Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
PETRARCA. IL POETA DEL DESIDERIO/18

Alla fine, come in Dante, ecco il trionfo dell’eternità

I trionfi, come il Canzoniere, sono scritti in volgare. Non saranno mai terminati. Con quest'opera il Petrararca, che viene a ragione considerato come l’intellettuale che dà avvio alla stagione dell’umanesimo, conclude con un libro fortemente ancorato al Medioevo e a Dante. Ultima puntata.

Cultura 15_05_2016
Francesco Petrarca

I trionfi è l’unica opera del Petrarca scritta in volgare insieme al Canzoniere. Il poeta vi lavora fino al 1374, anno della morte, anche se non riesce a portare a termine l’opera. Colui che viene a ragione considerato come l’intellettuale che dà avvio alla nuova stagione dell’umanesimo, incline all’uso del latino e portatore di una nuova sensibilità e cultura, conclude la sua produzione con un libro fortemente ancorato al Medioevo e a Dante. Infatti, il poemetto è scritto in terzine dantesche ed è strutturato in una catena di trionfi.

Nel primo il poeta racconta di aver assistito in sogno a una visione di cui,purtroppo, nella sua triste epoca contemporanea non può godere, ovvero la celebrazione di un trionfo, simile a quelli che nell’antica Roma erano celebrati in Campidoglio: «sovr’un carro di foco un garzon crudo/ con arco in man e con saette a’ fianchi;/ nulla temea, però non maglia o scudo,/ ma sugli omeri avea sol due grand’ali/ di color mille, tutto l’altro ignudo;/ d’intorno innumerabili mortali,/ parte presi in battaglia e parte occisi,/ parte feriti di pungenti strali». 

Si celebra la vittoria di Amore su importanti eroi dell’antichità. Petrarca si avvicina al carro per riconoscere qualche personaggio, ma senza successo. Probabilmente la dura prigionia ha reso irriconoscibili i tratti del volto dei prigionieri. Allora, avvicinatasi a Petrarca, un’ombra lo ammonisce che la prigionia è il guadagno che si acquista quando si ama. Gli indica anche i personaggi più importanti incarcerati: «Quel che ’n sì signorile e sì superba/ vista vien primo è Cesar, che ’n Egitto/ Cleopatra legò tra’ fiori e l’erba;/ or di lui si triunfa, et è ben dritto,/ se vinse il mondo et altri ha vinto lui,/ che del suo vincitor sia gloria il vitto./ L’altro è suo figlio; e pure amò costui/ più giustamente: egli è Cesare Augusto,/ che Livia sua, pregando, tolse altrui./ Neron è il terzo, dispietato e ’ngiusto;/ vedilo andar pien d’ira e di disdegno;/ femina ’l vinse, e par tanto robusto». 

I primi prigionieri sono Cesare, Augusto, Nerone. L’elenco dei grandi che seguono il carro è lungo. Il lettore riconosce nella descrizione i caratteri della scrittura dantesca. A chi non sovviene, ad esempio, la lunga teoria di anime morte violentemente nel canto V dell’Inferno quando Dante scrive: «La prima di color di cui novelle/ tu vuo’ saper […]/ fu imperadrice di molte favelle./ A vizio di lussuria fu sì rotta,/ che libito fé licito in sua legge,/ per tòrre il biasmo in che era condotta./ Ell’è Semiramìs, di cui si legge/ che succedette a Nino e fu sua sposa:/ tenne la terra che ’l Soldan corregge./ L’altra è colei che s’ancise amorosa,/ e ruppe fede al cener di Sicheo;/ poi è Cleopatràs lussurïosa./ Elena vedi, per cui tanto reo/ tempo si volse, e vedi ’l grande Achille,/ che con amore al fine combatteo./ Vedi Parìs, Tristano"; e più di mille/ ombre mostrommi e nominommi a dito,/ ch’amor di nostra vita dipartille». 

Nella lunga teoria di anime imprigionate da Amore Petrarca vede anche i grandi poeti antichi e i moderni: tra questi Dante che si trova con la sua Beatrice, Cino da Pistoia, Guittone d’Arezzo, Arnaut Daniel. Dopo il trionfo d’Amore segue quello della Pudicizia, in cui diventa protagonista Laura, che strappa al carro di Amore molte donne importanti della storia e della letteratura. A seguire il trionfo della Morte, che ricorda la scomparsa di Laura e la caducità della vita, poi quello della Fama con una lunga scia di personaggi celebri (condottieri, poeti, filosofi, …) e quello del Tempo che annienta tutto quanto scorra sulla Terra. Non ci soffermeremo su questi trionfi centrali, ma dedicheremo la nostra attenzione a quello finale dell’Eternità.

Dopo aver assistito al misero crollo di ogni illusione, persino della poesia e della fama a cui il poeta ha sempre aspirato, Petrarca chiede al suo cuore in chi confidi. Ecco la risposta: «Nel Signor, che mai fallito/ non ha promessa a chi si fida in lui;/ ma ben veggio che ’l mondo m’ha schernito,/ e sento quel ch’i’ sono e quel ch’i’ fui,/ e veggio andar, anzi volare il tempo […]/. Ma tarde non fur mai grazie divine:/ in quelle spero che ’n me ancor faranno/ alte operazïoni e pellegrine». Il poeta contempla l’eternità e s’avvede di quanto siano infelici le persone che si rifugiano in beni terreni che il tempo porta via. I primi cinque trionfi riguardano la dimensione temporale e terrena, l’ultimo e definitivo verrà contemplato dal Cielo, per coloro che otterranno la grazia di accedervi. 

Petrarca non può non concludere il poemetto con un pensiero a colei che per tanti anni ha occupato il posto principale nella sua mente e nel suo cuore: Laura. Gli ultimi versi sono allora dedicati al suo trionfo in Cielo dove il poeta spera di rivederla: «Ma inanzi a tutte ch’a rifar si vanno,/ è quella che piangendo il mondo chiama/ co la mia lingua e co la stanca penna;/ ma ’l ciel pur di vederla intera brama./ A riva un fiume che nasce in Gebenna/ Amor mi diè per lei sì lunga guerra/ che la memoria ancora il cor accenna./ Felice sasso che ’l bel viso serra!/ ché, poi ch’avrà ripreso il suo bel velo,/ se fu beato chi la vide in terra,/ or che fia dunque a rivederla in cielo?».

In maniera analoga Dante ha concluso la Vita Nova: «Appresso questo sonetto apparve a me una mirabile visione, ne la quale io vidi cose che mi fecero proporre di non dire più di questa benedetta infino a tanto che io potesse più degnamente trattare di lei. E di venire a ciò io studio quanto posso, sì com’ella sae veracemente. Sì che, se piacere sarà di colui a cui tutte le cose vivono, che la mia vita duri per alquanti anni, io spero di dicer di lei quello che mai non fue detto d’alcuna. E poi piaccia a colui che è sire de la cortesia, che la mia anima se ne possa gire a vedere la gloria de la sua donna, cioè di quella benedetta Beatrice, la quale gloriosamente mira ne la faccia di colui qui est per omnia secula benedictus». 

Petrarca termina I trionfi così come il Dante giovanile ha concluso nell’opera di esordio dedicata a quella donna, Beatrice, che aveva cambiato la sua vita e grazie alla quale aveva intuito la via del Cielo.

(Fine)