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GINEVRA 4

Siria, negoziati dopo la "catastrofica" politica di Obama

Il 3 marzo si è concluso il quarto round negoziale di Ginevra per cercare di risolvere con la diplomazia il lungo conflitto siriano. Come nei precedenti tre round di colloqui, non si è raggiunto alcun accordo definitivo, anche se questa volta prevale un cauto ottimismo. Duro il giudizio dei ribelli siriani sull'alleato Obama.

Esteri 05_03_2017
Staffan De Mistura

Il 3 marzo si è concluso il quarto round negoziale di Ginevra per cercare di risolvere con la diplomazia, invece che sul campo, il lungo conflitto siriano. Come nei precedenti tre round di colloqui, non si è raggiunto alcun accordo definitivo, anche se questa volta prevale un cauto ottimismo. Essendo il primo negoziato nell’era Trump, le controparti hanno anche espresso esplicitamente, per la prima volta, un giudizio storico sul ruolo dell’amministrazione Obama: una “catastrofe”, anche secondo la delegazione diplomatica dell’Hnc, che rappresenta i gruppi ribelli accettati al negoziato.

Le difficoltà di una soluzione politica sono sempre le stesse. I ribelli pongono, come condizione sine qua non, la deposizione del presidente Bashar al Assad. Dall’altra parte, il regime di Bashar al Assad, pur non escludendo una transizione di potere, rifiuta di negoziare con gruppi armati che considera terroristi, senza distinguere fra i “moderati” (accettati nel negoziato dall’Onu) e gli estremisti di Al Nusrah (Al Qaeda in Siria) e Isis, disconosciuti da tutti. Questo round negoziale ha una marcia in più, perché è stato preceduto dai colloqui di Astana, in cui si sono incontrati i tre principali sponsor militari e politici delle parti in causa: Turchia, Iran e Russia. Questi colloqui preliminari e indiretti, a gennaio, hanno contribuito a creare un clima di maggior fiducia reciproca, che spinge il mediatore dell’Onu, l’italiano Staffan de Mistura, a dire che il negoziato di Ginevra si è concluso “con una nota più positiva” rispetto agli incontri del passato. “Pur avendo chiuso questo round di colloqui senza risultati specifici… posso dire che questa volta sono stati più positivi”. “Per la prima volta - conclude - abbiamo discusso in modo sufficientemente approfondito della Siria e del futuro della transizione politica in Siria”.

Quanto al giudizio storico, su quanto ottenuto finora, è facile contestare un’amministrazione americana già uscita e corteggiare quella nuova. Ma le parole di  Nasr al-Hariri, capo negoziatore dell’Hnc, escono dallo schema classico del conflitto, per come lo vediamo noi. Uno schema secondo cui i ribelli sarebbero fedeli agli Usa, o addirittura (secondo la propaganda di Assad) una loro creatura. Ebbene dopo cinque anni di gestione Obama si  sfoga: “Il popolo della Siria ha pagato un alto prezzo per gli errori catastrofici commessi dall’amministrazione Obama – ha dichiarato all’agenzia Reuters – Obama ha mentito e non ha mantenuto le promesse fatte al popolo siriano. Ha tracciato linee rosse che poi ha lui stesso cancellato, ha taciuto sui crimini commessi da Bashar al Assad (…) Noi abbiamo ripetutamente avvertito sul pericolo del ruolo che il diabolico Iran sta giocando, con centinaia di migliaia di suoi combattenti presenti sul suolo siriano”, un avvertimento che sarebbe stato rivolto anche ai russi, nei precedenti round negoziali. Ora Hariri spera nell’amministrazione Trump, che, per i diplomatici presenti a Ginevra, risulta praticamente “non pervenuta” (“La loro politica è ancora sconosciuta” “Sono quasi del tutto assenti”). “Stiamo aspettando che gli Stati Uniti costruiscano la loro linea politica basandosi su informazioni puntuali e reali, che abbiano un ruolo attivo nella regione e correggano i gravi errori commessi dall’amministrazione Obama”.

Ora l’obiettivo è tenere una nuova serie di incontri entro la fine di marzo o i primi giorni del mese prossimo. Sarebbe il quinto round negoziale. Nel frattempo, sul campo, l’esercito regolare annuncia di aver liberato, per la seconda volta, la città di Palmira. Era ancora una volta caduta nelle mani dell’Isis, che aveva ripreso, nella sua furia iconoclasta, a distruggere le rovine romane. Anche l’anfiteatro, scenario macabro delle esecuzioni dei nemici del Califfato, risulterebbe parzialmente distrutto. Ad Aleppo, due mesi dopo la fine della battaglia, procede lentamente la ricostruzione. “Da quasi 60 giorni manca l’acqua e la situazione inizia a diventare drammatica” - racconta ad Asia News padre Ibrahim Al Sabagh, parroco latino di Aleppo. Alcuni abitanti cercano di ripristinare le attività, ripartire con i lavori, cercando di ricostruire la quotidianità del periodo pre-guerra. “Si tratta di iniziative personali - racconta - ma sono gocce nel mare del bisogno e l’economia della città resta ancora legata alla sussistenza… Bisogna ricostruire da zero”. Di fronte alle necessità, la Chiesa locale ha avviato alcuni progetti che guardano anche al medio periodo. “Continuiamo a fornire cibo, acqua, medicinali - racconta p. Ibrahim - per sopperire all’emergenza. A questo, però, si sono affiancati progetti di ricostruzione delle case demolite o danneggiate nel conflitto. Ad oggi abbiamo 700 richieste di riparazione, lo scorso anno ne abbiamo sistemate 268 e solo a gennaio 30. L’obiettivo è arrivare a 2mila entro fine anno”. Sempre che la tregua regga e la guerra non torni a sconvolgere il nord della Siria.