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IL CASO BATTISTI

Terroristi coperti, ecco come la Francia viola le leggi

Per la gran parte dei terroristi italiani condannati con sentenza passata in giudicato e scappati all’estero il motivo principale che impedisce che scontino il loro reato in Italia è principalmente politico. Il mandato di arresto europeo infatti è immeditamente eseguibile, ma sempre disatteso dai francesi. Una violazione palese che ora andrà affrontata a livello politico. 

Attualità 15_01_2019
L'arrivo di Cesare Battisti a Roma

Non c’entra la cosiddetta Dottrina Mitterand per i "francesi" e neppure il fatto che in alcuni casi, come quello di Alvaro Lojacono la sua cittadinanza svizzera impedirebbe che sconti la pena in carcere. Per la gran parte dei terroristi italiani condannati con sentenza passata in giudicato e scappati all’estero il motivo principale che impedisce che scontino il loro reato in Italia è principalmente politico. 

Da quando nel 2002 è stato siglato da tutti i paesi europei il mandato di arresto europeo non c’è dottrina che tenga. Potrebbero essere estradati immediatamente nel nostro Paese con una procedura molto più semplice rispetto alle pratiche di estradizione con i Paesi sudamericani.

In pratica, la Francia dal 2002 sta contravvenendo a degli obblighi sottoscritti in sede comunitaria ed è la cosa più grave dato che siamo di fronte a una palese violazione delle normative europee. 

Riportare dunque a casa i terroristi italiani rifugiati in Francia non solo dovrebbe essere più semplice che con Battisti, ma doveva essere fatto senza troppi intoppi molto prima. 

Nulla c’entra dunque la Dottrina Mitterand, cioè la disposizione firmata nel 1982 dall’allora presidente transalpino che dava protezione ai terroristi italiani in Francia perché non veniva riconosciuto l’istituto del pentitismo. E non c’entra per il semplice motivo che questa ormai non c’è più. Ed è dunque sbagliato addossare ad una legge che non è più in corso di validità una responsabilità che invece non ha. E non c’entra più neanche l’ostacolo formale che gran parte dei latitanti sono stati giudicati in contumacia - istituto che la Francia non riconosce - perché l’Italia ha di recente cambiato questa disciplina e potrebbe concordare un nuovo giudizio, se necessario, con lo Stato nel quale è latitante è fuggito, qualora venisse consegnato.

Eppure, la lista è lunga e il premier Matteo Salvini ieri, commentando il felice esito dell’estradizione di Cesare Battisti, ha così avuto buon gioco nel rivendicare il diritto di “andarci a prendere anche gli altri”. Per la verità non si tratta neppure di andarli a prendere perché la gendarmerie francese dovrebbe – e non l’ha mai fatto – semplicemente dare corso ad un obbligo di legge che ha e che disattende. 

In questo modo i tanti rifugiati sotto le protettive sponde della rive gauche possono sperare di continuare a farla franca, ma dato che ormai la volontà è solo politica, è a livello di politica che si deve sbloccare la situazione. Abbiamo notizia che al nostro ministero della Giustizia stanno riavviando pratiche di estradizione che in passato erano state promosse, ma poi erano state bloccate.

Giorgio Pietrostefani, fondatore di Lotta Continua e condannato per l’omicidio Calabresi è sulle rive della Senna impunito; e così anche Sergio Tornaghi, della colonna milanese della Br. Con loro anche Simonetta Giorgieri, leader delle Brigate rosse toscane condannata all’ergastolo per l’omicidio del maresciallo Francesco Di Cataldo che sulla Senna c’è dagli anni ’80. Da prima, precisamente il 1979, sverna anche Narciso Manenti che con i Commandi di Guerriglia Proletaria uccise il carabiniere Giuseppe Gurrieri a Bergamo. 

Dal 1982 i cugini danno ospitalità anche a Enrico Villimburgo, condannato all’ergastolo nel processo Moro e per gli omicidi Bachelet, Minervini e Galvaligi e la brigatista di primo livello Marina Petrella, coinvolta nel caso Moro e salvata nientemeno che dall’allora presidente Nicolas Sarkozy. Per tutti loro non si tratterebbe neppure, tecnicamente, di un’estradizione, ma di un adempimento di legge di fronte al quale la Francia non può derogare. E che invece disattende senza alcun motivo. 

Non si tratta dunque di una valutazione che Parigi e dunque oggi Macron può fare a discrezione perché il sistema di collaborazione tra tribunali, intelligence e forze dell’ordine è così affinato che non ci possono essere scusanti, come ad esempio addurre il fatto che il reato per il quale sono ricercati non è contemplato nel paese di approdo. Siamo infatti di fronte a omicidi politici, sui quali non ci sono giustificazioni di sorta. 

Anche per il caso di Alvaro Lojacono, brigatista della colonna romana che partecipò alla strage di via Fani, è vero che la sua condizione di cittadino svizzero lo mette al riparo da una estradizione, ma questo non significa che – proprio in virtù degli accordi con l’Italia – questi possa scontare il suo reato nel Paese che oggi lo ha adottato. Insomma, deve essere arrestato e detenuto in Svizzera. 

E così anche il neofascista Vittorio Spadavecchia, riparato a Londra dal 1982. Diverso invece il caso di Alessio Casimirri e Manlio Grillo, il primo brigatista della strage di via Fani, il secondo ex militante di Potere Operaio: sono entrambi in Nicaragua e hanno cambiato vita. Protetti da una legislazione che rende praticamente impossibile la consegna all'Italia: in Nicaragua infatti la Costituzione impedisce in modo assoluto l’estradizione di un proprio cittadino, e Casimirri lo è avendo sposato una nicaraguegna.