Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
San Galdino a cura di Ermes Dovico

PAPA

«Tra profitto e solidarietà un legame originale»

Il denaro è uno strumento buono che accresce la capacità della libertà umana; il male sta nel volere trattenere tutto per sé. Lo scrive papa Francesco nell'introduzione al volume del prefetto per la Congregazione della fede, mons. Müller.

Economia 20_02_2014
Povertà

Papa Francesco ha reso nota il 19 febbraio la prefazione che ha scritto al libro di mons. Gerhard Ludwig Müller, prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede e prossimo cardinale, Povera per i poveri. La Chiesa della Missione (Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2013). A qualcuno il testo riserverà qualche sorpresa. A differenza di quanto avviene in tanto pauperismo imperante, il Papa non condanna il denaro e il profitto, ma invita a scoprire che il profitto ha un «legame originale» con la solidarietà di cui parla la dottrina sociale della Chiesa.

Francesco inizia ribadendo un tema che gli è caro: non c’è solo la povertà economica, «ci sono tante forme di povertà» fra cui quelle «spirituali, sociali, morali». È semmai il nostro mondo moderno occidentale a considerare «poveri» soltanto coloro che hanno poco denaro, e a temere questa forma di povertà guardandola «con orrore». Questo ci dice qualcosa sul mondo in cui viviamo: «il suo governo si fonda essenzialmente sull’enorme potere che il denaro ha acquisito oggi, un potere apparentemente superiore a ogni altro», con la conseguenza che «chi non possiede denaro, viene considerato solo nella misura in cui può servire ad altri scopi». 

Eppure, insiste il Pontefice, la dottrina sociale della Chiesa c’invita a non demonizzare il denaro. Di per sé il denaro è «uno strumento buono», «uno strumento che in qualche modo prolunga e accresce le capacità della libertà umana». Perché allora sembra che Gesù nel Vangelo condanni il denaro, bollandolo con il termine aramaico «mammona»? Il Papa ci guida a comprendere bene questa parola. «Mammona» significa letteralmente «tesoro nascosto». La prima accezione è negativa: il tesoro è nascosto nel senso che lo nascondiamo agli altri, ce lo teniamo avidamente in casa anziché farlo fruttificare. «Quando il potere economico è uno strumento che produce tesori che si tengono solo per sé, nascondendoli agli altri, esso produce iniquità, perde la sua originaria valenza positiva». Allora il denaro «può ritorcersi contro l’uomo», chiudendolo «in un orizzonte egocentrico ed egoistico».

Questo però significa che nel denaro e nello stesso «potere economico» di chi ha denaro una «valenza positiva» c’è. «Mammona», in un secondo significato, è un tesoro «nascosto» nel senso che il suo vero significato – potenzialmente positivo, anche se di fatto spesso è usato in modo negativo – dev’essere scoperto. San Paolo nella Lettera ai Filippesi usa un termine greco parallelo, «arapagmos», una parola che indica talora quanto «si è rapinato agli altri» ma altrove è usata in senso più generale per designare «un bene trattenuto gelosamente per sé». Il male qui non sta nei beni, ma nel trattenerli per sé in modo geloso, avaro e ultimamente improduttivo. Questo avviene quando i beni sono «utilizzati da uomini che conoscono la solidarietà solo per la cerchia – piccola o grande che sia – dei propri conoscenti o quando si tratta di riceverla, ma non quando si tratta di offrirla». L’uomo, «avendo perso la speranza in un orizzonte trascendente, ha perso anche il gusto della gratuità, il gusto di fare il bene per la semplice bellezza di farlo».

Ma immaginiamo, suggerisce il Papa, uno scenario diverso. Immaginiamo un uomo ricco educato a riconoscere «la fondamentale solidarietà che lo lega a tutti gli altri uomini». Quest’uomo bene educato alla solidarietà non vivrà nel timore di perdere il suo denaro portandolo, per così dire, fuori di casa e mettendolo a frutto nell’interesse certo suo proprio, ma anche degli altri. Anzi, si convincerà che questo è proprio il modo di realizzare profitto, anche in tempi difficili. «Quando vive abitualmente nella solidarietà, l’uomo sa che ciò che nega ad altri e trattiene per sé, prima o poi, si ritorcerà contro di lui». Ecco dunque il cuore del ragionamento di Papa Francesco: esiste «un originale legame tra profitto e solidarietà», e «una circolarità feconda fra guadagno e dono». «Il peccato tende a spezzare e offuscare» la percezione di questo legame. Ma il legame esiste. Quando i beni «sono utilizzati non solo per i propri bisogni […] diffondendosi si moltiplicano e portano spesso un frutto inatteso». 

Il Papa invita i cristiani che operano nel mondo dell’economia a «riscoprire, vivere e annunciare a tutti questa preziosa e originaria unità fra profitto e solidarietà». È un insegnamento di Benedetto XVI, più volte ripetuto: non volete introdurre più morale nell’economia in nome della morale? Introducetela in nome dell’economia. Scoprirete che, prestando più attenzione alla morale, spesso i beni «si moltiplicano», il profitto aumenta, la povertà diminuisce.

Soprattutto – e da subito – ristabilendo il primato dell’etica diminuisce un’altra povertà, più grave di quella economica: la povertà spirituale e morale. L’uomo vive sempre il «limite dell’impotenza davanti a qualcuno o qualcosa». È la «condizione che caratterizza il nostro essere “creature”», che chiede un umile e «leale riconoscimento». Tutti, anche i ricchi sono poveri: manca sempre qualcosa perché la nostra vita sia pienamente come l’avevamo sognata. «Possiamo vivere ciò come una debilitazione del vivere oppure come una possibilità, come una risorsa», come un’occasione di «conversione» in cui riscopriremo anche la solidarietà. Non è una scusa per non correggersi dai propri difetti e peccati. Ma, esorta il Pontefice, «pur facendo tutto ciò che è in nostro potere e rifuggendo ogni forma di irresponsabile assuefazione alle proprie debolezze, non temiamo di riconoscerci bisognosi e incapaci di darci tutto ciò di cui avremmo bisogno, perché da soli e con le nostre sole forze non riusciamo a vincere ogni limite».

Dalle povertà alla fine si esce affidandosi integralmente a Dio. Egli infatti «si è curvato e si curva su di noi e sulle nostre povertà per aiutarci e per donarci quei beni che da soli non potremmo mai avere». «Da Dio – conclude il Papa – possiamo infatti avere quel Bene che nessun limite può fermare, perché Lui è più potente di ogni limite», compresa la morte. Il Signore Gesù ha vinto la morte, la più radicale delle povertà, e oggi ci chiama a partecipare alla sua vittoria.