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SUCCESSO DIPLOMATICO

Sudan e Israele, dalla guerra totale alla pace

E’ passata in sordina, come sempre, l’ultima iniziativa di pace dell’amministrazione Trump: la normalizzazione delle relazioni fra il Sudan e Israele. Per chiunque sia addentro alla storia del conflitto mediorientale, si tratta invece di una piccola svolta epocale. La pace non è sbocciata all’improvviso, ma un cambio di regime e l'attivismo dell'amministrazione Trump l'hanno resa possibile

Esteri 27_10_2020
Trump in teleconferenza con i leader di Sudan e Israele

E’ passata in sordina, come sempre, l’ultima iniziativa di pace dell’amministrazione Trump: la normalizzazione delle relazioni fra il Sudan e Israele. Per chiunque sia addentro alla storia del conflitto mediorientale, si tratta invece di una piccola svolta epocale. La pace non è sbocciata all’improvviso, ma circostanze molto particolari, un cambio di regime in Sudan e l’attivismo della diplomazia americana, l’hanno resa possibile.

Il Sudan indipendente (ex colonia britannica) si è sempre considerato in guerra con Israele, fin dalla sua nascita. I regimi sudanesi cambiavano, ma la guerra con lo Stato ebraico era una costante. Il Paese africano aveva partecipato direttamente alla Guerra arabo-israeliana del 1948, quando era ancora unito all'Egitto. Nel 1967 contribuì, anche se in seconda schiera, alla disastrosa guerra del 1967. Persa la quale, nella capitale sudanese, Khartoum, la Lega Araba promise la lotta ad oltranza contro lo Stato ebraico. Nel 1973, il Sudan non partecipò direttamente al conflitto dello Yom Kippur, ma fornì armi all’Egitto. Le relazioni peggiorarono ulteriormente dopo la presa del potere di Omar Bashir, dittatore militare fondamentalista islamico. Fu il regime di Bashir che ospitò sul suo territorio Osama bin Laden in fuga dall’Arabia Saudita, in funzione anti-sionista e anti-americana. Fra il 1992 e il 1996, lo “sceicco del terrore” ebbe modo di costruire la rete terroristica di Al Qaeda con l’appoggio del regime di Khartoum, prima di trasferirsi in Afghanistan (allora retto dai Talebani) braccato dall’intelligence americana. Vennero organizzati sempre in Sudan i primi sanguinosi attentati qaedisti alle ambasciate americane di Nairobi e Dar es Salaam nel 1998, poi l’attacco dinamitardo al cacciatorpediniere Uss Cole nel 2000, mentre era ormeggiato nel porto di Aden, in Yemen.

Nei primi anni ‘10, la tensione fra il Sudan e Israele e gli alleati americani era ancora al massimo livello. Israele era in guerra con Hamas, a Gaza e, come da tradizione, il Sudan fornì armi ai  jihadisti palestinesi, facendole giungere dall'Iran. Come l’attuale premier israeliano Netanyahu ha suggerito, nel 2009 Israele rispose bombardando il Sudan: tre attacchi aerei che distrussero altrettanti convogli di armi. Nel 2012, si pensa che sia sempre opera degli israeliani la distruzione di una fabbrica di armi a Yarmouk, non lontano dalla capitale, Khartoum. Idem dicasi per l’esplosione di un deposito di esplosivi nel 2014. Alla fine di quell’anno, Bashir si rese conto che l’alleanza con l’Iran era diventata troppo pericolosa. Non solo a causa dei raid segreti israeliani, ma anche per la necessità di mantenere buoni rapporti con l’Arabia Saudita, fornitrice di petrolio, carente dopo la secessione del Sudan del Sud. Bashir chiuse i centri culturali vicini a Teheran ed espulse tutti i diplomatici della Repubblica Islamica. Nel 2015 il Sudan inviò un continente aereo in Yemen, per combattere dalla parte dei sauditi, contro le milizie Houthi filo-iraniane. Questa svolta in politica estera ha contribuito ad aprire un primo, informale e indiretto canale di comunicazione fra Sudan e Israele.

Tuttavia fu solo con il cambio di regime nel Sudan che l’accordo di pace è diventato possibile. L’11 aprile 2019, dopo giorni di proteste intense, un colpo di Stato dei militari ha portato al rovesciamento del sanguinario regime di Bashir. La guida del Paese è passata, di fatto, nelle mani dei militari, sotto forma di un Consiglio Militare di Transizione, guidato da Abdel Fattah al Burhan, a cui si è poi affiancato un embrione di governo civile con Abdalla Hamdok premier. Nel febbraio 2020, Netanyahu ha avviato un primo dialogo con al Burhan in un Paese terzo, l'Uganda, dove i due leader si sono accordati per una normalizzazione graduale. La prima iniziativa è stata la possibilità di sorvolo del territorio sudanese da parte dei voli di linea israeliani, poi l’invio di aiuti medici israeliani al Sudan, per fronteggiare l’epidemia di Covid-19, in maggio.

La mediazione americana è stata determinante per sbloccare le ultime resistenze. Il 19 ottobre, Donald Trump ha personalmente annunciato la rimozione del Sudan dalla lista nera degli Stati sponsor del terrorismo. In cambio, il Sudan ha stanziato 355 milioni di dollari di risarcimento per le vittime americane del terrorismo qaedista. Chiuso questo capitolo del passato recente fra Usa e Sudan, le trattative si sono concluse per normalizzare i rapporti anche con Israele. L’accordo è stato annunciato da Trump e confermato da Netanyahu il 23 ottobre. “A Khartoum, la capitale del Sudan, nel 1967 la Lega Araba adottò quella che venne chiamata la politica dei tre NO: No alla pace con Israele, No al riconoscimento di Israele e No al negoziato con Israele – ha dichiarato Netanyahu annunciando l’accordo – Ma oggi Khartoum ha detto: Sì alla pace con Israele, Sì al riconoscimento di Israele, Sì alla normalizzazione dei rapporti con Israele. Questa è una nuova era, un’era di vera pace”. La svolta si inserisce dunque nella scia degli Accordi di Abramo promossi dall’amministrazione Trump. Prima gli Emirati Arabi Uniti, poi il Bahrein, adesso il Sudan riconoscono Israele come vicino, in pace. I prossimi potrebbero essere Marocco e Oman. Forse anche l’Arabia Saudita che, però, tenderebbe ad aspettare un gesto di concessione israeliano nei confronti dell’Autorità Palestinese, di cui è protettrice.