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#IMMAGINEDEIPREGIUDIZI

Una mostra per alimentare i pregiudizi sui bianchi

La mostra fotografica #IMMAGINEDEIPREGIUDIZI espone foto degli studenti dell’Istituto Albe Steiner di Torino. I soggetti delle foto sono contro il pregiudizio. Ma alla fine, invece di stigmatizzare l'odio per il diverso, finisce per avallare l'odio per una particolare categoria umana: i bianchi, nativi, accusati di non accogliere e discriminare gli immigrati. Solo se clandestini ed extracomunitari

Educazione 08_10_2020
#IMMAGINIDEIPREGIUDIZI, locandina della mostra

È possibile che un progetto concepito con l’intenzione manifesta di sensibilizzare gli studenti di una scuola superiore al problema dei pregiudizi, della discriminazione, dell’intolleranza manchi l’obiettivo e anzi induca ai comportamenti che pretende di stigmatizzare? La risposta è “sì” se in realtà la sua funzione latente è suscitare ostilità e odio nei confronti di qualcuno.

È il caso della mostra fotografica #IMMAGINIDEIPREGIUDIZI, curata dalla cooperativa Progest di Torino nel 2018, parte di un progetto intitolato uno@uno una classe un migrante. Le fotografie, in tutto 64, sono opera degli studenti dell’Istituto Albe Steiner di Torino coadiuvati da un richiedente asilo originario della Costa d’Avorio. In questi giorni sono esposte a Ivrea per la seconda volta, su iniziativa di “Lucy”, una associazione femminile che ha per missione di “contribuire a sviluppare una cultura contro ogni tipo di stereotipo e pregiudizio”.

Ci sarebbe subito da ridire sul fatto che i ragazzi autori delle fotografie siano indicati con nome e cognome mentre il richiedente asilo solo per nome, Moussa. Inoltre disturba l’uso nelle didascalie dell’espressione del tutto inappropriata “ragazzo di colore” tutte le volte che nelle fotografie compare un ragazzo non europeo.

Ma il peggio è che la mostra è stata chiaramente ispirata da un pregiudizio nei confronti della società italiana e ha come obiettivo ed esito di instillarlo in chi la visita. Il messaggio che le fotografie trasmettono, attraverso diverse soluzioni grafiche, è infatti che gli italiani sono intrisi di pregiudizi e che le persone “di colore” sono vittime della loro intolleranza.

Una fotografia rappresenta un uomo con gli occhi coperti da una benda nera. In alto, su sfondo nero, spicca in caratteri rossi la frase: “non voler vedere i pregiudizi porta all’intolleranza e alla discriminazione”.  Nella didascalia che accompagna la fotografia la studentessa Sara Aquino spiega: “ho scelto di rappresentare un uomo occidentale con gli occhi bendati per sottolineare la tendenza della nostra società a non voler prendere coscienza dei pregiudizi e delle discriminazioni verso i migranti. I colori usati sono scuri per mettere in risalto la frase che rafforza il messaggio dell’immagine”.  

Le immagini di altre fotografie fanno capire che per “migranti” Sara intende quelli irregolari. Un’altra fotografia mostra il mare, una mano che emerge dall’acqua contro cui un’altra mano, dall’alto, punta le dita nel gesto di una pistola che spara. Sul suo avambraccio compare la parola “pregiudizio”. “Nell’immagine – spiegano gli autori – è evidente che la mano appartiene a un migrante che sta annegando in mare, questo per evidenziare che il pregiudizio e la discriminazione uccidono”. Come se il concetto non fosse chiaro abbastanza, “sopra la pistola – conclude la didascalia – è stata aggiunta una scritta ‘pregiudizio’ per evidenziarne il significato”. Una terza fotografia mostra una grande mano bianca che fa affondare in mare una barchetta di carta premendoci l’indice, al di sopra del quale si legge “PREGIUDIZIO”. L’autore, Matteo d’Agostino, spiega che la mano serve a “evidenziare gli innumerevoli ‘incidenti’ che a tutt’oggi succedono nei nostri mari”.  

Ramon Piccinino invece ha scelto di rappresentare un ragazzo “di colore” che porge una rosa a una coetanea bianca. La ragazza allunga un braccio, ma è trattenuta dal padre che la afferra, scuro in volto. “Il padre della ragazza impaurito dai propri pregiudizi verso il ragazzo cerca di portare via la figlia strattonandola – chiarisce lo studente – ho usato il colore bianco come sfondo per concentrare l’attenzione sulle diverse carnagioni dei soggetti e mettere in luce la rosa, in quanto simbolo di unione e tolleranza”.

Scorrendo la mostra si arriva alla fotografia di una scacchiera sulla quale si vede un pedone nero minacciato da cinque pedoni bianchi. Sotto si legge “i migranti non sono una partita a scacchi”. Su una fotografia successiva compare una mano bianca che lancia un boomerang. La scritta dice: “l’intolleranza è come un boomerang, torna sempre indietro”. La didascalia spiega: “tutte le parole di odio per il diverso possono essere rivolte anche a noi e quindi tornare al mittente”. È l’unica “opera” in cui si accenna al fatto che il “diverso” può a sua volta esprimere odio… ma unicamente come reazione, perché vittima di intolleranza.

Così di seguito, finché si arriva a due fotografie che riprendono volti di donne con l’hijab, il velo musulmano. Quattro mani bianche bloccano bocca, capo e collo di una delle due. La bocca della seconda oltre che dal velo è coperta dalla barra di ricerca di internet, con un elenco di parole chiave. È chiaro che denunciano finalmente altri pregiudizi e altri responsabili di discriminazioni: quelli dell’islam contro le donne. Invece no. La didascalia della prima dice che è rappresentata una ragazza musulmana dai lineamenti orientali. Le mani che le chiudono occhi, bocca e collo “raffigurano la società dove diverse persone razziste ogni giorno la offendono e la limitano nelle proprie libertà”. Le parole chiave che coprono la bocca della seconda sono: pregiudizi, terrorista, assassini, arretrati, tutti talebani: “tutti pregiudizi – specifica Serena Musso – sulle persone musulmane”.

Così un progetto in apparenza buono, contro il pregiudizio, serve in realtà per sgretolare la società italiana, per instillare pregiudizi antioccidentali nelle nuove generazioni usando un metodo collaudato: far sentire quelli che partecipano all’iniziativa virtuosi e fieri di sé in un mondo di cattivi.