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SIRIA

Usa e Arabia Saudita di nuovo assieme

Nonostante gli aiuti sauditi ai ribelli jihadisti vicini ad Al Qaeda, gli Stati Uniti sono tornati a collaborare con Riyadh per rinforzare gli insorti dell'Esercito Siriano Libero. Dopo il fallimento di Ginevra2, insomma, torna la guerra segreta.

Esteri 21_02_2014
Comando Esl

Nonostante il supporto saudita i gruppi armati qaedisti jihadisti, Washington ha rinsaldato nelle ultime settimane l’intesa con Riyadh per ridare slancio alla rivolta siriana anti-Assad puntando nuovamente sui “moderati” sull’Esercito Siriano Libero. La formazione militare che diede il via alla rivolta contro il regime di Damasco raccogliendo migliaia di disertori sunniti che avevano lasciato l’esercito regolare è stata schiacciata nel centro nord del Paese dalle forze estremiste islamiche dei movimenti al-Nusra e Stato islamico di Iraq e Levante. Sul fronte meridionale, dove i ribelli vengono alimentati dagli aiuti che affluiscono sul confine giordano, l’ESL ha ancora  quasi l’esclusiva nella guerra contro Assad ed è qui che sembrano puntare sauditi e statunitensi per sbloccare il conflitto dopo il fallimento dei colloqui tra regime e opposizioni di Ginevra.

Due gli elementi che sembrano indicano questi sviluppi. Il più recente lo ha raccontato ieri il quotidiano panarabo al-Hayat, edito a Londra, che citando fonti dei ribelli ha riferito di 3 mila miliziani siriani ostili al regime di Damasco e ai movimenti estremisti islamici addestrati negli ultimi otto mesi dalle forze americane nel nord della Giordania in cooperazione con l'esercito di Amman e altri non meglio precisati eserciti arabi. Il giornale cita anche il leader di una brigata ribelle siriana, Ali Rifai, operativo nella regione meridionale di Daraa confinante con la Giordania, secondo il quale l'addestramento di migliaia di ribelli siriani definiti "moderati" dura da 8 a 12 giorni in basi militari dell'esercito giordano. L'addestramento è monitorato da ufficiali statunitensi e si concentra sull'uso di armi leggere e medie, come missili antiaerei e anticarro giunti recentemente dalla Giordania. La presenza di campi d’addestramento per l’ESL gestiti in Giordania da personale statunitense non è una novità ma il numero di miliziani che hanno ricevuto un addestramento basico da fanteria e specialistico circa l’uso di alcune armi dimostra cosa bolla in pentola.

Il secondo elemento risale a lunedì scorso quando fonti diplomatiche arabe e alcuni leader dell’opposizione siriani hanno riferito al Wall Street Journal che l’Arabia Saudita sta fornendo per la prima volta in modo ufficiale missili antiaerei e anticarro ai ribelli siriani. Si tratterebbe di missili contraerei portatili FN-6 di fabbricazione cinese e missili guidati anticarro russi Konkurs. Armi, soprattutto gli FN-6, che l’Occidente non vorrebbe vedere in mano ai ribelli per il timore che possano finire a milizie qaediste che potrebbero usarli contro aerei civili a scopo terroristico.

Un alto funzionario dell’amministrazione, contattato dal Wsj, ha ribadito l’opposizione di Washington alla consegna di queste armi ai ribelli che oggi da Washington ricevono  maggiori aiuti finanziari inclusi milioni di dollari necessari a pagare gli stipendi ai miliziani. La posizione statunitense pare però contraddittoria perché i missili sarebbero in arrivo attraverso la Giordania a quanto precisato da una fonte diplomatica occidentale, e sono quindi destinati a quel fronte meridionale dove l’ESL riceve aiuto e addestramento dagli americani.

In questo settore i ribelli stanno preparando un’offensiva contro i quartieri meridionali di Damasco riconquistati negli ultimi mesi dai lealisti. L’obiettivo di Washington e Riad  sembra essere quello di far guadagnare posizioni ai ribelli “affidabili” per costringere il regime a negoziare con loro una soluzione politica del conflitto. Il Fronte meridionale è guidato da Bashar al-Zoubi, considerato in diretto contatto con le agenzie di intelligence occidentali e arabe.

La rinnovata intesa tra statunitensi e sauditi sulla crisi siriana sembra confermata anche dalla decisione di Riad di affidare Riad ha affidato la gestione della crisi siriana al ministro degli Interni, il principe Mohammed bin Nayef (gradito a Washington per il suo impegno contro al-Qaeda), estromettendone il potente capo dell'intelligence, principe Bandar bin Sultan. La notizia è riportata ancora una volta dal Wall Street Journal che cita consiglieri della famiglia reale saudita, sottolineando come l'avvicendamento apra la strada a una normalizzazione dei rapporti con Washington, dopo le tensioni emerse negli ultimi mesi tra i due alleati sulla strategia da seguire in Siria. Secondo fonti americane l’avvicendamento potrebbe favorire anche un maggior impegno saudita contro i miliziani jihadisti.

Al di là degli intenti dei sostenitori dei ribelli, sul campo di battaglia siriano sono però le forze lealiste a registrare successi. Nei giorni scorsi gli uomini di Assad hanno riconquistato Maan, il villaggio alauita (sciita) nella provincia centrale di Hama teatro il 9 febbraio scorso di una vera e propria carneficina di civili da parte dei miliziani jihadisti.

Offensiva dei governativi (e degli hezbollah libanesi loro alleati) anche su Yabrud, ultima importante località in mano ai ribelli delle brigate islamiste e dei jihadisti del Fronte al-Nusra nei pressi del confine libanese. Le difficoltà militari dei ribelli hanno riflessi anche sulla tenuta dello stesso Esercito Siriano Libero il cui comandante militare, il generale Selim Idriss, è stato destituito domenica scorsa per gli “errori e la disattenzione” nella conduzione guerra battaglia e per la “scarsa distribuzione delle armi” fra i ribelli.

Idriss, in carica dal dicembre 2012, è stato sostituito con il colonnello Abdelilah al-Bashir promosso generale di brigata. Una destituzione respinta però dallo stesso Idriss e dai cinque comandanti delle brigate che chiedono la “ristrutturazione totale” della catena di comando dell’ESL Le forze “moderate” su cui punta Washington per rovesciare Assad non sembrano in grado neppure di mettersi d’accordo su chi deve comandare le operazioni militari. Una situazione che facilita da un lato le offensive di Assad e dall’altro rafforza le milizie islamiste e qaediste come unica forza militare credibile tra i ribelli.