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Imparare ad amare

Torna in libreria il libro che accompagna gli ex gay

Il Progetto Luca, curato dall'associazione dell'ex gay Luca Di Tolve, ripubblica il fortunato libro del professor Gerard van den Aardweg Una strada per il domani.

Gender Watch 01_02_2021

Per gentile concessione dell’editore Luca Di Tolve pubblichiamo uno stralcio del fortunato libro Una strada per il domani scritto dal professor Gerard van den Aardweg, il quale ha donato l’opera per poterla rieditare in una versione più aggiornata e disponibile anche in Ebook. Si tratta di una fortunata guida all'introspezione dell'omosessualità che viene qui editata dal Progetto Luca e distribuita da Youcanprint e Fastbook reperibile nelle migliori librerie fisiche e online.

«È un testo che a me come ex-gay ha aiutato tantissimo e ha fatto da guida all'autoterapia dell'omosessualità indesiderata - ha spiegato Di Tolve alla Bussola -. Attorno al fenomeno dell'omosessualità ruotano ancora oggi convinzioni infondate che giustificano l'omosessualità come tendenza innata e naturale e pertanto favorevoli alla sua accettazione e normalizzazione. Studi scientifici più recenti portano però ad altra conclusione: l'omosessualità non ha un fondamento genetico ed è una condizione fluida che si può superare.

 

Ma è una condizione superabile anche da soli? Secondo l'autore del libro, sì. Sulla base di oltre trent'anni di studi e di un'esperienza terapeutica che lo ha portato a contatto con migliaia di persone con questo orientamento, van den Aardweg propone in quest’opera a chi liberamente lo sceglie una guida all'introspezione e all'autoterapia».

Per ordinare il libro QUI.

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LA RICERCA DI AMORE E DI AFFETTO

Green (1987, p. 377) sostiene che il «bisogno disperato di affetto in un bambino può spiegare la sua successiva ricerca di amore e di affetto in individui dello stesso sesso». Molti studiosi moderni concordano su questo: è dimostrato che una perso- na è sensibilmente influenzata dal complesso d’inferiorità maschile e dalla sua autocommiserazione. Il bambino, infatti, può aver sofferto per la mancanza di stima e di interesse da parte del padre, in altri casi di suo fratello o dei suoi fratelli, oppure dei suoi compagni, e conseguentemente essersi sentito inferiore rispetto agli altri.

Il bisogno di amore che ne deriva è dunque un bisogno di appartenere al mondo maschile, di ricevere il riconoscimento e l’amicizia di coloro rispetto ai quali si sente inferiore.

A questo punto, però, non si deve incorrere in un malinteso purtroppo ricorrente. Spesso si crede che chi non ha ricevuto (sufficiente) amore durante l’infanzia, e ne ha risentito psicologicamente, potrà essere curato ricevendo successivamente tutto l’affetto mancato. Molti approcci terapeutici si basano proprio su questa premessa. Ma non è così semplice. Per prima cosa dobbiamo sottolineare che non è tanto l’oggettiva mancanza di amore che influisce, quanto la percezione che il bam- bino ha di essa – e ciò per definizione rimane una questione soggettiva.

I bambini possono interpretare in maniera errata il comportamento dei genitori e, per la loro tipica tendenza a drammatizzare, immaginare di non essere voluti o che i loro genitori sono cattivi e così via. L’idea che un adolescente ha del trattamento riservatogli dai propri genitori non va mai considerata come un elemento oggettivo!

Inoltre, il vuoto d’amore non può essere colmato semplicemente mettendo amore. Questa è senza dubbio la soluzione desiderata dall’adolescente afflitto, il quale immagina: «Se ricevo l’amore che mi è tanto mancato, sarò felice». Ma se accettiamo questa teoria rischiamo di trascurare un fattore psicologico essenziale: l’esistenza dell’attaccamento all’autocommiserazione.

L’affetto può aiutare a superare la frustrazione soltanto prima che il giovane si abitui a considerarsi un essere misero; una volta che l’atteggiamento del “povero me” si è radicata, la sua ricerca d’amore non è più un impulso funzionale, obiettivamente mirato a un recupero; esso è parte ormai integrante dell’atteggiamento di autodrammatizzazione: «Non riceverò mai l’amore di cui ho bisogno!».

Si sviluppa così una brama insaziabile che non verrà mai soddisfatta. La ricerca d’amore nelle persone dello stesso sesso è un desiderio ardente che l’omosessuale non potrà mai placare finché rimarrà vivo l’atteggiamento del “povero me” da cui si origina. Oscar Wilde si lamentava dicendo: «Ho sempre cercato l’amore e ho trovato solo amanti». La madre di una ragazza lesbica suicida ha osservato: «In tutta la sua vita Helen ha sempre cercato l’amore», ma naturalmente non l’ha mai trovato (Hanson 1965, p. 189). Perché? Perché Helen dipendeva dalla sua autocommiserazione adolescenziale per non essere stata amata dalle altre donne. In altre parole, Helen era un’“adolescente tragica”. Per loro intima natura, le storie d’amore omosessuali sono dei veri e propri drammi; più appassionati sono gli amanti, meno soddisfazione troverà chi soffre.

Questo meccanismo di pseudorecupero scatta in modo analogo in altre persone alla ricerca di affetto e anche molti soggetti nevrotici ammettono di esserne succubi. Riportiamo il caso di una ragazza che aveva avuto numerose relazioni con uomini diversi, tutti corrispondenti a una figura paterna rassicurante.

Eppure, si sentiva maltrattata da ognuno, perché continuava ad autocommiserarsi per il fatto di non essere amata (il punto di partenza di questo suo complesso è stato il rapporto con il padre). Come può dunque l’affetto curare chi è ossessionato dalla tragica idea di essere “il rifiutato”?

Cercare amore per curare le proprie ferite è un meccanismo passivo ed egocentrico. L’altra persona esiste soltanto per amare il “povero me”. Questo non è amare in modo maturo, bensì elemosinare affetto. L’omosessuale sente di provare affetto, di amare, di voler proteggere qualcuno, ma in realtà è un gioco per attirare a sé l’altro, intriso di sentimentalismo e pro- fondo narcisismo.