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AUSTRALIA

"Viva gli sposi gay": tutti d'accordo, anche la Chiesa

Il referendum australiano sulle nozze gay dimostra che certi "successi" nascono dall'indottrinamento forzato di un popolo: iniquità e autoreferenzialità delle democrazie per confermare un consenso fabbricato artificiosamente. Col placet ecclesiastico. 

Attualità 16_11_2017

La nazione ha deciso: che i “matrimoni” omosessuali siano legittimi. E’ questo l’esito referendario di una consultazione popolare avvenuta per posta e promossa dal governo australiano. Il referendum postale è iniziato il 12 settembre scorso ed è costato 97 milioni di dollari. Al quesito “la legge dovrebbe essere cambiata per permettere alle coppie dello stesso sesso di sposarsi?” hanno risposto il 79,5 % degli aventi diritto al voto, ossia quasi 13 milioni di cittadini su 16 milioni di potenziali votanti, e tra questi 13 milioni il 61,6% ha detto “Sì” alle “nozze” gay, cioè più di 7.800.000 persone. Alcuni dati interessanti: la massiccia partecipazione al voto e i Sì sono stati omogenei in tutte le regioni dell’Australia. Hanno votato più le donne (81,6%) che gli uomini (77,3%) ed hanno aderito maggiormente le persone anziane tra i 65 e i 79 anni rispetto ai giovani (tutti i dati sono qui consultabili: https://marriagesurvey.abs.gov.au/).

Una ricerca del prestigioso Pew Research Institute condotta nel 2013 aveva già previsto come sarebbero andate le cose: il 79% degli australiani allora si era detta favorevole all’omosessualità, una delle percentuali più alte al mondo. Pochi giorni prima dell’invio per posta delle schede, l’Istituto di ricerche australiano Newspoll aveva reso pubblici i dati di un sondaggio: il 63% degli australiani avrebbe votato a favore del cosiddetto “matrimonio egualitario”. La nazione della terra dei canguri è stata di parola.

Naturalmente non poteva mancare la figura di un alto prelato omoeretico che si esprime a favore delle “nozze” gay. Mons Bill Wright, vescovo di Matiland-Newcastle, sul settimanale diocesano Aurora così si era espresso ad inizio novembre: "In una società in cui le relazioni omosessuali sono legalizzate e le coppie omosex possono adottare e crescere dei figli è una sorta di anomalia giuridica il fatto che la loro relazione in sé non abbia un chiaro status legale. Per le coppie omosessuali è bene avere un posto nelle strutture riconosciute piuttosto che esserne escluse”. Ha poi aggiunto che in merito al quesito referendario non bisogna domandarsi “se questo sia compatibile con l’insegnamento della Chiesa o un ideale morale, ma se sia una norma pratica efficace per le persone che vivono ora nella nostra società”. Bisognerebbe allora chiedere a Mons Bill Wright quali sono le materie a cui applicare la dottrina morale della Chiesa. Solo ecologia e lotta alla povertà?

La battaglia per avere il “matrimonio” omosex era iniziata nel 2004 quando il primo ministro di allora, il conservatore John Howard, aveva apposto un emendamento alla legge sul matrimonio, l’Australian Marriage Act del 1961, dichiarando fuori legge le “nozze” arcobaleno. Infatti la modifica prevedeva che il matrimonio era da considerarsi "l'unione di un uomo e una donna con l'esclusione di tutti gli altri casi".

L’esito del quesito referendario non ha valore vincolante sul Parlamento, ma solo consultivo. Però il referendum è stato ovviamente promosso per tappare la bocca agli oppositori del same-sex marriage. Ed infatti Malcolm Turnbull, attuale primo ministro, ha promesso che entro Natale verrà varata la legge. Un bel regalo per Gesù Bambino. «Hanno votato sì per l’equità, sì per l’amore – ha dichiarato Turnbull - e ora tocca a noi qui in parlamento darci da fare». Pare che la coalizione di maggioranza sia tutta d’accordo sula necessità di approvare questa legge, meno d’accordo su ogni aspetto particolare da disciplinare.

A leggere di quanto è avvenuto in Australia viene da domandarsi: è ancora valido il brocardo latino Vox populi, vox Dei? Forse un tempo, quando il senso comune spesso combaciava con il buon senso, ma non oggi dove è facilissimo orientare le masse verso stereotipi di pensiero preconfezionati e doparle con massicce dosi di menzogne mass-mediatiche. Attualmente, ahinoi, ha ben più valore il detto “il popolo è bue”. Come il mandriano riesce a spingere i buoi in un recinto, così gli abili tecnocrati posso serrarci facilmente nell’angusto recinto del pensiero unico e massificante. Vero è che ogni persona ha il dovere morale di trovare la verità, ma è anche vero che questa medesima persona ha il diritto alla verità. Detto in altri termini, se le condizioni per capire dove sta esattamente il vero e il falso sono fortemente avverse alla retta comprensione della verità, c’è da interrogarsi su quale potrebbe essere realmente il grado di colpa del signor Rossi, o di Mr Smith se ci troviamo in Australia, quando si sono detti favorevoli alle “nozze” gay. Banale a dirsi che maggiore colpa ricade su chi siede nella stanza dei bottoni.

La verità non può essere messa ai voti, però può essere messo ai voti un giudizio collettivo su una certa condotta, come ad esempio quella omosessuale. In questo senso il referendum australiano chiude il cerchio perché va a vidimare una costruita formazione della coscienza collettiva. Cioè, prima si indottrina un popolo e solo quando si è sicuri che il popolo abbia ben imparato la lezione, lo si interroga, sicuri del buon esito della prova. E’ un modo furbo ed iniquo, nonché autoreferenziale, delle democrazie contemporanee per autovalidarsi, per confermare un consenso fabbricato artificiosamente nei laboratori della politica e dell’informazione di massa. Se l’informazione è a senso unico sorge poi l’interrogativo sulla reale libertà di scelta, la quale può esercitarsi se ci sono più opzioni e se queste sono conosciute da chi deve compiere la scelta. Se mi viene detto che per raggiungere Roma esiste solo una strada, la mia libertà sarà quasi annullata.

E dunque viene da chiedersi: la nazione australiana ha liberamente scelto i “matrimoni” omosex oppure c’è chi ha scelto per lei?