», ha subito dichiarato, dove «tutto» sta per separati, divorziati e così via). Poi non poteva mancare monsignor Vincenzo Paglia, presidente del Pontificio Consiglio per la Famiglia (in cerca di conferma visto che per questo Consiglio papa Francesco non ha ancora deciso) che, imitando malamente papa Francesco, in nome della misericordia ha invocato una sanatoria universale per chi si trova in situazioni matrimoniali difficili. Nel frattempo, prevedendo la deriva incombente era intervenuto il Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, il cardinale Gerhard Ludwig Muller (questo sì confermato da papa Francesco), che ha fatto pubblicare sull’Osservatore Romano la traduzione di un suo lungo articolo già pubblicato in giugno su un giornale tedesco: parliamo pure di tutto ma avendo chiari i fondamenti intoccabili della dottrina (l’indissolubilità del matrimonio è stata stabilita da Gesù e quindi non si tocca), questo il messaggio chiaro. 

Poi arriva il famoso questionario e si aprono le cataratte: su tutti i giornali del mondo si annuncia che la Chiesa cattolica è pronta a cambiare la dottrina sulla famiglia, e ad assecondare questa interpretazione non possono mancare teologi e vescovi, che non aspettavano altro. Al punto che la diocesi di Friburgo, in Germania, pubblica delle linee guida per la pastorale dei divorziati risposati che si spinge fino a prevedere la possibilità dell’Eucarestia al termine di un percorso penitenziale. Nel riportare del famoso questionario, però, tutti “dimenticano” che è preceduto da un documento che lo accompagna in cui – come ha spiegato Massimo Introvigne su La Nuova BQ nuovamente si mettono i paletti alla discussione: ci si apre alle sfide del mondo partendo da alcuni punti fermi, che il Papa individua nel Catechismo della Chiesa cattolica, nella esortazione apostolica Familiaris Consortio e nell’enciclica di Paolo VI Humanae Vitae.  

Come non detto, il valzer delle dichiarazioni in libertà continua e raggiunge l’apice in questi giorni, mentre il povero cardinale Muller intanto respinge al mittente le linee guida della diocesi di Friburgo, incompatibili con la dottrina cattolica e imponendone quindi la correzione. A suscitare il massimo sconcerto sono le uscite in rapida successione del cardinale austriaco Christoph Schomborn e il cardinale tedesco Reinhard Marx. A quanto riferito dai giornali, il primo – a conclusione dell’assemblea dei vescovi austriaci – ha dichiarato che «sui temi del Sinodo ogni questione è aperta», lasciando intendere che non ci possono essere pregiudizi dottrinali. Il secondo, addirittura, attacca direttamente il Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede affermando che «non può bloccare la discussione» su divorziati e risposati.

A rendere clamorose queste uscite è anche il fatto che i due non sono certo considerati “progressisti” e Marx fa anche parte della “Commissione degli Otto” che sta aiutando il Papa nel lavoro di riforma della Curia vaticana. Se siano realmente convinti di quel che dicono o siano in qualche modo stati costretti a tenere conto delle posizioni sostanzialmente “protestantizzate” dei rispettivi episcopati, lo scopriremo solo vivendo, come dice la canzone.

Ma pensando al Sinodo della Famiglia è bene però cominciare a mettere a fuoco almeno un paio di questioni che tali fughe in avanti fanno emergere.

1. Anzitutto la concezione protestante che sembra aver preso possesso di tante menti cattoliche. In questo modo l’ascolto, il chiedere “qual è la situazione?” viene tradotto immediatamente in referendum. Da cui discende – lo si dà per implicito - che la dottrina sia decisa a maggioranza, ed è scontato che la maggioranza sia “progressista” e quindi “voti” per comunione ai divorziati risposati, e poi donne-sacerdote, preti sposati e via di questo passo. La Chiesa protestante, dunque.

Non c’è dubbio che la scelta di un questionario sia nuova, indichi uno stile nuovo di pastorale, e presenti quindi anche dei rischi. Ma qui ad emergere è soprattutto l’immaturità umana – prima ancora che spirituale – di chi pensa che chiedere “cosa ne pensi?” o “come ti senti in quella situazione?” equivalga a chiedere “dimmi cosa devo fare”. Pensiamo cosa accadrebbe se vivessimo il rapporto con i nostri figli con questo criterio. Anzi, a ben pensarci è proprio questo il dramma educativo di tante famiglie: adulti che non sanno proporre nulla e si comportano come adolescenti, mettendosi sullo stesso piano dei figli e così impedendo loro di maturare.

L’ascolto è invece importante per rendere noi stessi più coscienti delle ragioni che affermiamo e comprensibile agli altri ciò che proponiamo. 

Pensiamo anche, come esempio, a un gruppo che fa una gita in montagna. La guida sa che l’obiettivo è arrivare alla cima e alla cima deve portarci tutti (a meno che qualcuno liberamente decida di non andarci). Inevitabilmente dopo un po’ di cammino c’è qualcuno che non ce la fa, vorrebbe fermarsi; poi magari qualcuno si storce una caviglia. La guida dovrà fermarsi, ascoltare i motivi dello stop, cercare di capire, incoraggiare, trovare delle soluzioni per aiutare (prendere un sentiero più lungo ma meno scosceso, portare per un tratto in spalla la persona in difficoltà) ma sempre avendo presente che si deve arrivare in cima, che non ci sono obiettivi alternativi. Guai se la guida, vedendo che diversi sono in difficoltà, dicesse: «Allora, fermiamoci tutti qui». Non sarebbe neanche il desiderio vero, profondo, di coloro che sono in difficoltà. E anche l’ospedale da campo – bella immagine usata da papa Francesco – serve per rimettere in sesto le persone al fine di riprendere il cammino, non per creare un immenso reparto di lungodegenti. Diverse guide della Chiesa, purtroppo, sembrano tentate invece da questa seconda ipotesi e a questo scopo usano alcune affermazioni di papa Francesco “dimenticandone” altre: il questionario (peraltro solo una parte di esso) senza il documento che lo accompagna, appunto.

In ogni caso la verità non è la somma delle opinioni di tutti, o il loro minimo comun denominatore. Come ricordava papa Francesco nella lettera a Eugenio Scalfari, la verità ci possiede, non siamo noi a possederla. La verità dunque ci è data da Gesù Cristo, noi dobbiamo viverla e renderla trasparente per chi Cristo ancora non lo conosce; non possiamo decidere noi la verità a maggioranza. E’ la cosa semplice che ha provato a spiegare il cardinale Muller, le reazioni sono inquietanti.

2. Contrariamente all’impressione che si vuole dare, di apertura e di confronto con il mondo, sta emergendo un ripiegamento su se stessi che è l’esatto opposto di ciò che papa Francesco invita a fare. Le sfide pastorali della famiglia, avverte già il tema scelto per il Sinodo, vanno viste nel contesto dell’evangelizzazione, ovvero dell’annuncio ai non credenti, e quindi nel rapporto con il mondo. Ridurre tutto, come si sta facendo in queste settimane, alla faccenda della comunione ai divorziati risposati ed eventualmente dei rapporti fra persone dello stesso sesso, porta sulla strada sbagliata. Peraltro è anche segno di provincialismo perché questo è un tema che riguarda i paesi europei, o poco più; ma per le comunità cattoliche in Medio Oriente, in Africa, in Asia i problemi della pastorale familiare comprensibilmente sono altri. Ma soprattutto: in questo clima di attacco mondiale alla famiglia che arriva da tante parti, dove la famiglia è l’ultimo punto di resistenza alla cultura dominante, dove la famiglia è chiamata a essere soggetto dell’evangelizzazione – e papa Francesco lo ha richiamato ancora in questi giorni -, dove dunque si deve valorizzare al massimo e dare luce ai modelli veri di famiglia, questo concentrarsi esclusivamente su questioni che sono più ideologiche che reali lascia davvero basiti.

Non che non siano importanti le situazioni di sofferenza che la crisi delle famiglie genera anche nella vita della Chiesa, il problema è il modo in cui si affrontano e se diventano l'orizzonte unico per un giudizio.