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CAUCASO

Armeni e azeri: negoziati in stallo. Nel Nagorno Karabakh si fa la fame

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Il Nagorno Karabakh, regione abitata da armeni cristiani, incastonata in mezzo all’Azerbaigian a maggioranza musulmana, da 227 giorni è bloccato e da 42 “assediato”. La denuncia del presidente Harutyunyan.

Esteri 26_07_2023
Artsakh, scolari a lume di candela

Il Nagorno Karabakh, regione abitata da armeni cristiani, incastonata in mezzo all’Azerbaigian a maggioranza musulmana, da 227 giorni è bloccato e da 42 può definirsi “assediato”. Da giugno, infatti, l’esercito dell’Azerbaigian ha bloccato gli ultimi trasporti consentiti di merci e persone al loro check point militare nella strada di Lachin, unica via di accesso dall’Armenia al Nagorno Karabakh.

I negoziati internazionali, per giungere ad una soluzione pacifica e alla fine del blocco, sono finiti nel vuoto. Fumata nera anche a Mosca, dove ieri si sono incontrati i ministri degli esteri armeno e azero. La guerra, terminata nel novembre 2020, potrebbe ricominciare. Ne ha parlato, con termini abbastanza espliciti, il premier armeno Pashinyan. Intanto il presidente della repubblica dell’Artsakh (così si chiama l’autoproclamato Stato armeno del Nagorno Karabakh) denuncia una grave crisi umanitaria fra i suoi 120mila cittadini, a causa del blocco azero che fa mancare loro anche i beni di prima necessità.

Andando con ordine, il blocco si è intensificato, con l’intervento diretto dell’esercito azero (prima erano usati “manifestanti” per interrompere il traffico), 42 giorni fa. L’11 luglio, l’Azerbaigian ha anche ufficialmente accusato la Croce Rossa di praticare il contrabbando, portando alla popolazione armena anche carburante e sigarette. La Croce Rossa e fonti armene negano che vi siano stati trasporti di merci di contrabbando e affermano che nelle ambulanze siano stati imbarcati 13 pazienti dal Nagorno Karabakh all’Armenia, mentre decine di altri pazienti, anche gravi, versano in condizioni critiche negli ospedali sempre più sguarniti dell’Artsakh. L’accusa, comunque, segna un’ulteriore spinta azera a intensificare quel che ormai è un vero e proprio assedio.

La diplomazia è in stallo. Nell’ultima mediazione dell’Unione Europea, sotto l’egida del presidente del Consiglio Charles Michel, la distanza delle due parti pare essersi allargata. L’Azerbaigian non ha ancora dato una spiegazione univoca e chiara sulle cause del blocco del corridoio di Lachin, se non quella che rimarrà in vigore finché “continueranno le provocazioni di Erevan” (la capitale dell’Armenia, ndr). Pashinyan dal canto suo avverte che le ostilità possono riprendere: “Finché un trattato di pace non è stato firmato e tale trattato non è stato ratificato dai parlamenti dei due Paesi, ovviamente, è molto probabile una nuova guerra”. Il premier armeno torna ad accusare la controparte di compiere, con il blocco del corridoio di Lachin, una pulizia etnica, anche se con metodi non bellici: “non è più una possibilità teorica, ma un programma specifico che viene portato avanti bloccando illegalmente il corridoio di Lachin”.

A Mosca, la mediazione sotto l’egida della Russia non è andata meglio. Jeyhun Bayramov, ministro degli Esteri azero, ha concluso l’incontro, tenutosi ieri, commentando “ci sono state più chiacchiere che risultati”, anche se: “Sarebbe sbagliato dire che non vi siano stati buoni risultati del tutto. Oggi, abbiamo avuto la possibilità di scambiare opinioni su un’intera gamma di problemi. E tradizionalmente, in questo formato, noi e gli armeni ci concentriamo nei rimanenti articoli di un trattato di pace”. La controparte armena, Ararat Mirzoyan, ha però confermato che la presenza militare azera nel corridoio di Lachin “complica” il dialogo.

Mentre la diplomazia è in stallo, la popolazione armena del Nagorno Karabakh fa la fame. “È evidente che l’Azerbaigian, nella più completa impunità internazionale, continui ad intensificare la repressione del popolo dell’Artsakh, con l’evidente intento di condurre una pulizia etnica, mosso da una politica di odio etnico e di discriminazione”, ha dichiarato il presidente dell’autoproclamata repubblica dell’Artsakh, Arayik Harutyunyan, in una conferenza stampa virtuale a cui ha partecipato anche la Nuova Bussola Quotidiana. “Durante questo periodo (durante il blocco, ndr), la Corte Internazionale di Giustizia e la Corte Europea dei Diritti Umani hanno emesso sentenze giuridicamente e politicamente vincolanti per garantire la libera circolazione di persone, veicoli e merci attraverso il Corridoio di Lachin in entrambe le direzioni”, che l’Azerbaigian, evidentemente, non sta rispettando.

Per il presidente Arayik Harutyunyan questo conflitto “non è una disputa territoriale” e non si risolverà, dunque, con il riconoscimento formale, da parte dell’Armenia, della sovranità azera sul territorio del Nagorno Karabakh. La guerra azera, mira a cacciare gli armeni, secondo Harutyunyan. E anche nel breve periodo, lo scopo del blocco di Lachin serve a: “soggiogare il popolo dell’Artsakh al terrore psicologico, stabilire un controllo costante sui punti di accesso dell’Artsakh, creare condizioni di vita insopportabili, testare e passare le linee rosse dei partiti armeni, gettare discredito sulle garanzie internazionali e regionali di sicurezza e stabilità”.

L'assedio ha creato condizioni da grave crisi umanitaria per i 120mila abitanti armeni: “il 90% del cibo consumato nell’Artsakh era importato dall’Armenia. Negli ultimi 40 giorni non un singolo grammo di cibo è entrato nell’Artsakh”. Ed anche la scarsità di carburante fa sì che: “solo il 20% del lavoro agricolo viene completato e abbiamo solo una piccola parte del raccolto”. È tornata ad essere altissima la mortalità infantile, “l’anemia fra le donne incinta ha raggiunto un agghiacciante 90% dei casi. Tutti gli esami medici e le operazioni programmate sono stati sospesi”. Inoltre “sono 196 giorni che l’Azerbaigian ha interrotto le forniture elettriche dall’Armenia all’Artsakh, il che comporta frequenti blackout, per almeno sei ore al giorno”.

Questa stretta ha provocato una devastante crisi economica: disoccupazione all’80% nel settore privato e una perdita secca dell’equivalente di 430 milioni di dollari, pari al 50% del Pil locale. Sono le “condizioni di vita insostenibili” con cui l’Azerbaigian sta tentando di cacciare gli armeni, senza ricorrere a un’altra guerra.

Nell’appello che Harutyunyan rivolge alla comunità internazionale, rievoca lo spettro del genocidio: “La comunità internazionale, con il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, di cui fanno parte tre Paesi co-presidenti del Gruppo di Minsk dell'OSCE e che ha la responsabilità primaria della pace e della sicurezza internazionale e della prevenzione dei crimini di atrocità, possiede tutti gli strumenti necessari per fermare la politica genocida dell'Azerbaigian”.

E i russi? Il corridoio di Lachin dovrebbe essere presidiato da forze di peacekeeping russe, sin dal novembre 2020, dalla fine della guerra. Ma dopo l’invasione dell’Ucraina a Putin interessa, evidentemente, molto meno l’impegno del Caucaso. E come spiega il presidente dell’Artsakh “non hanno nemmeno il mandato per intervenire”. E forse neppure i mezzi, aggiungiamo noi. Poi, dietro l’Azerbaigian, c’è la Turchia. E Putin, anche in questo anno e mezzo di guerra, considera Erdogan come l’unico interlocutore, in campo Nato, degno di rispetto.