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ELEZIONI USA

Trump contro Biden, alla prova del coronavirus

La partita per le prossime elezioni presidenziali pare ormai decisa: a meno di non avere ulteriori sorprese sarà Biden contro Trump. E in questa primavera, l’inizio della campagna presidenziale si giocherà tutto sul modo in cui verrà affrontata l’epidemia di coronavirus, che è scoppiata anche negli Stati Uniti nelle ultime due settimane.

Esteri 19_03_2020
La chiusura della frontiera Usa-Canada

La partita per le prossime elezioni presidenziali pare ormai decisa: a meno di non avere ulteriori sorprese sarà Biden contro Trump. E in questa primavera, l’inizio della campagna presidenziale si giocherà tutto sul modo in cui verrà affrontata l’epidemia di coronavirus, che è scoppiata anche negli Stati Uniti nelle ultime due settimane.

Il candidato Repubblicano sarà ancora Donald Trump. Questa parrebbe essere una non-notizia, considerando che è il presidente uscente. In realtà, non tutti sanno che fino a ieri c’era uno sfidate anche nelle elezioni primarie del Grand Old Party: l’ex governatore del Massachusetts, William Weld. Dal 1991 al 1998, per due mandati consecutivi, era passato alla storia come primo governatore repubblicano del Massachusetts, fino ad allora feudo dei Kennedy e dei Democratici. Nel 2016 si era schierato contro entrambi gli sfidanti (Trump e Clinton) nel Partito Libertario ed era stato scelto da Gary Johnson come candidato vicepresidente. Martedì ha nuovamente subito sconfitte eclatanti in Florida e Illinois, regalando a Trump la certezza matematica (sul numero di delegati vinti) della vittoria delle primarie. Ieri pomeriggio, William Weld ha annunciato ufficialmente il suo ritiro.

Anche in campo democratico la partita è quasi del tutto chiusa. Nell’ultima tornata delle elezioni primarie, in Florida, Illinois e Arizona, ha vinto l’ex vicepresidente Joe Biden, mettendo ko lo sfidante socialista Bernie Sanders. La Florida, uno degli Stati più popolosi, quindi strategicamente importanti (i delegati eletti sono proporzionali alla demografia locale) Biden ha vinto con il 61,9% dei voti contro il 22% di Sanders. L’ex vice di Obama ha fatto eleggere 151 delegati su 219 in Florida, 93 su 155 in Illinois e 37 su 67 in Arizona, spianando la strada alla sua vittoria: ha quasi il 53% dei delegati eletti finora a livello nazionale e il 57,6% del numero totale di delegati necessari a ottenere la nomination a candidato presidente. Strada molto in salita per Sanders: dovrebbe vincere il 63% di tutti i delegati non ancora eletti, nelle prossime primarie per riuscire a rimontare. La prospettiva è talmente difficile, per lui, che in un incontro a porte chiuse con i suoi sostenitori ha iniziato a valutare se proseguire la corsa o gettare la spugna. E’ apparso anche molto nervoso ai microfoni dei giornalisti: secondo la Cnn, alla domanda su quando avrebbe preso una decisione, avrebbe risposto volgarmente “Sto occupandomi di una fo***ta crisi globale e voi mi fate queste domande? Proprio ora sto facendo del mio meglio per evitare un collasso economico e perché la gente non muoia”.

Il riferimento alla “crisi globale”, dovuta al coronavirus, non è casuale. Sanders aveva puntato tutto sull’epidemia, lanciando strali contro i ritardi del Governo Federale nell’affrontare il suo scoppio e fornendo la sua soluzione: la nazionalizzazione della sanità, sul modello europeo. La risposta di Biden ai continui attacchi di Sanders, nel corso dell’ultimo faccia-a-faccia televisivo prima del voto, potrebbe lasciar delusi molti italiani che sperano nell’ex vicepresidente di Obama: “Con il dovuto rispetto della copertura sanitaria universale – ha detto Biden rivolto al suo avversario – noi abbiamo l’esempio di un sistema pubblico in Italia. Non ha funzionato”. Una frase così può apparire insolita, ma non è: l’amministrazione Obama, infatti, non ha mai nazionalizzato il sistema sanitario, ha semmai dato incentivi per estendere la copertura assicurativa (privata) dei cittadini. La sanità statunitense, anche dopo l’Obamacare, è infatti ancora un sistema misto, in cui prevale il privato e dove il pubblico subentra, in via sussidiaria, per dare aiuto a chi non ha i mezzi per pagarsi l’assistenza.

La prossima campagna presidenziale (Trump contro Biden, molto probabilmente) sarà certamente combattuta sul tema della sanità, ma non vedrà contrapporsi due modelli troppo differenti fra loro. Semmai si combatterà sul tipo di risposta che l’amministrazione avrà saputo dare all’epidemia: quanti ammalati, quanti morti, quanto si sarebbero potuti evitare. I risultati sono ancora tutti da vedere, perché gli Usa sono ancora all’inizio. In questa battaglia, l’opposizione è avvantaggiata, può criticare Trump senza sporcarsi le mani con provvedimenti dolorosi che sicuramente dovranno essere presi.

L’inizio non è incoraggiante per il presidente in carica: gli si rimprovera di aver sottovalutato il pericolo (fino a una settimana fa denunciava le “esagerazioni” dei media e definiva il coronavirus meno letale di un’influenza) e di essersi mosso tardi. Tuttavia, dopo aver realizzato appieno quale fosse la posta in gioco, ha iniziato a prendere provvedimenti molti drastici: blocco dei voli con l’Europa continentale, blocco della frontiera di terra con il Canada, mobilitazione parziale del Pentagono (che aiuterà a costruire ospedali da campo a New York e metterà a disposizione almeno due grandi navi ospedale, una per costa). Per colmare il grave ritardo dei tamponi (appena 15mila effettuati, su una popolazione di oltre 300 milioni di americani), la Casa Bianca ha preso accordi con compagnie e catene private quali Walmart, Cvs e Target, per effettuare tamponi in ogni loro parcheggio, per chiunque lo richieda. Google sta mettendo a punto una mappa aggiornata per indirizzare la gente alle stazioni in cui si effettuano i test. La Palantir (la compagnia di raccolta dati che aiutò a scovare Bin Laden), sta mettendo a punto un metodo per tracciare i contagiati e mappare il contagio. Un’altra compagnia privata, la Roche, ha messo in produzione un nuovo metodo per ottenere in modo rapido e più facile i risultati dei tamponi. Il Congresso, dal canto suo, ha fatto passare una legge che copre le spese dei test per il coronavirus e permette ai singoli Stati (rimborsandoli) di estendere il programma Medicaid alla copertura delle spese che i pazienti privi di assicurazione sanitaria dovranno affrontare per curarsi dal Covid-19. La macchina, pubblica e privata, si sta insomma mettendo in moto a pieno regime. Trump e i Repubblicani sanno che se dovessero fallire questa prova, qualunque cosa abbiano fatto negli ultimi quattro anni, andrebbero comunque a casa.