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EDITORIALE

Siria e Polonia, così i media deformano la realtà

La costruzione del consenso dell'opinione pubblica per i ribelli anti-Assad e per le donne abortiste in Polonia sono due clamorosi esempi di come il sistema mondiale della comunicazione abbia un suo stabile orientamento ideologico a "sinistra" che riproduce una realtà totalmente deformata.

Editoriali 05_10_2016
Caschi bianchi in Siria

L’attualità non cessa di confermare un dato cruciale, che invece i “non addetti ai lavori”  troppo spesso non percepiscono o sottovalutano: alla scala sia nazionale che globale il sistema massmediatico ha ormai nel suo insieme un suo stabile orientamento ideologico a causa del quale riflette la realtà in modo stabilmente distorto. La macchina massmediatica mondiale è insomma un veicolo sbilanciato che tende sempre a sinistra (intendendo la parola nel suo senso attuale, che spesso con lo storico concetto di “sinistra” non ha nulla a che fare).

A titolo di esempio ci soffermiamo qui su due casi recenti. Il primo è quello della guerra civile in corso in Siria. Una grande società internazionale di relazioni pubbliche, la Purpose, è stata incaricata da qualcuno di diffondere nel mondo simpatia per la lotta armata contro il regime di Assad. Tenuto conto che la crisi di tale regime, e la confusa guerra civile che ne è derivata, sono state provocate a freddo dagli Usa del presidente Obama, si deve concludere che l’occulto committente della campagna della Purpose o è un ricco amico di Obama o è il suo stesso governo. 

La Purpose sta lavorando bene e i risultati si vedono. Basti dire che sia in Italia che altrove in Europa  tutti i maggiori giornali e telegiornali stanno utilizzando come fonte quasi unica delle loro  notizie sulla Siria i comunicati dell’Osservatorio siriano per i diritti umani.  Diversamente da quanto il suo nome molto ufficiale e molto “alto” vorrebbe far credere, l’Osservatorio - che ha sede a Londra e gode di finanziamenti del  governo britannico - non è affatto un organismo super partes. Si tratta in pratica dell’ufficio stampa delle formazioni di ribelli siriani “laici” progressisti che Londra e Washington sostengono con la speranza (sin qui sempre smentita dai fatti) che nella lotta contro Assad possano assumere il ruolo di primo piano che sin qui l’Isis detiene fermamente.

Da questa inconfessata… scelta di campo deriva il fatto che il pubblico in Italia sa sempre tutto, con dovizia di video-testimonianze e di immagini, dei bombardamenti russo-siriani sui quartieri di Aleppo controllati dai ribelli e sui danni e le vittime che causano. E invece non sa niente dei patimenti dei civili nei quartieri sotto il controllo dei governativi sottoposti ai cannoneggiamenti, al tiro “dei cecchini” e ai tagli delle forniture di acqua e energia elettrica ordinati dai comandi dei ribelli (che detengono in larga misura il controllo di queste risorse). La realtà dei fatti è che sia da una parte che dall’altra non ci si preoccupa molto né di risparmiare i civili, né di risparmiare gli ospedali, che peraltro sono spesso ospedali da campo non ben contrassegnati. Un’informazione che voglia essere equilibrata, e perciò autorevole, dovrebbe spiegarlo invece di sollecitare, come ora accade, sdegno e compassione a senso unico.

L’ultima trovata di Purpose è adesso il lancio del “caschi bianchi” che vengono  presentati come una specie di nuova Croce Rossa (o Mezzaluna Rossa) spontanea, un fiore del bene a sollievo di tutte le vittime del conflitto; e non passa giorno che i portavoce delle grandi ong francesi e inglesi di sinistra ne dicano un gran bene. Ebbene, non è così: si tratta di squadre di soccorso sul campo di battaglia al seguito di al Nusra. La loro improvvisa glorificazione è stata evidentemente pianificata per nobilitare l’imbarazzante appoggio che Washington dà appunto a una milizia come al Nusra, che è affiliata ad al Qaeda.   

Veniamo ora a un altro caso, sia pure meno immediatamente drammatico (benché lo sia altrettanto nella sostanza): quello del dibattito in corso in Polonia attorno a un progetto di forte restrizione dei casi di aborto legale. Si tratta obiettivamente di un evento di grandissimo rilievo: per la prima volta dopo decenni un Paese importante dove l’aborto è legale lo rimette in discussione. Sarebbe comunque una notizia da prima pagina. Siccome però l’opinione pubblica polacca è largamente favorevole al progetto, la grande stampa “illuminata” fino a questi giorni aveva preferito ignorare la vicenda, benché sia da mesi al centro dell’attualità politica in Polonia.

Zitti tutti fino all’altro ieri, quando una folla di alcune migliaia di dimostranti contrari al progetto ha manifestato a Varsavia davanti al Parlamento. Alla loro testa il gruppo delle “donne in nero” che in difesa dell’aborto non esitano a scendere in piazza vestite con quello che in Polonia è tradizionalmente l’abito delle vedove. A questo punto la notizia della legge che il governo polacco intende presentare ha fatto finalmente il giro del mondo, ma a partire dalla protesta delle “donne in nero”.  

È scattato inoltre il vecchio stereotipo del ’68 secondo cui il militante rappresenta non solo stesso e la sua area, ma ipso facto l’intero gruppo sociale cui appartiene. Così le manifestanti e le “donne in nero” che le guidano non sono un certo gruppo di donne, ovvero le donne di una certa area. Sono invece “le donne” della Polonia tutta quanta. In questo caso la pretesa appare più che mai assurda se si considera non solo che il consenso di cui gode l’iniziativa del governo è così ampio da comprendere certamente un gran numero di donne, ma che lo stesso premier polacco, Beata Szydlo, è una donna; ma non importa, e poi fuori della Polonia quanti lo sanno?