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FUMO

Tabagismo, le origini malefiche del vizio più mortale

Sei milioni di vittime all’anno: è la seconda causa di morte al mondo, ma paradossalmente è la più evitabile in assoluto. Il tabagismo è il più letale dei vizi. Le sue origini non promettevano nulla di buono. Diffuso nelle Americhe pre-colombiane come parte dei riti sanguinosi delle loro religioni, si è diffuso in Europa soprattutto in guerra

Cultura 17_03_2019
Il fumo nell'America pre-colombiana

Sei milioni di vittime all’anno: è la seconda causa di morte al mondo, ma paradossalmente è la più evitabile in assoluto. Possiamo davvero dire che il tabagismo è uno degli strumenti più efficaci con cui il diavolo distrugge l’umanità: crea una tremenda dipendenza; non offre alcun beneficio; danneggia i feti e la sessualità; corrompe la salute dei ragazzi; è stato, almeno per alcuni decenni, elemento seduttivo e di grande charme per donne e uomini.

Da sempre le dipendenze sono state associate a entità malefiche, basti pensare al “demone del gioco”, al “demone della carne” e perfino la parola alcool deriva dall’arabo “algol”, che significa diavolo. La loro dinamica è sempre la stessa: facendosi subdolamente ritenere innocue, o addirittura positive, incatenano l’uomo in cambio di un fugace piacere momentaneo e lo conducono alla rovina fisica, economica, affettiva e sociale. Anche Allen Carr, l’autore di uno dei più famosi libri antifumo “E’ facile smettere di fumare” (EWI ed.), per spiegare l’azione della sindrome d’astinenza usa la metafora di un mostriciattolo affamato, un piccolo demone annidato dentro lo stomaco del fumatore, che periodicamente (e sempre di più) chiede di essere nutrito con la nicotina

Come se non bastasse, ripercorrendo la sua storia verifichiamo come il fumo nasca e prosperi in stretto contatto con religioni sanguinarie e anticristiane, con personaggi corrotti, con la guerra, la speculazione e lo sfruttamento dei popoli. La coltivazione del tabacco, inoltre, produce danni all’ambiente, sottraendo terreni alle foreste e alle colture alimentari. Di queste politiche fanno le spese i paesi del Terzo mondo, dove, peraltro, il consumo di tabacco è sempre più diffuso. Del resto, la sua nascita parla da sola: l’uso di fumare le foglie del tabacco trae origine dai feroci rituali mesoamericani che, come noto, praticavano come il sacrificio umano, lo scuioamento e il cannibalismo. I sacerdoti maya e aztechi, già un millennio fa, aspiravano il greve fumo del tabacco e lo soffiavano in direzione dei quattro punti cardinali per evocare le loro divinità. Già il governatore spagnolo di Santo Domingo, Don Fernando de Oviedo (1476 –1557) ne parlava in questi termini: «Fra le molte sataniche arti, gli indigeni ne posseggono una altamente nefasta, l'aspirazione del fumo delle foglie da essi chiamate tabacco che produce in loro un profondo stato di incoscienza».

Grazie all’espandersi dell’evangelizzazione dei missionari cattolici pratica si ridusse molto tra i nativi sudamericani. Si chiamava Rodriguez de Jerez il primo tabagista europeo: era un marinaio di Cristoforo Colombo che, a Cuba, aveva imparato dagli indigeni a fumare un cartoccio di foglie di palma, mais e tabacco. Tornato nella sua città natale, Ayamonte, in Andalusia, de Jerez riuscì a introdurre il fumo tra i suoi concittadini nonostante  l’Inquisizione spagnola lo avesse imprigionato per le sue abitudini “infernali e peccaminose”, liberandolo solo dopo sette anni. Troppo tardi.

All’insegna della pura menzogna, invece, l’introduzione in Europa che si deve al diplomatico francese Jean Nicot il quale donò a Francesco I di Valois e a sua moglie Caterina de’ Medici, le foglie e i semi del tabacco americano: fu presentato addirittura come medicamento portentoso, efficace contro il morso dei serpenti, i raffreddori, l’emicrania, le vertigini e perfino la peste. I sovrani ne furono entusiasti, tanto da concedere a Nicot il feudo di Villemain e da battezzare il vegetale “erba nicotina”, da cui il nome dell’alcaloide tossico contenuto nel tabacco che è responsabile della dipendenza.

L’Italia deve invece ringraziare un cardinale corrotto, ambizioso e avido di danaro. Prospero di Santacroce (1514-1589) era un abile diplomatico, ma amante del fasto tanto da spremere gli abitanti del proprio feudo, San Gregorio in Sassola (RM), al punto di condurli alla rivolta, con relative condanne capitali. Il cardinale si arricchì enormemente divenendo il principale importatore a Roma di tabacco che veniva appunto denominato “Erba Santacroce”. 

Il primo vero nemico il tabacco lo trovò in un monarca molto esperto – non a caso – di demonologia: Giacomo I Stuart, re d’Inghilterra, Irlanda e Scozia. Tanto per cominciare, fece decapitare Sir Walther Raleigh, navigatore ed esploratore che aveva portato in Irlanda il tabacco e che aveva cospirato contro di lui. Soprattutto scrisse re Giacomo il primo pamphlet contro il tabagismo: “A counterblaste to tobacco” (Contestazione al tabacco) in cui si legge: "E’ un'abitudine abominevole per gli occhi, odiosa per il naso, dannosa per il cervello, pericolosa per i polmoni, dal maleodorante e nero fumo, più simile all'orrido fumo dello Stige". Il fumo fu proibito nel Regno Unito e la coltivazione della pianta sottoposta a onerose gabelle. Grazie allo Stuart, la medicina europea cominciò a consapevolizzarsi sui danni del tabacco, ma ormai il giro di soldi che ruotava intorno a questo commercio era quasi più difficile da sradicare che non la dipendenza fisica di milioni di persone.

La nicotina è infatti la sostanza che, fra le droghe, dà maggiore dipendenza in assoluto. Per fortuna il suo effetto dura pochi giorni  se si prova a interromperne l’assunzione. Il piacere del fumo e la sensazione di benessere che ne deriva sono nient’altro che l’effetto dell’appagamento della crisi di astinenza da questa droga. L’inganno infernale è tutto qui. Ecco perché in una situazione-limite come la guerra, del tutto priva di piaceri, il tabacco è sempre stato visto come un “genere di conforto” e la guerra dei Trent’anni (1618 – 1648) lo diffonderà ovunque. Saranno invece i musulmani a regalarci le sigarette, quando nel 1799, durante l’assedio di San Giovanni d’Acri, (nell’attuale Israele) i soldati ottomani iniziarono a inserire del tabacco trinciato negli involucri di carta delle munizioni (le prime “cartucce” appunto) private della polvere da sparo. La trovata ebbe grande successo e durante la Guerra di Secessione (1861-’65), la domanda di sigarette crebbe all’inverosimile tanto che poi, grazie una nuova macchina che le produceva industrialmente, nascerà la American Tobacco Company. Fu durante le due guerre mondiali che la pubblicità, l’industria e il cinema diedero il massimo della propaganda per le sigarette, producendo danni enormi alla salute di militari e civili.

La dipendenza da nicotina, pur abbastanza tossica, porta infatti all’assunzione anche di 400 sostanze molto nocive di cui 40 cancerogene. Fra le più dannose, il benzene, la formaldeide, il catrame, metalli pesanti come il cromo e il cadmio, l’arsenico, il cianuro di idrogeno, il monossido di carbonio (lo stesso che uccide chi utilizza stufe mal funzionanti) l’ ammoniaca e l’ossido d’azoto. Nell’ultimo dopoguerra cominciarono a divampare le prime battaglie antifumo e le prime cause milionarie alle case produttrici di tabacco. Seguiranno più tardi  le leggi restrittive sul fumo in pubblico e sulla pubblicità. Oggi negli Stati Uniti chi fuma “un bastoncino di cancro” viene visto quasi come un paria e lo Stato ha applicato pesantissime accise, oltre a fare una buona informazione e a largheggiare coi divieti. Questa politica ha prodotto, negli ultimi 30 anni una diminuzione di due terzi  dei pacchetti di sigarette annui fumati procapite dagli americani, da 125 a 46. Certamente questa pubblica riprovazione non farà sentire a loro agio i fumatori americani (vogliamo dire che si sentono discriminati e non accolti?) ma, per quanto spiacevole possa essere, tale atteggiamento si dimostra necessario e utile alla tutela del bene collettivo e della salute delle giovani generazioni. Chi ha orecchie per intendere...