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SCIENZA E FEDE

Townes, il padre del laser che vedeva Dio nell'universo

Pochi giorni fa è morto, a 99 anni, Charles Townes, premio Nobel per la fisica nel 1964 e padre del laser. Townes non ha mai considerato la scienza nemica della religione, ma era convinto che la scienza vuole comprendere il nostro mondo, mentre la religione il «significato e scopo del nostro universo».

Cultura 09_02_2015
Charles Townes

Il laser è da tempo un’invenzione di uso comune, in fisica, astronomia, medicina, e nella vita di tutti i giorni (lettori cd e dvd…). Il primo venne costruito 55 anni fa, nel 1960, e proprio alcuni giorni orsono, il 15 gennaio, è morto, a 99 anni, il suo inventore. Stiamo parlando di Charles Townes, premio Nobel per la fisica nel 1964 per l’invenzione del maser, uno strumento nato dalla volontà di creare un sistema di comunicazione attraverso le microonde e destinato ad essere l’antenato, appunto, del futuro laser. 

Townes è stato un fisico e un professore molti stimato, per cinquant’annipunto di riferimento, per le sue conoscenze e la sua passione, per molti fisici americani. Uno dei suoi interessi era la riflessione filosofica, suscitata in lui dallo studio della natura. Del resto sino all’Ottocento quelli che noi oggi chiamiamo fisici, da Galilei a Keplero a Newton, amavano definirsi “filosofi naturali”. Sono celebri, in particolare, ma non in Italia, alcune riflessioni di Townes sul rapporto tra scienza e religione. Townes è convinto che «la scienza è il tentativo di comprendere la struttura del nostro mondo», mentre la religione consiste nella comprensione del «significato e scopo del nostro universo».

In un discorso pronunciato nel 2002 in California, intitolato The convergenece of Science and Religion, Townes spiega che i paralleli che si possono fare tra scienza e religione sono molteplici: anche lo scienziato, infatti, ha letteralmente “fede”: ad esempio in alcuni postulati indimostrabili, nell’ordine oggettivo nel mondo e nella sua comprensibilità per l’uomo, o, ancora, nella possibilità di unificare progressivamente le leggi della natura (la reductio ad unum della filosofia). Inoltre, prosegue Townes, anche l’uomo di fede utilizza ragione, osservazione, e cioè “esperimenti”, nel momento in cui osserva il comportamento umano e si chiede: «che cosa rende meravigliosa una persona? Che cosa rende una vita piena di significato e felice?». 

Il discorso di Townes affronta poi le conoscenze più recenti della cosmologia, e si sofferma in particolare sull’origine e la struttura dell’universo. Oggi crediamo, afferma, che l’universo ha avuto un “inizio”, il Big bang: «noi ora sappiamo che ci fu un evento unico, quando ogni cosa era molto piccola. Noi potremmo chiamarlo il momento della creazione. Molti eccellenti scienziati hanno combattuto questa posizione molto duramente, credendo che non ci può essere stato alcun simile evento unico. Ma ora quasi tutti sono convinti». Questo universo, che ha avuto un inizio, come si presenta ai nostri occhi? Townes ritiene che esso sveli ai fisici che lo interrogano di essere “very special”, “molto speciale”, tanto da rivelare l’esistenza di un intelligent planning, un piano intelligente sottostante all’ordine cosmico. 

L’universo, per Townes, non è un insieme di accidenti, all’interno del quale si colloca l’accidente casuale uomo. É, al contrario, il risultato «di leggi della fisica che hanno certi particolari valori e non altri», e ciò porta al cosiddetto Principio Antropico: basterebbe che la terra non fosse alla giusta distanza dal Sole, che la Luna non ci proteggesse dalle comete, che alcuni valori numerici fossero leggermente diversi… e nel nostro universo non sarebbero mai sorte né la vita né l’uomo. Questi “felici accidenti” sono incidenti coordinati e coesistenti per caso, o il frutto di un progetto intelligente? Per Townes la risposta più ragionevole è la seconda. Altrimenti, scrive, bisognerebbe ipotizzare, come fanno alcuni per risolvere il problema, un numero infinito di universi, «ciascuno con le proprie caratteristiche e leggi fisiche» e così la vita potrebbe sorgere, per caso, in almeno uno di essi. 

Ma l’ipotesi del multiverso appare a Townes un “postulato” ideologico, un tentativo ben poco scientifico di giustificare la realtà rimandando ad un’altra realtà inosservabile (se gli universi infiniti paralleli esistessero, non potremmo però, mai, osservarli), senza spiegare, per esempio, «perché o come le leggi fisiche dovrebbero cambiare a caso da un universo all’altro». Molto c’è ancora da capire, e ci sono certamente cose che la scienza non potrà forse mai comprendere, conclude Townes, ma si può credere che «scienza e religione cresceranno sempre più strettamente insieme». Un’idea, si può ricordare che apparteneva a tanti altri grandi fisici, compresi due che in quest’anno internazionale della luce non si possono dimenticare. Max Planck e Robert Millikan.