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BILANCI DI FINE ANNO

Te Deum laudamus, con le tracce del tuo amore ci educhi

Il dono di un figlio come un prodigio, la pazienza, le febbri e i tremolii notturni, gli amici. E poi un lavoro al servizio della verità, ma anche le umiliazioni e i dolori condivisi. Insomma: «Lode a Te, o Signore, perché anche quest’anno hai permesso che non mi allontanassi da Te». Un anno va in soffitta e lo chiudiamo con un Te Deum speciale: quello di una neo mamma in cerca delle «tracce del Tuo amore» nella sua vita. Come in quella di ognuno di noi.

Attualità 31_12_2019

Te Deum laudamus. Arriva il tempo dei bilanci, quello più arduo perché siamo più propensi a lamentarci per il tempo che passa, le occasioni perse, le aspirazioni inappagate, che a ringraziare per il miracolo dell’istante. Quindi, Signore, ti rendo grazie per mio figlio, che mi insegna che la vita non è nel passato e nemmeno nel futuro, ma “nell’affetto che principalmente la sostiene”, come spiega san Tommaso d’Aquino. Ti lodo Signore perché lo hai fatto come un prodigio, ché basta guardarlo per pensare a Te, a quanto sei grande e a quanto sia gratuito il mistero dell’essere che poteva non essere e invece c’è.

C’è, con quei cromosomi lì, perché in quell’istante, e non in un altro, ci siamo aperti alla vita. Grazie, perché questo tuo piccolo mi ha allargato il cuore! Non posso poi smettere di ringraziare per i dolori (cinque giorni di doglie, di cui dodici ore in sala parto) e il ritardo (dodici giorni) con cui è venuto al mondo, come a mettere subito in chiaro che “mamma, non mi controlli”, insomma a confondere i miei schemi dettati da una mentalità che tocca anche chi è fortemente contrario alla fecondazione assistita: quella secondo cui “il figlio è mio e me lo gestisco io”.

Grazie di questa fatica che me lo ha stretto ancora più vicino, per cui rifarei tutto da capo! Eh dai, ora mi lascio andare e ti do pure un abbraccio anche per avermelo dato buono ma terremotato e con un sonno agitato a cui mi sto arrendendo solo dopo notti di lotte orgogliose (“ché ti devo educare”). Ti ringrazio perché educarmi alla pazienza con lui è averla con me e perché non ci hai fatti come macchine noiosamente identiche, ma come degli unicum molto misteriosi che rendono ogni giornata passibile di sorprese stupefacenti.

Ti ringrazio anche per non avermi risparmiato le mastiti, le febbri a 41, i tremolii notturni, la candida, le ragadi, il galattocele e le lacrime annesse che mi sono tenuta per continuare ad allattare, perché mi hanno inciso nella carne il messaggio che si genera non per avere ma per dare… il che fa molto più felici. E perché attraverso tanti amici, ostetriche, mio suocero e mia suocera (sì, sono forse una delle poche fortunate che deve ringraziare per la sua bellezza d’animo, attenzione profonda e discreta e, chiedetelo a chi la conosce, non è piaggeria) venuti fino a casa, non mi hai mai lasciata sola. Come non pensare poi ai pasti “schifezze free” e alle pulizie compiute con gioia che hanno tramutato il mio essere barbaro (l’eccezione alla regola delle differenze fra uomo e donna) in qualcosa di più presentabile!?

Ma ti ringrazio anche per gli irrisolti che matrimonio e maternità, insieme alle loro dolcezze, hanno dolorosamente fatto emergere, perché mi stanno costringendo a vedere chi è la vera me (quella lì da cui amo prendere le distanze), unica possibilità di venire davanti a Te, pur lottando, con verità e quindi di conoscere sul serio il tuo amore. E che dire del mio lavoro che senza di Te non potrei svolgere e che è insieme compagnia vocazionale che mi attende e mi porta? Grazie perché, nonostante le mie incoerenze ed errori, Tu mi vuoi comunque al servizio della verità. Dovrei infatti cantare a squarciagola le tue meraviglie pensando alla babysitter che hai voluto per mio figlio, facendomi capire senza ombra di dubbio (ci mancava poco che scendessi dal cielo per indicarmela!) che era stata scelta da Te per permettermi di lavorare per qualche ora al giorno!

Lode, perché mi hai fatto comprendere che se facciamo dei patti con Te, e ti trattiamo come un Dio vivente accanto a noi, Tu non manchi di farti presente. Quale papà ama infatti genericamente senza agire nei dettagli della vita di suo figlio? Grazie perché, se anche a volte non ci credo, appena lascio un pertugio Tu ci entri e me lo ricordi.

Non posso poi dimenticare la paternità di don Vincent, che solo lui poteva prendermi davvero così come sono e, libero da progetti su di me, sbattermi in faccia la verità sulla mia miseria e sulla strada per trasformarla in redenzione.

Ti ringrazio anche per le difficoltà che mi portano a ribellarmi, perché seppur spesso mi paiono ancora come un segno della tua assenza (mettendo a nudo la mia debole fede) so che, se provo a rientrare nelle fila della domanda, sono le spine che mi allontanano dal credere in “sistemi talmente perfetti” (e da me ideati), come direbbe il poeta Eliot, per sentirmi buona anche senza di Te. Ma devo anche riconoscere le tracce del tuo amore nelle umiliazioni che permetti per uccidere quell’orgoglio che crea voragini fra le persone. Tracce presenti anche nei dolori dei miei fratelli e sorelle e che mi mettono in ginocchio generando la Comunione dei Santi. Quella che il mondo, abituato a presentare i suoi adepti muniti di maschere, pur inconsciamente desidera.

Grazie quindi per avermi riempito il cuore di gioia quando quell’amica, dopo tanta sofferenza e preghiera, ha trovato il compagno della sua vita, per quella che si sposa, per quella che ha partorito, per quella che ha ricevuto in adozione uno spettacolo preparato su misura per lei e per quella che ancora non sa quanto grande sarà la risposta che stai preparando alla sua mancanza.

Ma soprattutto ti lodo perché senza il dono dei doni che, dopo la fede, hai fatto alla mia vita non potrei nemmeno lontanamente scrivere queste righe: grazie, grazie, grazie per mio marito, Signore, perché la sua semplicità corregge la mia miopia in fatto di luci accese nel buio di quest’epoca, mentre la sua magnanimità mi sta insegnando (molto lentamente) ad accettare l’amore senza merito. Ti ringrazio per la sua certezza nel tuo bene, che mentre io mi slancio in voli pindarici con progetti eroici di santità, lui mi ricorda che l’eroicità sta nel vivere con amore l’istante quotidiano da cui vorremmo scappare. Ti ringrazio perché, selvaggiamente maschio, è incapace di piegarsi a qualsiasi tentativo di femminilizzazione da parte mia (che lo vorrei a volte una fotocopia di me). Ti ringrazio perché, in questa diversità che mi scandalizza (quale donna oggi non deve combattere con il femminismo che è in lei?), Tu mi completi e perché, in un mondo tutto rosa e gender, mio figlio potrà comprendere cos’è la virilità. Ma soprattutto di quale amore tenero e forte insieme sei capace Tu.

Ti ringrazio infine per i miei fratelli, un padre di quattro figli e un sacerdote, che mi fanno far memoria di cosa sia la vocazione cristiana e di cosa puoi fare se ti si lascia in mano il timone dell’esistenza. Ma ancor prima per mia madre e mio padre che ci hanno introdotto al rapporto con Te, unica possibilità per non far marcire la vita ma per viverla nella lotta e nella speranza del Paradiso.

Lode a Te, Signore, perché anche quest’anno, nonostante me, hai permesso che non mi allontanassi da Te, stringendomi i fianchi con le mani di mio figlio e mio marito e tenendomene una sulla testa con quella degli amici tuoi.