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IL BELLO DELLA SCUOLA/34

Vuoi vincere le Olimpiadi di italiano? Studia il latino

Le prove per le Olimpiadi di italiano e i risultati delle passate edizioni confermano l’importanza dello studio del latino. Che non serve solo a sviluppare la logica, ma è imprescindibile per l’acquisizione della grammatica italiana, del vocabolario, degli etimi, ecc. Molti studenti, poi, non sanno scrivere: bisognerebbe limitare gli esercizi con le crocette e dare maggior spazio alla scrittura.

Cultura 16_02_2020

Le Olimpiadi di italiano, organizzate dal Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca (Direzione generale per gli ordinamenti scolastici e per la valutazione del sistema nazionale di istruzione), hanno lo scopo di «rafforzare nelle scuole lo studio della lingua italiana e sollecitare gli studenti a migliorare la padronanza della propria lingua».

A febbraio in molte scuole d’Italia si sono svolte le gare per la selezione degli studenti che parteciperanno a marzo alle semifinali delle Olimpiadi d’italiano, giunte alla decima edizione. In una scuola superiore hanno partecipato ragazzi del liceo scientifico tradizionale e delle scienze applicate. Le prove hanno confermato quanto da sempre sostengo: lo studio del latino non è poi così opzionale. Non serve semplicemente a sviluppare la logica, non corrobora solo il senso di appartenenza a una civiltà che ha le sue radici nel passato.

Il latino è utile, imprescindibile per l’acquisizione della grammatica italiana, del vocabolario, degli etimi, della strutturazione corretta della frase. I risultati dei partecipanti iscritti a un liceo scientifico tradizionale sono stati decisamente superiori a quelli delle scienze applicate, anche se gli studenti dell’opzione scienze applicate sono molto diligenti e raggiungono risultati soddisfacenti nelle discipline scolastiche.

Questa è una conferma di quanto si è verificato anche gli altri anni: a piazzarsi nelle prime posizioni sono di solito studenti del classico o dello scientifico tradizionale. Anche il catenaccio dell'articolo pubblicato online l’anno scorso sul quotidiano La Repubblica - dove si legge che «Arrivano da Avellino a Bolzano, da Parigi a Barletta. Per la prima volta oro ad uno studente che frequenta l’Istituto tecnico» - in realtà può ingannare. Se leggiamo l’articolo, il lettore scopre che la sorpresa è avvenuta nella categoria junior (ed è appunto una clamorosa eccezione), mentre nella categoria senior sul podio compaiono solo iscritti allo scientifico tradizionale o al classico. Se poi si approfondisce la ricerca, scopriamo che lui stesso ha affermato: «Non ci credo, ho battuto i colleghi dei licei classici».

I dati confermano quanto un insegnante che abbia esperienza in scuole dove si studi il latino e in altre dove non compaia nel curricolo conosce chiaramente: è più difficile insegnare la correttezza sintattica, la fluidità, la precisione lessicale in una scuola in cui manca l’antica lingua. Chi traduce si abitua a pensare che in una proposizione ci debba essere un soggetto, un predicato nominale o verbale, dei complementi che integrino il significato della frase minima in modo compiuto e con senso.

Considerazioni ovvie, qualcuno dirà, ma non poi così tanto quando si leggono elaborati in cui compaiono periodi in cui manca la proposizione principale oppure incontriamo proposizioni in cui non c’è il verbo o il soggetto (che viene sottointeso, anche se non è quello della proposizione precedente; è il lettore che si deve immaginare chi compia quell’azione) e la lista degli errori di sintassi del periodo o della proposizione potrebbe continuare: errori nell’uso del gerundio (non si può scrivere «leggendo il libro il protagonista appare») o nella ripetizione del complemento oggetto (il libro l’ho letto) o di altri complementi (di torta ne ho mangiata).

Ho stilato in questi anni un elenco degli errori più comuni che commettono gli studenti nelle scuole. L’elenco è aumentato nei tempi recenti; soprattutto è sempre più ridotto il numero degli studenti che arrivano alle superiori sapendo scrivere un tema corretto. Gli errori sono di varia natura: dagli accenti sui monosillabi ai polisillabi tronchi accentati sull’ultima sillaba (ventitré va accentato), dall’apostrofo (non si va a capo con l’apostrofo; chiedete a un ragazzo la ragione, pochi sapranno rispondere) all’uso del congiuntivo (dopo i verbi che indicano pensare, credere, dubbio, nelle interrogative indirette e nelle dubitative), dalle maiuscole (con i nomi propri, o i popoli, secoli, decenni, ecc., dopo il punto fermo, ecc.) all’uso corretto della paragrafazione.

Non parliamo, poi, dell’uso della punteggiatura, utilizzata male o a sproposito o talvolta pressoché assente. Correggere uno studente che per dieci anni ha scritto in maniera scorretta è difficile. Negli anni il Ministero ha cercato di risolvere il problema della scrittura riformando più volte la prima prova dell’Esame di Stato (che dal 1998 ha pressoché eliminato il tradizionale tema per creare tipologie in cui allo studente viene offerto materiale da leggere e su cui lavorare) piuttosto che guardare attentamente il problema, capirne le cause  e cercare di risolverle alla radice.

Se gli studenti non sanno scrivere o scrivono in una forma che è scorretta e poco appropriata, le cause sono abbastanza chiare. In primo luogo, lo studio della grammatica (sentita come pesante e ostica) è scemato sempre più e ha lasciato spazio a tante altre educazioni o pseudo educazioni; i fondamenti tradizionali del sapere (non solo quelli della lingua italiana) sono sempre più labili.

In secondo luogo, i ragazzi non scrivono: svolgono pochi temi a scuola, passano anni alla scuola primaria e alle scuole superiori di primo e di secondo grado a completare discorsi, a mettere crocette, a svolgere esercizi in cui non scrivono frasi di senso compiuto o elaborati più ampi. Per quale ragione? Crediamo davvero che le competenze siano arricchite con questi esercizi o forse non sarebbe meglio riconoscere che in un qualsiasi compito in classe far scrivere un testo possa far valutare meglio conoscenze, capacità espositive, rielaborative e quant’altro?

Certamente. Riconoscere questo comporterebbe fatica e responsabilità: fatica per lo studente (che deve imparare a scrivere e a comunicare concetti e pensieri fin dalla scuola primaria) e per l’insegnante (a cui occorre più tempo per la lettura e per la correzione dei compiti); responsabilità per ragazzi e adulti, perché si parte dalla speranza (piena di attesa) che si possa davvero imparare a scrivere correttamente, anche se col tempo e con tanto esercizio, senza trovare escamotage per evitare l’ostacolo.

Qualcuno è disposto a riconoscere le proprie responsabilità, a ritornare indietro sui propri passi, ad adottare metodi che alla prova dei fatti si sono sempre dimostrati più efficaci? Qualcuno è ancora disposto a spendere del tempo, a far fatica e a spronare ancora lo studente a lavorare e a studiare?