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DEMOGRAFIA

Spagna, l'aborto fattore di denatalità

Gli aborti volontari costituiscono un terzo del deficit demografico spagnolo, mentre 4 aborti su 10 sono un mezzo per il controllo delle nascite. Sono i dati che emergeno da un rapporto dell'Instituto de Politica Familiar.

Vita e bioetica 04_04_2019
Manifestazione abortista in Spagna

Dopo decenni di totale indifferenza, ultimamente l’emergenza denatalità è tornata alla ribalta, con anche schieramenti politici progressisti che hanno preso ad occuparsene ancorché, per il momento, solo a parole. Già un passo avanti, per carità. Tuttavia c’è un tassello demografico fondamentale che continua a sfuggire ai radar della discussione sull’argomento, quasi non ne facesse parte: quello dell’aborto. Un aspetto mancante che pare decisamente il caso di riportare al centro del dibattito, se non altro perché un contributo alla denatalità l’aborto lo apporta, eccome. A testimoniarlo, è in particolare la situazione della Spagna così come emergente dalle 60 pagine di El Aborto en España 2019 a cura dell’Instituto de Política Familiar (Ipf). Si tratta infatti di un report che tratteggia un quadro abbastanza allarmante.

Tanto per cominciare perché evidenzia come gli aborti, nel 2017, siano stati 94.123, quindi meno del picco toccato nel 2010 - quando furono oltre 113.000 -, ma comunque più dei 91.000 conteggiati nei primi anni Duemila e dei 64.000 che si rilevavano negli anni Novanta. Il che dovrebbe far riflettere anche in relazione alla diffusione dei metodi contraccettivi tanto invocata dai progressisti, dal momento che il picco di aborti si registrò, come evidenziava uno studio apparso nel 2011 su Contraception, nell’arco di una decade in cui, all’aumento del 63% dell’uso dei contraccettivi, corrispose una crescita ancora maggiore, pari addirittura al 108%, del tasso di aborto. Ma torniamo ai dati più aggiornati e ad un legame tra denatalità e ricorso all’aborto che si riscontra su più livelli.

Fa per esempio riflettere il fatto che 4 aborti su 10 degli attuali, quindi oltre 35.000 interventi, riguardino donne che avevano già abortito, cosa che fa pensare che l’eliminazione dei figli sia diventato un modo per controllare le nascite. Allo stesso modo non rassicura sapere come più della metà delle adolescenti incinte ricorrano alla pratica abortiva. Con il risultato, denunciato appunto dall’Ipf, che oggi gli aborti volontari costituiscono circa un terzo del deficit demografico ispanico. Detto in altri termini, se anziché abortiti quei 94.000 e passa bambini fossero messi al mondo, la penisola iberica vedrebbe il proprio tasso di natalità interno lievitare dagli attuali 1,31 figli per donna all’1,7; sempre meno del tasso di sostituzione necessario a una comunità per garantirsi un futuro, pari a 2,1, vero. Ma è altrettanto vero come il raggiungimento di una simile soglia, rispetto alla situazione attuale, garantirebbe quel prodigioso balzo in avanti di cui la Spagna ha fortemente bisogno.

Sì, perché già nel 2014 una nota dell’Istituto nazionale di statistica iberico – non quindi la trovata di qualche cupo profeta di sventura – sottolineava come, salvo inversioni di tendenza, il trend spagnolo fosse e sia quello di vedere entro il 2028 le nascite ridotte quasi del 25% rispetto ai 15 anni precedenti. Un calo a cui corrisponderà, secondo la stessa nota, la perdita di un milione di abitanti nei prossimi 15 anni e di 5,6 milioni nei prossimi 50, lasciando, nel 2064, un Paese ridimensionato a 40 milioni di abitanti, oltretutto neppure molto giovani, per usare un eufemismo.

Di qui la necessità non solo di rilanciare la natalità, ma anche di contrastare gli aborti volontari, portando le donne intenzionate a fare questa scelta ad un’alternativa. Uno scenario echeggiato anche al recente Congresso mondiale delle famiglie di Verona, con somma indignazione progressista. Eppure sarebbe il caso che anche l’Italia, che quanto a denatalità non ha rivali, iniziasse a prendere su serio la questione.

- IL RAPPORTO SULL'ABORTO IN SPAGNA 2019