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PRO LIFE

Trump sceglie la vita: lotterà contro gli abortisti

Donald J. Trump ha compiuto un gesto clamoroso. Ha lanciato la Pro-Life Coalition promettendo, qualora divenisse presidente, di combattere radicalmente l’aborto. Dopo mille dubbi e giravolte, alla fine il candidato repubblicano ha optato per la vita, contro Planned Parenthood.

Esteri 22_09_2016
Trump pro life

Il candidato alla Casa Bianca del Partito Repubblicano Donald J. Trump ha compiuto un gesto clamoroso. Ha lanciato la Pro-Life Coalition promettendo, qualora divenisse presidente, di combattere radicalmente l’aborto dal vertice delle istituzioni statunitensi. E poi ha messo l’impegno nero su bianco indirizzando una lettera a tutti i leader antiabortisti del Paese per invitarli a fare quadrato.

Alla guida della Coalition, Trump ha nominato Marjorie Dannenfelser, presidente della Susan B. Anthony List, l’influente organizzazione che dal 1993 si occupa di favorire l’elezione di personale politico antiabortista, soprattutto donne, onde contrastare l’azione della Emily’s List, nata nel 1985 con il proposito opposto e tra l’altro maggior singolo finanziatore della carriera politica della candidata presidenziale del Partito Democratico Hillary Clinton. Laddove il nome dell’organizzazione filoabortista è un acronimo («Early Money Is Like Yeast», “I soldi che arrivano presto sono come il lievito”, ovvero le donazioni che giungono all’inizio di una campagna politica hanno il potere di attrarne poi molte altre), quello della sua rivale pro-life è invece un omaggio alla madrina del femminismo americano (nata nel 1820 e scomparsa nel 1906), rigorosamente antiabortista come la Sinistra non ama affatto ricordare.

Dopo avere sottolineato l’«estremismo» della Clinton, secondo cui i bambini non ancora nati non godono di alcun diritto costituzionale e le fedi religiose che ancora contrastano l’aborto vanno modificate, Trump elenca con chiarezza i dettagli della sua politica in difesa della vita umana nascente.

Anzitutto s’impegna a nominare alla Corte Suprema federale giudici antiabortisti. Tra l’altro, dopo la morte del cattolico conservatore Antonin G. Scalia (1936-2016), la nomina del suo sostituto (Barack Obama ha proposto il liberal Merrick Garland) è da mesi sospesa in un limbo. Quindi s’impegna ad approvare il “Pain-Capable Unborn Child Protection Act” mirante a rafforzare il limite legale entro cui è consentito praticare un aborto sulla base della capacità del nascituro, scientificamente dimostrata, di percepire dolore. Dunque s’impegna a negare finanziamenti pubblici alla Planned Parenthood (PP), il maggior abortificio del mondo, fintato che essa continuerà a praticare aborti, riallocando le cifre così risparmiate a centri medici fornitori di ben altre cure. 

Infine s’impegna a rendere permanente l’“Hyde Amendment”, che, essendo ciò che viene definito un rider, ovvero un’aggiunta in coda ad altri leggi, dev’essere riapprovato anno per anno. Introdotto nel 1976 per iniziativa del deputato cattolico Repubblicano Henry J. Hyde (1924-2007), impedisce di utilizzare i soldi dei contribuenti per finanziare l’aborto se non nel caso d’incesto o di stupro (grazie a esso, l’Amministrazione retta dal presidente George W. Bush  Jr. ha potuto negare per anni milioni di dollari di quote statunitensi all’UNFPA, l’agenzia filoabortista sulla popolazione delle Nazioni Unite).

Si tratta con tutta evidenza di un programma ambizioso e solenne. Ed è una grande novità. Trump, infatti, non è certo famoso come campione del diritto alla vita. Su debolezze così si sono del resto concentrate le critiche del mondo conservatore. Sull’aborto, Trump ha cambiato idea più volte e sulla PP è stato spesso ambiguo: per esempio dicendosi favorevole alla negazione di fondi pubblici, ma solo per quel che attiene all’aborto, dato che, secondo lui, la PP non praticherebbe solo aborti. A parte che nessun pro-lifer negherebbe fondi alla PP se la PP non praticasse l’aborto, il punto nodale è che la PP di fatto pratica solo aborti: l’affermazione secondo cui meno del 3% delle sue attività riguardano l’aborto è infatti una menzogna.

Dopo avere dunque allarmato il mondo pro-life, Trump sull’aborto ha cambiato ancora una volta idea e questa volta dalla parte giusta. Ora, è evidente che su un tema così radicale nessuno cambia idea a meno di una conversione o, viceversa, di un atto di apostasia. Dunque è evidente il calcolo politico di Trump, anzitutto e soprattutto perché la sua rivale, con cui nei sondaggi è oramai grosso modo alla pari, incarna l’orientamento opposto. Evidente è pure lo zampino buono del suo candidato alla vicepresidenza Michael Pence da anni impegnato con il mondo pro-life. Su tutta la questione pesa peraltro pure il rischio che buona parte dell’elettorato Repubblicano conservatore decida l’8 novembre di non votare Trump, concentrandosi sui candidati al Congresso. Ma non rendere merito a Trump di un gesto così importante sarebbe meschino.

Inoltre, se l’ultima mossa elettorale di Trump è il diritto alla vita significa che il diritto alla vita è un argomento politico fondamentale per milioni di elettori, e questo va a onore degli Stati Uniti. Trump ha cercato per mesi di rottamare il Partito Repubblicano, ma alla fine è stato lui a doversi inchinare ai punti fermi del partito, oggi un buon partito conservatore. E il Partito Repubblicano è oggi un buon partito conservatore proprio sui “princìpi non negoziabili”, come documenta una delle eroine indiscusse di quel movimento conservatore che alla fine è riuscito a trarre a sé l’intero partito, Phyllis Schlafly (1924-2016), con il suo prezioso How the Republican Party Became Pro-Life (Dunrobin Publishing, s.l. 2016). Ed è questo ciò che ha ben compreso la Susan B. Anthony List che da fiera avversaria di Trump è diventata suo ferrea sostenitrice. Vada come vada l’8 novembre, l’impegno formale contro l’aborto di Trump e la qualità morale del Partito Repubblicano, autore quest’anno di uno dei programmi politici più entusiasmanti, sono già storia.