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AMMINISTRAZIONE TRUMP

Usa per la libertà religiosa, contro lo Stato usurpatore

L'ambasciatore Usa per la libertà di religione, Sam Brownback, presenta il suo Rapporto. Il quadro è grave e in peggioramento in Myanmar, Turchia, Pakistan, Russia e tanti altri paesi alleati o avversari degli Usa.  La libertà religiosa, è la conditio sine qua non della verità, che è solo di Dio e che gli Stati tendono a usurpare.

Editoriali 01_06_2018
Manifestazione per la libertà di religione

«Coltivare la libertà religiosa nel mondo è una tassello essenziale della nostra sicurezza nazionale qui in patria. Mike Pompeo lo capisce e agirà di conseguenza». Così scriveva il 9 aprile, Tony Perkins, presidente del Family Research Council di Washington, uno dei più influenti think tank statunitensi per la difesa dei princìpi non negoziabili, in attesa che Pompeo subentrasse ufficialmente a Rex Tillerson nella carica di segretario di Stato (nominato il 13 marzo, ha ricevuto la ratifica da parte del Senato il 26 aprile). La seconda nomina che quasi due mesi fa Perkins salutava con entusiasmo è quella di Sam Brownback, il nuovo ambasciatore per la libertà religiosa nel mondo, che definisce uomo «eccellente». Adesso Pompeo a Brownback scendono direttamente in pista.

In una conferenza stampa svoltasi martedì 29 maggio al Dipartimento di Stato, il Segretario e l’ambasciatore hanno presentato il Rapporto sulla libertà religiosa nel mondo per il 2017, che appunto il Dipartimento di Stato sottopone annualmente all’attenzione del Congresso federale secondo quanto stabilito dall’International Religious Freedom Act, varato negli Stati Uniti nel 1998 (P.L. 105-292). Quindi Pompeo ha indetto un summit internazionale con colleghi e omologhi per affrontare la situazione (qui il testo e qui il filmato). Stando a successive notizie di stampa, si svolgerà a Washington il 25 e 26 luglio.

La situazione infatti è grave. I Paesi presi in considerazione dal “Rapporto” sono 200 e in molti luoghi la libertà religiosa arretra. Sono indubbiamente stati fatti progressi, ma le condizioni non migliorano. Grande attenzione viene per esempio prestata ai Rohingya, la minoranza musulmana perseguitata in Birmania e in gran parte rifugiatasi in Bangladesh in merito alla quale sia gli Stati Uniti sia l’Onu parlano di “pulizia etnica”. Poi ci sono Turchia e Arabia Saudita: Bownback e Pompeo non hanno alcuna ritrosia a puntare il dito contro due alleati, il primo addirittura membro della Nato - anche se ultimamente molto vicino al blocco dei Paesi (e dei gruppi) sciiti, sostenuto dalla Russia e fortemente antiamericano - e il secondo strategico nel braccio di ferro che oppone il blocco sciita e i suoi sostenitori russi al blocco sunnita appunto filosaudita con cui è schierata anche Washington. Quanto alla Turchia, Brownback cita - qui il testo e qui il filmato - anche il caso del pastore presbiteriano evangelicale americano Andrew C. Brunson, processato per presunti legami con gruppi “terroristici” dopo il fallito golpe del 2016 contro Recep Tayyip Erdoğan  e detenuto in carcere mentre Washington ne chiede a gran voce la liberazione. Quanto invece all’Arabia Saudita, Brownback lamenta la mancanza del diritto dei non musulmani a praticare la propria fede, sottolineando che Riad incarcera, punisce a frustate e multa pesantemente tuti coloro che accusa di apostasia, di blasfemia e di critica nei confronti dell’interpretazione rigorista della legge coranica imposta dallo Stato.

Ma i Paesi persecutori sono tanti, dall’Eritrea al Turkmenistan al Pakistan, un altro “alleato” dell’Occidente dove, ricorda Brownback, 50 persone stanno attualmente scontando l’ergastolo e 17 attendono l’esecuzione capitale per blasfemia, ovvero per avere vilipeso (ma questo lo dicono i tribunali di parte) l’islam. Fra questi ultimi, c’è il caso famoso e assurdo della cattolica Asia Bibi.

Poi c’è la Russia, dove alcuni gruppi religiosi, pur teologicamente bislacchi ma assolutamente pacifici, per esempio i testimoni di Geova, sono equiparati ai terroristi. O la Cina, dove il governo perseguita indiscriminatamente tutte le fedi. Senza ovviamente scordare la Corea del Nord, dove si contano fra gli 80 e i 120mila prigionieri per motivi politici e religiosi in un quadro che Brownback definisce senza mezzi termini un Gulag.

Parlarne fra già convinti però non basta. Per questo Pompeo ha detto che il vertice di luglio «non sarà soltanto un gruppo di discussione», ma «si concentrerà sull’azione». Vedremo come. Certamente la situazione è spesso insostenibile e continuare a voltare la testa altrove è immorale. L’incontro annunciato dal Segretario di Stato riunirà quindi i ministri degli Esteri dei «[...] governi che la pensano anch’essi così», pur senz’ancora precisare chi saranno gli ospiti, oltre a rappresentanti delle organizzazioni internazionali, delle comunità religiose e della società civile.

Il Segretario di Stato ha del resto tenuto a sottolineare che questo impegno dell’Amministrazione statunitense in carica non è certo avventurismo, bensì parte integrante dell’impegno a garantire la sicurezza dei cittadini americani, a operare per la pace nel mondo e a non tradire l’ispirazione prima da cui sono nati gli Stati Uniti. Pompeo cita infatti il pensiero dei Padri fondatori, riversatosi poi nella prima libertà politica dei cittadini americani, appunto la libertà religiosa, sancita, come fondamento di tutto il resto, nel Primo Emendamento alla Costituzione federale del Paese, e lo fa con una frase conchiusa e lucida. «I nostri fondatori», ha detto, «compresero che la libertà religiosa non è una creazione dello Stato, ma il dono che Dio fa a ogni persona nonché il diritto fondamentale che una società fiorente garantisce».

Insomma, così è piaciuto a Dio fare: creare l’uomo libero persino, paradossalmente, di negare il proprio creatore. Non evidentemente perché negare o affermare il Creatore sia la stessa cosa, ma perché senza libertà ogni affermazione non è sincera. Persiste infatti un grande equivoco sulla libertà religiosa, da molti interpretata - sia in positivo sia in negativo - come il diritto relativistico all’errore. Non è così. La libertà, in primis quella religiosa, è la conditio sine qua non della verità. Gli Stati che negano la libertà religiosa usurpano il posto della verità, che è solo di Dio, e questo indipendentemente da ciò che poi gli uomini fanno della libertà - religiosa - concessa loro da Dio per amarlo. Questo, non fosse altro che per ragioni strumentali di esistenza e di sopravvivenza, dovrebbe essere chiaro e caro soprattutto ai cristiani, in special modo ai cattolici. Tra l’altro, passano proprio dal diritto alla libertà religiosa tutte le battaglie, e tutte le vittorie, là dove non è lecito negoziare, dall’eutanasia all’aborto, dall’obiezione di coscienza al gender.