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medio oriente

Arresti e restrizioni in Cisgiordania, la denuncia sui social

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Dal tragico 7 ottobre non c'è giorno senza irruzioni dei soldati israeliani: controlli severi e gente arrestata anche senza alcuna accusa di reato. Intanto la scure dei crimini di guerra potrebbe abbattersi su Netanyahu.

Esteri 30_04_2024
AP Photo/Nasser Nasser

Una guerra silenziosa. Senza clamori sui mezzi di comunicazioni. Le notizie, però, nonostante l'embargo, circolano sui social dove vengono denunciate le azioni compiute dai soldati israeliani. Non c'è giorno, da quel tragico e orrendo 7 ottobre dello scorso anno, in cui i soldati con la Stella di Davide non facciano delle incursioni per arrestare i cittadini della Cisgiordania. Nablus, Jenin e Bir Zeit sono i centri presi maggiormente di mira. Rafforzati anche i posti di blocco di Tayasir e Hamra nel nord della Palestina.

In Cisgiordania l'altro ieri si festeggiava la domenica delle Palme ortodossa e anche i cattolici erano coinvolti. Ma l'esercito israeliano ha continuato ad imporre pesanti restrizioni alle popolazioni dei vari villaggi. Spostarsi da un paese all'altro, è diventata un’impresa ardua. «Prima della guerra se dovevo recarmi a Nablus – dice il parroco della chiesa latina di Bir Zeit, abuna Louis Hazboun – per incontrare qualche persona ci impiegavo circa quaranta minuti, ora ci vogliono dalle 4 alle 5 ore. I controlli sono molto severi e meticolosi».

In Cisgiordania, quotidianamente, vengono effettuati degli arresti. Sono i cosiddetti "arresti amministrativi". Le persone fermate vengono portate in carcere senza alcuna accusa di reato; non viene data loro la possibilità di comunicare con l'esterno. Solo l'avvocato può chiedere notizie. Ma anche a lui il reato contestato, spesso, non viene reso noto.

È il caso di una giovane, Layan Aranki Nasir, 23 anni di Bir Zeit, un'attivista universitaria. Assieme ad altre centinaia di coetanei chiedeva il rispetto dei propri diritti e soprattutto di poter vivere in una Palestina libera, senza occupazione militare israeliana. Da poco ha terminato gli studi, ma il suo impegno sociale è sempre rimasto vivo. 
Era lo scorso 7 aprile, quando alle prime ore dell'alba, come è consuetudine per l’esercito israeliano, i soldati hanno fatto irruzione nell'abitazione di Layan. Tutta la famiglia era ancora a letto.
I militari, circa venti, hanno impartito degli ordini urlando e puntando le armi sui presenti nella casa. Hanno rovistato l'abitazione da cima a fondo, gettando per terra tutti gli oggetti che si trovavano negli armadi o nei cassetti. Hanno preso Layan ammanettandola con una catena. Le hanno bendato gli occhi e l'hanno fatta salire in una camionetta blindata. 
«I familiari mi hanno riferito che Layan non è stata accusata di alcun reato – dice abuna Louis –. Sono andati in carcere per farle visita, ma inutilmente. Sono molto preoccupati. A distanza di parecchi giorni dall'arresto, i genitori non sanno ancora il motivo per cui la loro figlia è finita in carcere. Il padre non dorme più dal giorno dell’irruzione in casa sua, e dopo che i militari gli hanno puntato alla tempia un mitra. Hanno vissuto dei momenti veramente disumani». 

La legge israeliana permette di arrestare tutti i palestinesi che abbiano compiuto almeno dodici anni, per qualsiasi motivo, senza alcuna accusa e trattenerli in carcere per sei mesi, procrastinabili. In queste prigioni, sia gli uomini, che le donne hanno trasformato la detenzione in un laboratorio politico. E una delle prime rivendicazioni è stata quella di farsi riconoscere lo status di prigionieri politici. Dopo il 7 ottobre 2024, i prigionieri palestinesi sono aumentati da 4000 ad oltre 10000, comprese le donne. C’è anche una situazione di sovraffollamento nelle prigioni (12 persone in una cella dove ce ne starebbero 5). Non hanno più diritto all’ora d’aria e viene concessa un'ora di tempo, in cui possono uscire dalle celle, soprattutto per utilizzare il bagno. A Gaza, invece, i prigionieri sono ammucchiati in campi di detenzione, spesso nel deserto e in condizioni disumane. Anche nelle prigioni destinate alle donne si verificano forme di repressione molto più forti, rispetto al passato, e rafforzate, in maniera esponenziale, dal 7 ottobre in poi. Nel frattempo, aumentano le proteste e i carcerati chiedono maggiori diritti. In particolare, quello di poter incontrare i propri familiari.

Intanto, nella Striscia si continua a morire. In 205 giorni di guerra, le vittime hanno raggiunto il numero di 34.454, mentre i feriti hanno ormai superato le 77mila unità. Scarseggiano il cibo, il carburante, l’acqua e i medicinali necessari per la sussistenza degli oltre 2,3 milioni di residenti a causa della stretta imposta da Israele e della massiccia distruzione di infrastrutture e costruzioni. Anche tra i militari israeliani le vittime sono in aumento. Dal 7 ottobre ad oggi, hanno raggiunto le 604 unità, di cui 260 nelle operazioni di terra. «Basta sangue. È ora di deporre le armi – dice abuna Louis –. È indispensabile vivere in pace». 

Ma una nuova scure si sta per abbattere sul primo ministro Benjamin Netanyahu e su alcuni suoi ministri. La possibilità che Karin Khan, Procuratore della Corte Penale Internazionale, possa firmare un mandato di cattura internazionale per crimini di guerra. Sarebbe un duro colpo per il governo, che giorno dopo giorno, è sempre più contestato anche dagli stessi israeliani. «Sotto la mia guida – ha scritto Netanyahu – Israele non accetterà mai alcun tentativo della Corte Penale Internazionale di minare il suo diritto fondamentale alla difesa». Ma il capo del governo israeliano sta facendo molte pressioni sugli Stati Uniti affinché facciano il possibile per scongiurare questo verdetto. Richiesta fatta anche nel corso della telefonata intercorsa tra Netanyahu e il presidente Biden. 

Anche le cancellerie di vari Paesi sono in piena attività. Al Cairo sono giunte le delegazioni di Hamas e di Israele. All'incontro, ennesimo tentativo di fermare questa guerra, parteciperanno sia l'Egitto, che gli Stati Uniti e il Qatar. Il ministro degli Esteri israeliano, Israel Katz, ha affermato che il governo ebraico potrebbe “sospendere” l’imminente invasione di Rafah solamente se verrà raggiunto un accordo con Hamas. «Hamas ha davanti a sé una proposta straordinariamente generosa da parte di Israele. E in questo momento, l'unica cosa che si frappone tra il popolo di Gaza e un cessate il fuoco è Hamas. Devono decidere e devono decidere in fretta. Spero che prendano la decisione giusta, possiamo avere un cambiamento fondamentale della situazione». Lo ha dichiarato, intervenendo all'incontro del World Economic Forum in Arabia Saudita, il segretario di Stato Usa Antony Blinken.



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