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ELEZIONI

A Taiwan c'è un quarto candidato occulto: la Cina comunista

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Dimostrazioni di forza, indagini contro gli interessi taiwanesi in Cina, propaganda: così Pechino vuole influenzare il voto per le presidenziali di Taiwan.

Esteri 10_01_2024 English
Allarme missile a Taiwan (La Presse)

Il ministro degli Esteri di Taiwan, Joseph Wu, martedì 9 gennaio (ieri, per chi legge) stava tenendo una conferenza stampa sul pericolo delle interferenze cinesi nelle prossime elezioni presidenziali, che si terranno il 13. Proprio nel mezzo della conferenza, i cellulari di tutti i presenti hanno iniziato a suonare ed è apparso il segnale di allarme missilistico. La Cina aveva scelto quel momento per lanciare un suo nuovo satellite e il vettore ha sorvolato l’isola principale di Taiwan.

Il Ministero della Difesa di Taipei ha subito gettato acqua sul fuoco: nessun allarme missile, si trattava di un’operazione spaziale civile. Però la paura resta: pochi giorni prima, il 1 e il 2 gennaio, Taiwan è stata sorvolata per la prima volta da palloni spia cinesi, come quelli che l’anno scorso comparvero sui cieli del Nord America. Pechino, evidentemente, sta facendo molta pressione sugli elettori taiwanesi, per le elezioni del presidente di quella che ancora considera una mera “provincia ribelle”, parte della Cina a tutti gli effetti.

A sfidarsi nelle prossime elezioni saranno tre (e non due, come da tradizione) candidati. Il favorito è Lai Ching-te, attuale vicepresidente, ex primo ministro ed esponente di spicco del Partito Democratico Progressista, la formazione di sinistra più favorevole all’indipendenza di Taiwan dalla Cina, al governo dal 2014. Dietro di lui (di circa 10 punti percentuali, stando ai sondaggi di fine dicembre) c’è l’attuale sindaco dell’area metropolitana di Taipei, Hou Yu-ih, già a capo della polizia, esponente del Kuomintang, il partito nazionalista fondatore della Repubblica di Cina. È più fedele al principio dell’Unica Cina e al “Consenso del 1992”, i principi che regolano i rapporti fra Pechino e Taipei: ufficialmente sono un unico paese e Pechino è la capitale, ma Taiwan mantiene la sua indipendenza di fatto. Infine si presenta anche Ko wen-je, l’ex sindaco di Taipei, chirurgo di fama internazionale, candidato indipendente dal 2016, favorito dai giovani e con una campagna caratterizzata da un approccio molto pragmatico su tutti i temi.

I rapporti con la Cina, oltre ad essere al centro delle preoccupazioni internazionali, sono anche la principale tematica della campagna elettorale. Dopo l'assimilazione forzata di Hong Kong al sistema cinese (in violazione degli accordi presi con il Regno Unito sulla sua autonomia), nessuno dei tre candidati si presenta come “filo-Pechino”. Cambiano solo gli approcci. Lai Ching-te continuerebbe la stessa politica dell’attuale presidente Tsai Ing-wen: una marcia, graduale ma decisa, verso l'indipendenza dalla Cina continentale. Hou Yu-ih è un temporeggiatore, al Wall Street Journal descrive la sua idea di relazioni con i dirimpettai sulla base della sua esperienza di comandante della polizia: «Di fronte a un avversario, da un lato bisogna saper negoziare, dall'altro bisogna avere la forza di combattere». Il meno prevedibile è il terzo candidato, Ko wen-je, che parla soprattutto di problemi interni e sull’estero ha cambiato idea radicalmente. In passato era pro-indipendenza e sosteneva Tsai Ing-wen. Dal 2016 è diventato un politico indipendente e ha assunto una linea più vicina a quella del Kuomintang: rapporti più rilassati, meno retorica indipendentista e più commercio. Propone anche, se eletto, di costruire un ponte per unire l’isola Quemoy alla costa cinese continentale.

Il Partito Comunista Cinese non ha un candidato preferito, ma ha un nemico giurato: Lai Ching-te. E sta facendo di tutto per impedire che venga eletto. Oltre alle dimostrazioni di forza (come i palloni-spia nello spazio aereo taiwanese) le armi che sta usando sono soprattutto due: la propaganda e la magistratura. Per quanto riguarda la prima, le autorità di Taipei denunciano una nuova ondata di disinformazione di marca comunista, soprattutto sui social network, tutta volta a screditare Tsai Ing-wen e il suo partito. Mentre la magistratura sta lavorando sui (numerosi) contatti che esistono fra Taiwan e il continente. Ha messo improvvisamente sotto torchio, con una nuova indagine, la Foxconn, che opera in Cina, ma è di proprietà dell’imprenditore taiwanese Terry Gou. Di fatto la magistratura cinese gli ha impedito di candidarsi come indipendente, quando avrebbe potuto dividere i consensi del Kuomintang, a vantaggio di Lai. Con un altro colpo basso, le autorità di Shanghai stanno indagando anche sul gruppo rock taiwanese Mayday, accusandolo di aver suonato in playback (che a quanto pare in Cina è reato…). Lo stesso gruppo aveva precedentemente rifiutato di proclamare slogan a favore del principio dell’Unica Cina, nel suo tour nel continente.

Quindi, oltre ai tre candidati che si sono presentati ufficialmente, nelle elezioni di Taiwan ci sarà anche un quarto candidato: la Repubblica Popolare Cinese. Non mira a prendere voti, ma è disposta a tutto pur di farne perdere ai suoi nemici.