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UTERO IN AFFITTO

Ucraina, i 46 neonati e l’ingiustizia a monte

La vicenda dei 46 bimbi bloccati in Ucraina ricorda che l’utero in affitto è l’esito più sconcertante della fecondazione artificiale e della breccia aperta con la Legge 40. Per loro si mobilitano le femministe, che però non si accorgono delle contraddizioni del proprio pensiero sull’autodeterminazione. Cosa fare con i bambini? Qualunque soluzione verrà presa, il problema è alla radice.

Vita e bioetica 14_05_2020

Depositati nella nursery della Biotexcom, in Ucraina, come tanti pacchi in attesa di spedizione nei magazzini di Amazon, i 46 bimbi che aspettano i committenti in un desolato vuoto di relazione, richiamano alla mente i lattanti dell’esperimento di Federico II di Svevia.

Narra fra Salimbene da Parma, nelle sue Cronache, che tale imperatore - uomo eclettico, amante della cultura, mecenate, costruttore di castelli, fondatore della scuola medica salernitana, nonché privo di scrupoli - fece rinchiudere in isolamento un certo numero di lattanti, strappati alle loro madri, dando ordine alle loro balie di nutrirli e accudirli nel silenzio più totale, in quanto voleva  sperimentare in quale lingua avrebbero parlato una volta cresciuti. I bambini, racconta fra Salimbene, morirono tutti. Non solo di alimento avevano bisogno, ma anche dell’affetto, della tenerezza, delle coccole, della voce materna.

Quanto sta succedendo in questi giorni in Ucraina, e che l’emergenza Coronavirus con annesso lockdown ci sbatte sotto gli occhi, induce ad alcune considerazioni. La prima, sulla sorte di quei bambini che vengono al mondo con la pratica inumana dell’utero in affitto che strappa il bambino alla donna che lo ha portato in grembo per nove mesi.

Creato a immagine e somiglianza di un Dio trinitario, comunione di amore fin dal concepimento, l’essere umano ha fame di relazioni e la prima è proprio con colei che gli dà la vita e che lo porterà in grembo fino al parto. È questa una relazione che si instaura attraverso il “cross-talk”, quel linguaggio incrociato tra madre ed embrione fatto di stimoli, ormoni, molecole che viaggiano tra l’uno e l’altra in un continuo scambio del quale rimarrà traccia sensibile nel corpo materno con la presenza per tutta la vita delle cellule staminali del figlio.

Solo il cinico affarismo delle cliniche specializzate nella fabbrica dei bambini e l’egoismo individualista dei committenti possono calpestare il diritto di un figlio strappandolo a colei che l’ha portato per nove mesi e privandolo di colpo di un rapporto che in quel periodo si era consolidato.

La seconda considerazione non può prescindere dal considerare la pratica dell’utero in affitto - ancora illegale nel nostro Paese - uno degli esiti, il più sconcertante e inumano (almeno finora, perché non è dato sapere a quali orrori arriverà il delirio di onnipotenza e di manipolazione sull’uomo), della fecondazione in vitro, regolamentata in Italia dalla legge 40/2004. Proposta e approvata con quelle che dovevano essere barriere invalicabili per consentire ‘solo’ la fecondazione omologa e porre fine al “Far West” procreativo, oggi consente e paga con i soldi del contribuente anche quella eterologa e altre pratiche aberranti quali la produzione di embrioni soprannumerari e la relativa crioconservazione. A nulla servì a suo tempo obiettare che la stessa fecondazione in vitro omologa era pratica iniqua, indegna dell’uomo e causa della morte di un numero impressionante di embrioni.

Questa vicenda sollecita un’altra considerazione. A difesa dei 46 bambini bloccati in Ucraina e di tutti gli altri che vivono, sempre a causa del lockdown, un’analoga vicenda in laboratori di altri Stati, si mobilitano gruppi femministi quali Rete italiana contro l’utero in affitto, In Radice per l’inviolabilità del corpo femminile, Se non ora quando, Libere, Udi, Arcilesbica e altri ancora, proponendo varie soluzioni. Ed è curioso che queste signore non si accorgano che la tragica storia odierna di questi poveri bimbi non è che uno degli esiti di una martellante posizione che il manifesto femminista ha portato avanti per decenni con la retorica del corpo delle donne, dell’utero è mio e lo gestisco io, della sessualità sganciata dalla procreazione tramite contraccezione e aborto, della procreazione sganciata dalla sessualità con il figlio in provetta. Ecco, per la solita eterogenesi dei fini che colpisce come un boomerang, quelle che erano orgogliose affermazioni della piena autodeterminazione della donna, e di rifiuto della sua natura, si rovesciano oggi nell’inevitabile constatazione che è proprio la donna ad avere la peggio fino ad essere espropriata della maternità, del suo ruolo, della stessa ontologia.

Che fare di questi bambini qualora persistano le condizioni che vietano i viaggi dei committenti? Restituirli alle donne che li hanno partoriti? Darli in adozione? Sperare che i committenti alla fine si rifacciano vivi? In molti suggeriscono soluzioni. Rimane purtroppo la consapevolezza che qualsiasi soluzione sarà messa in atto, questi bambini avranno subito un tale vulnus che non potrà purtroppo non pesare, con risvolti negativi, sul loro futuro. Questo perché, quando una pratica è radicalmente iniqua, come nel caso della fecondazione artificiale e dell’utero in affitto, non possiamo aspettarci soluzioni giuste.