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ELEZIONI USA

Avvenire adula Biden travisando fede e laicità

Il quotidiano della Cei, attraverso un editoriale di Mauro Magatti, presenta il “vincitore” Joe Biden come colui che si sacrifica per il Paese, diversamente da Trump. Lo si loda per la sua fede che gli fa sostenere la lotta ai cambiamenti climatici e alla povertà, nel solco di Francesco. Ma davvero essere cattolico in politica significa e si limita a questo?

Attualità 12_11_2020

Dopo le prime indicazioni sul voto americano abbiamo assistito alla stucchevole corsa di tanti - anche di coloro che almeno per motivi istituzionali avrebbero dovuto procedere con più prudenza - a lodare il “vincitore” Joe Biden e a prefigurare una nuova fase nella vita del mondo degli uomini. Abbiamo assistito ad autentiche gaffe, che vanno da quella della Conferenza episcopale statunitense (vedi qui) a quella del presidente italiano Sergio Mattarella passando per il Commissario dell’UE Paolo Gentiloni. Sulla reale consistenza dei personaggi si impara più da queste piaggerie che da altro.

E gli intellettuali? Tra le tante comunicazioni di soddisfazione per il nuovo corso americano e mondiale mi ha colpito l’editoriale di Mauro Magatti pubblicato su Avvenire del 10 novembre scorso. Occhiello: “Gli atti di fede di un presidente”. Titolo: “Biden tra radici cattoliche e sfide laiche”. Vi ho trovato tutta la retorica della gigiona adulazione da avanspettacolo. E ciò fin dall’incipit: “Diventare presidente degli Stati Uniti d’America, a 77 anni, nel mezzo di una pandemia che continua a mietere migliaia di morti, con un’economia in difficoltà e un Paese in preda a forti scontri razziali richiede molto coraggio. Forse una certa dose di incoscienza”.

Come dire che Trump lascia un Paese a pezzi e che ora Biden lo deve portare “fuori dalla tempesta”. La cronaca però dice il contrario, l’economia americana non è per niente in difficoltà, anzi, e il razzismo è in gran parte una invenzione propagandistica dato che il movimento Black Lives Matter ha ben altre cause e ben altri obiettivi. È interessante, comunque, questa presentazione di Biden come idealista nonno boy scout che si sacrifica per il Paese, mentre è evidentemente al centro di un coagulo di interessi e di poteri da far paura. Il clintonismo e l’obamismo di cui è l’erede designato non sono favole dai buoni sentimenti.

A ciò segue l’elogio della raffinata visione laica della politica del credente Biden, contrapposta alla grossolana esibizione di simboli religiosi del volgare Trump. Per Magatti non si tratta solo di stile ma di sostanza. Biden “non ha mai nascosto di essere cattolico”, anzi ha più volte detto che la fede è stata per lui una bussola anche per le scelte politiche, come fece in due interviste nelle quali disse di accettare la verità dei cambiamenti climatici e nella seconda di voler lottare contro la povertà. Magatti non ha dubbi che dichiarazioni simili “sembrano fare riferimento alle due ultime encicliche di papa Francesco, Laudato si’ e Fratelli tutti”.

Qui dobbiamo fermarci un attimo. Veramente secondo Magatti essere cattolico in politica vuol dire credere nei cambiamenti climatici e desiderare la lotta alla povertà? La povertà della cattolicità di Biden - se veramente si limita a ciò - è pari solo alla povertà della concezione che Magatti ha del ruolo dei cattolici in politica e ancora di più alla povertà delle due encicliche di papa Francesco se anche esse si limitano - come Magatti conferma - a ciò. Siamo qui in presenza di una triangolazione di visioni riduttive: Biden-Magatti-papa Francesco.

La fede di Biden però non si limita a credere nei cambiamenti climatici e nella lotta alla povertà. Secondo Magatti, essa consiste nel “tradurre in un linguaggio politico adatto a tutti i cittadini, indipendentemente dal loro credo religioso” la fede in Dio. Biden quindi conosce la mediazione che la laicità richiede, “consapevole dei rischi che si corrono tutte le volte in cui la religione si fa prendere dall’idea di usare la politica per affermarsi nella società”, una strada “sterile e pericolosa”. Ho cercato di capire, ma non ci sono riuscito, perché fare una politica contro l’aborto, ossia difendere la vita, significa usare la politica per affermare la propria fede. Si tratta di nient’altro che usare la ragione, magari anche con l’aiuto della fede, ma di usare la ragione.

Sul punto dell’aborto Trump usa la ragione, Biden no. Ciò significa che la sua concezione della laicità diventa una nuova fede religiosa che si sovrappone a quella cattolica e in politica la sovrasta e ne elimina le esigenze, che sono quelle di adoperare la ragione fino in fondo. La fede cattolica non vuole trasformare la politica in religione, vuole che la politica usi la ragione e affinché lo faccia la illumina e la sostiene. Questa posizione è sanamente laica, quella di Biden è un integralismo ideologico che su questo punto gli vieta di usare la ragione per presunti motivi di fede.

Il ritratto magattiano di Biden è oleografico: “l’anziano presidente che entra alla Casa Bianca dopo una lunga vita plasmata dalla fede e dal dolore”, “capace di operare per permettere di ritrovare quel senso del comune destino che è oggi così difficile da riconoscere”, “allergico ai toni forti, il nuovo presidente ha una spiccata attitudine per la mediazione e la ricerca di una soluzione comune”, è “uomo di riconciliazione”, “uomo delle istituzioni, con una vita segnata da dolori devastanti, Biden trasmette un senso di calma”. Un ossequio sdolcinato e cortigiano, copia carbone della versione canonica per quattro anni portata avanti dai maggiori poteri occidentali, primo tra tutti dal quarto potere della stampa.

Senza contare, poi, che Magatti parlava di un presidente che non era ancora presidente. Cosa avrebbe scritto se lo fosse stato veramente?