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GUERRA MEDIATICA

Trump si ribella ai saccenti dei social network

Twitter ha considerato "fuorvianti" due messaggi del presidente e ha invitato gli utenti a verificarne la veridicità sulla CNN (di sinistra). Il presidente ha emesso un ordine con cui revoca l'immunità delle compagnie dei social network (quelle che si mettono a censurare i contenuti e quindi si comportano da editori) sui contenuti che pubblicano 

Esteri 30_05_2020
Un manifesto contro Trump e a sostegno di Twitter

Lo scontro fra Trump e i media americani è notorio. Quello fra Trump e i social media è una novità. Può sembrare strano che il presidente degli Stati Uniti se la prenda con gli strumenti che, più di altri, hanno consentito la sua vittoria alle elezioni presidenziali del 2016. Ma un paio di interventi di troppo di Twitter (che per altro è il mezzo che preferisce per comunicare tutti i giorni) hanno determinato una risposta drastica dalla Casa Bianca. D’ora in avanti i social media potrebbero essere considerati responsabili per ciò che pubblicano, come se fossero editori.

Il casus belli è stato un intervento di Twitter per segnalare un post di Trump in cui il presidente si scagliava contro il voto per corrispondenza. Anche negli Usa, infatti, si teme una seconda ondata di Covid-19 e le elezioni presidenziali, che si tengono a novembre, potrebbero essere votate per posta in molti più distretti elettorali del solito. Il voto per corrispondenza, secondo le statistiche, avvantaggerebbe i Democratici, i cui elettori sarebbero mediamente più “pigri” dei loro concittadini Repubblicani. Trump teme che il voto per corrispondenza possa essere più facilmente truccato e col suo solito tono drastico scriveva su Twitter: “Non c’è nessun modo (Nessuno!) che il voto postale si risolva in qualcosa di diverso da una completa frode elettorale. Le caselle postali saranno derubate, i voti cambiati o anche riscritti da capo e le firme falsate”. In un secondo tweet, il presidente cita il caso del governatore della California, che “sta inviando milioni di schede a chi non dovrebbe riceverle” condizionando il voto già adesso. E qui Twitter si è sentito in dovere di puntualizzare: sotto entrambi i messaggi del presidente appare infatti il link al “fact checking” il controllo della veridicità delle informazioni che compare sotto ogni messaggio in odore di bufala (“accedi ai fatti sul voto postale”). Fra l’altro, cliccando sul link, l’utente era mandato su un articolo di approfondimento della CNN, network televisivo dichiaratamente ostile a Donald Trump.

Il presidente repubblicano, che già subodorava una certa faziosità progressista dei grandi social media ha colto la palla al balzo per annunciare la riforma della legge che li regola, con un ordine esecutivo. Finora i social media sono stati protetti dalla Sezione 230 del Communication Decency Act del 1996, in base alla quale non sono ritenuti direttamente responsabili per ciò che viene pubblicato sulle loro piattaforme online. Non sono degli editori, non hanno il dovere di controllo, dunque salvo alcune leggi valide per tutti (niente violenza, pornografia, istigazione al suicidio, terrorismo…) devono essere neutrali di fronte a tutto ciò che viene pubblicato e non ne portano la pena. Ma Trump punta il dito contro le nuove forme di “censura” introdotte in modo sempre più massiccio sia da Twitter che da Facebook, entrambi impegnati in una campagna contro le bufale. Il Covid-19 ha fatto da detonatore, perché è aumentata a dismisura la pressione sui social network perché censurassero o quantomeno segnalassero le informazioni false, sensazionaliste o fuorvianti sull’epidemia e le sue cure. Ma il confine fra la notizia falsa e la notizia che non piace, come tutti sanno, è molto fragile. E spesso sotto la scure del censore cade l’informazione di minoranza, quella politicamente scorretta, anche se non è falsa o esprime un parere personale.

Chi c’è di più politicamente scorretto di Donald Trump? Soprattutto in tempi di Covid, i giornalisti gli hanno rimproverato ogni singola frase, da quando pareva minimizzare la minaccia a quando parlava di clorochina, di disinfettanti e di raggi UV come cura. I media hanno usato tutto il sensazionalismo a loro disposizione, distorcendo spesso e volentieri le parole del presidente (che non ha mai consigliato di bere disinfettanti, tanto per dirne una) per farlo apparire ignorante e pericoloso. Ma al tempo stesso, avvicinandosi le elezioni, è aumentata anche la pressione sui social network, in particolare su Twitter, che viene usato dal presidente più dei comunicati stampa istituzionali. Il quotidiano Washington Post ha pubblicato un elenco di 18mila “falsità” scritte dal presidente. La minaccia implicita dei media tradizionali ai nuovi media è: “devi censurare le bufale, altrimenti perdi di credibilità”, che sul Web è come perdere tutto. Facebook sta correndo ai ripari con un nuovo organismo di esperti che deve vagliare ed eventualmente rimuovere contenuti (formato da tanti grandi nomi, quasi tutti di sinistra… forse casualmente). Twitter finora aveva rifiutato di introdurre controlli o etichette sui contenuti “fuorvianti” sui post di Donald Trump, perché i suoi tweet erano comprensibilmente ritenuti di interesse pubblico. Adesso lo ha fatto ed è stata subito guerra. "Twitter non sta facendo nulla su tutte le menzogne e la propaganda fatte circolare dalla Cina o dalla sinistra radicale del Partito Democratico. Hanno messo nel mirino i Repubblicani, i conservatori e il presidente degli Stati Uniti. La sezione 230 deve essere revocata dal Congresso. Fino a quel momento, sarà regolamentato", ha scritto il presidente... su Twitter. 

Secondo l’ordine esecutivo di Trump, i social network che praticano una selezione arbitraria delle notizie, saranno ritenuti responsabili per ciò che pubblicano. Perderanno, insomma, la loro immunità. “Il mio ordine esecutivo richiede nuove regole per la Sezione 230 del Communication Decency Act – dichiarava Trump giovedì – per levare ogni esenzione dalla responsabilità alle aziende di social media che praticano la censura sulla comunicazione politica”. Perché: “L’immunità non deve essere garantita oltre a chi pretende di limitarsi di fornire agli utenti uno spazio per discutere liberamente e apertamente, ma in realtà sfrutta il suo potere su uno strumento di comunicazione di vitale importanza per soffocare in modo pretestuoso e dissimulato un dibattito aperto, censurando certi punti di vista”. Secondo lo stesso ordine esecutivo, le stesse compagnia non dovrebbero prendere più un dollaro di soldi pubblici: le agenzie federali e statali sono infatti invitate a rivedere il loro budget destinato alla pubblicità sui social network, per evitare che finanzino quelli che, di fatto, stanno pilotando la campagna elettorale.

Comunque, il giorno dopo l'annuncio dell'ordine esecutivo di Trump (ieri, per chi legge), Twitter gli ha censurato un altro messaggio. Il presidente aveva scritto sulla violenza di Minneapolis accusando di debolezza sindaco e governatore (entrambi di sinistra) e commentando: "Quando partono i saccheggi si inizia a sparare". Per gli standard di Twitter è contenuto violento, potenzialmente istigatore e il messaggio è stato rimosso.