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EDITORIALE

Tornano i lupi e cacciano l'uomo

Il proliferare di lupi (e di altri grandi predatori) sta mettendo a rischio la pastorizia e l'allevamento in Europa e soprattutto in Italia. E' l'esito di un ambientalismo estremo.

Editoriali 15_11_2013
Il lupo

C’è una drammatica novità che in Italia viene per lo più censurata mentre altrove ormai fa notizia: si tratta del ritorno dei lupi, che l’anno scorso in Francia hanno sbranato o comunque provocato la morte di quasi 6 mila pecore e che sulle Alpi piemontesi stanno in molti luoghi rendendo impossibile la pastorizia.

E’ evidente il motivo per cui l’ambientalismo più estremista si è mobilitato per censurare il problema e reagisce rabbiosamente contro chi lo solleva: perché fa emergere l’insostenibilità di tale ambientalismo, che vede nell’uomo un intruso nella natura, un fattore di squilibrio, una presenza che lascia “impronte” non gradite. In tale prospettiva, in attesa che l’uomo sparisca dalla faccia della terra, lo si prega quantomeno di non disturbare, e quindi di… imparare a convivere con i grandi carnivori.

Solo per educarci a convivere col lupo sulle Alpi l’Unione Europea non ha esitato nel 2012 a stanziare sei milioni di euro a finanziamento di misure tra l’altro per la “conservazione della specie” e per “contrastare l’impatto predatorio” del lupo “sul bestiame”, due obiettivi che si escludono a vicenda (a meno di fornire ai lupi carne in scatola). E resta ancora aperto il problema della nostra educazione alla convivenza con l’orso, con il cinghiale e così via.

Si tratta non soltanto di un nuovo colpo tirato da un ambientalismo astratto e irresponsabile alle spalle di coloro per cui la montagna è luogo di vita, e non soltanto il sogno di una notte di mezz’estate. E’ ormai un problema che un po’ in tutti i Paesi sviluppati sta assumendo contorni che vanno ben oltre le aree non urbanizzate ove i grandi predatori carnivori (come anche i cinghiali e altri erbivori devastatori di pascoli e vigne) stanno dilagando.

Tenuto conto che l’intangibilità del lupo rientra assolutamente in Italia nella cultura del “politically correct”, non a caso di matrice tipicamente metropolitana, è significativo che da alcuni mesi -- dopo esser stata relegata a lungo nelle pagine di cronaca locale –  -- la questione abbia raggiunto le pagine principali di un quotidiano di importanza nazionale come La Stampa; forse inevitabilmente dal momento che come dicevamo in diverse valli delle Alpi piemontesi il ritorno del lupo sta già da tempo causando grave disagio.

“La Francia caccia i lupi, l’Italia li protegge”, era ad esempio il titolo in prima che su La Stampa dello scorso 15 ottobre commentava la foto a tre colonne di un branco di lupi nella neve. All’interno ampio spazio  veniva dato all’argomento con un’abile mediazione tra il “politically correct”, che in Italia impone un occhio di tutto riguardo per il lupo, e le decisioni che si sono prese in Francia dopo che nel 2012 ben 5848 pecore e capre sono state sbranate dai lupi. Si calcola che, a vent’anni dalla loro prima ricomparsa in Francia, attualmente i lupi siano almeno circa 250, diffusi soprattutto nel Sud-est ma ormai anche in Lorena e sui Pirenei.

Nella regione Provenza-Alpi-Costa Azzurra, PACA -- dove già si erano consentite specifiche battute di caccia ai cervi e ai cinghiali intese a contenerne la popolazione entro limiti compatibili con la tutela dell’agricoltura --  Parigi aveva autorizzato pure la caccia al lupo per analoghi motivi. Adesso tale decisione è bloccata da ricorsi dei “verdi” al Consiglio di Stato contro cui si sono mobilitate organizzazioni di pastori e di allevatori.

Il problema peraltro non si pone soltanto in Francia. In Germania il lupo è ricomparso nelle poco abitate pianure del Brandeburgo che attorniano la capitale del Paese. La notizia è giunta fino a The Economist che la pubblicò col titolo ad effetto “I lupi si avvicinano a Berlino”. In Svizzera, a partire dal Canton Grigioni, si moltiplicano le iniziative popolari per una revisione della convenzione internazionale, siglata tra l’altro a Berna nel 1979, con cui era stata rigorosamente vietata la caccia al lupo per salvarlo dall’estinzione. Oggi, osservano con buoni motivi i promotori di tale revisione, quell’accordo va rivisto poiché a rischio di estinzione non sono più i lupi, ma a causa loro i pastori e gli allevatori. A Poschiavo, centro principale dell’omonima valle di lingua italiana dei Grigioni, dove il problema è nato a seguito dello sconfinamento di orsi dal Trentino, è recentemente sorta, raccogliendo vasti consensi, un’Associazione per un Territorio libero da Grandi Predatori.

Frattanto si è appreso che negli Usa, malgrado l’opposizione degli ambientalisti, il presidente Obama ha ribadito la volontà del suo governo di autorizzare la caccia “di contenimento” al lupo in tutti gli Stati in cui -- dopo che anni fa era stato reintrodotto nelle Montagne Rocciose settentrionali – l’animale è poi dilagato fino a divenire una presenza insostenibile. Ovvero gli Stati di larga parte degli Usa: il Nordest, il Nordovest, le Montagne Rocciose meridionali e la California.

Da noi in Europa, e in particolare nelle terre alte sia delle Alpi che di altre catene montuose, il ritorno degli orsi (che essendo onnivori sono anche carnivori diversamente da come ce li spacciano nei  cartoni animati), dei lupi, dei cinghiali e dei cervi (devastatori i primi dei pascoli e i secondi dei boschi) rendono sempre meno praticabile la pastorizia e l’alpeggio, con danni all’ambiente alpestre ben più che proporzionale ai pur legittimi interessi immediati di pastori e allevatori. Negli Stati Uniti, che hanno soltanto 33 abitanti per chilometro quadro e non 201 come ne abbiamo noi, dalle montagne deserte i lupi scendono adesso nelle vaste pianure, punteggiate da centri urbani siti a grande distanza l’uno dall’altro, in cui consiste buona parte del territorio del Paese. A tanto stanno giungendo in tutto il mondo industrializzato le aberrazioni provocate da un ambientalismo estremista nemico dell’uomo.