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la nota

Bergamo: giusti richiami sulla liturgia, con qualche amnesia

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La diocesi ricorda le norme "talvolta" (cioè spesso) disattese sui ministri straordinari e la modalità di distribuzione della Santa Comunione. Mancherebbero all'appello vari punti, altrettanto dimenticati.

Ecclesia 16_12_2023

«La cura della celebrazione è segno di amore nei confronti del Signore ed espressione di comunione. Il rispetto dovuto alle prescrizioni rituali, infatti, non tende tanto al raggiungimento di una sterile uniformità ma ad una maggiore unità ecclesiale». Inizia così la Nota liturgica emessa dalla diocesi di Bergamo il 5 dicembre scorso, per richiamare sacerdoti e fedeli ad «una fedele obbedienza alle indicazioni del Messale che vanno pertanto conosciute e rispettate».

Si tratta di un documento che intende ricordare le norme presenti nei libri liturgici, «talvolta disattese nella prassi». Ed è chiaro che se una diocesi si prende la premura di richiamarle con una nota, significa che quel “talvolta” non è sinonimo di “raramente”. Ed in effetti, quando si legge il contenuto, non si può non convenire sul fatto che questi abusi sono purtroppo molto diffusi, anche al di fuori della diocesi di Bergamo.

Le due questioni più rilevanti riguardano i ministri straordinari dell’Eucaristia e la modalità di distribuzione della Santa Comunione. Non è un mistero che tali ministri permangano straordinari solo nella denominazione, ma sono divenuti ordinari nella prassi. La Nota ricorda anzitutto che si tratta di ministri istituiti, con modalità differenti a seconda delle diocesi, ma pur sempre istituiti; il sacerdote non può prendere qualcuno dell’assemblea o dei ministranti e chiedergli di distribuire la Comunione. In secondo luogo, la finalità di questo ministero è duplice: coadiuvare il parroco per la Comunione alle persone anziane ed ammalate, che non possono recarsi in Chiesa; coadiuvare il sacerdote durante la celebrazione quando vi siano molte persone o quando il sacerdote sia fisicamente impossibilitato.

L’Istruzione Immensæ Caritatis (29 gennaio 1973), che istituiva questo ministero, spiegava infatti con chiarezza la sua finalità: «è necessario provvedere che, per la mancanza dei ministri, non diventi impossibile o difficile ricevere la Santa Comunione». Non è dunque consentito ai sacerdoti non impossibilitati delegare la distribuzione dell’Eucaristia, né chiamare in causa i ministri straordinari senza vera necessità o, come a volte accade, per promuovere il sacerdozio comune dei fedeli.

La Nota ricorda inoltre che i ministri straordinari sono tenuti a «curare la loro formazione spirituale e ad assumere scelte di vita conformi all’insegnamento della Chiesa» e che «per essere ammessi al ministero occorre avere un’età minima di 25 anni». Inoltre, non possono esporre e riporre il Santissimo Sacramento, andare a prendere la pisside nel tabernacolo e riporla, durante la Messa, né presiedere la liturgia della Parola.

Quanto alla distribuzione dell’Eucaristia, la Nota ricorda che «i ministri ordinari e straordinari della Comunione sono (…) tenuti a rispettare (...) il desiderio dei singoli fedeli» che vogliano ricevere la Comunione in bocca o sulle mani. Tuttavia omette di ricordare che la seconda modalità è un semplice indulto, mentre la prima, secondo quanto espresso nell’Istruzione Memoriale Domini, che questa pratica autorizzava, costituisce «la forma ormai tradizionale» che meglio assicura «una distribuzione rispettosa, conveniente e dignitosa insieme della Comunione» ed «evita il pericolo di profanare le specie eucaristiche». Questa disparità delle due forme è pressoché dimenticata. La Nota omette infatti di citare anche quei passaggi del Decreto CEI del 19 luglio 1989, confermato dalla Congregazione per il Culto Divino, nei quali si distingue tra il modo «particolarmente appropriato» di ricevere la Comunione (sulla lingua) e quello semplicemente permesso («la Chiesa permette di dare l’Eucaristia deponendola sulle mani dei fedeli»).

Le due forme non si equivalgono: quella sulla lingua è la modalità ordinaria, quella sulla mano un indulto (che nasce tra l’altro da abusi diffusi in certi Paesi europei); la prima – ancora più importante – è quella che maggiormente esprime rispetto, convenienza e dignità e impedisce il rischio di profanazione, secondo le parole di Paolo VI.

Il rischio di profanazione è dunque implicitamente ammesso anche dalla Nota (e dalla Memoriale Domini), la quale infatti si trova a richiamare una condizione indispensabile, ossia che i fedeli si accostino alla Comunione «con la dovuta devozione ed attenzione nell’evitare la dispersione dei frammenti». Dunque, la diocesi di Bergamo ammette che senza questa attenzione la dispersione dei frammenti è più che possibile. Concretamente, si richiederebbe che ogni fedele che ricevere la Comunione sulla mano verifichi la presenza di eventuali frammenti sul palmo e sulle dita che portano la Sacra particola in bocca. Ma dobbiamo essere sinceri: quanti sono i fedeli che prestano questa attenzione? E quanti sono i sacerdoti che insegnano ad averla? Realisticamente, la stragrande maggioranza dei fedeli che si comunica sulla mano non verifica mai la presenza di eventuali frammenti. E dunque, altrettanto realisticamente, la Comunione sulla mano, come viene fatta dalla stragrande maggioranza delle persone, di fatto aumenta non solo il rischio, ma la realtà della dispersione dei frammenti. Ma allora, non sarebbe più logico limitarne la diffusione, tornando ad educare i fedeli sulla modalità tradizionale di ricevere la Comunione?

Inoltre, la Nota omette una precisazione importante dell’Istruzione della Congregazione per il Culto Divino Redemptionis Sacramentum (2004): «Se c’è pericolo di profanazione, non sia distribuita la Santa Comunione sulla mano dei fedeli» (n. 92). Dunque, il ministro, mentre non può rifiutare la Comunione sulla lingua, può rifiutare quella sulla mano qualora ravvisi che ci sia il pericolo che la Santa Eucaristia sia profanata.

La Nota ricorda altresì che «coloro che ricevono la Comunione sulla mano sono invitati ad assumere il Corpo di Cristo ponendo in modo corretto una mano sull’altra (la sinistra sopra la destra), comunicandosi davanti al ministro o leggermente a lato». Anche su questo punto, la realtà è completamente diversa: praticamente nessun fedele si comunica davanti al ministro e pochi lo fanno di poco a lato; la maggior parte prende l’Ostia tra le dita e la mette in bocca mentre torna al posto. E praticamente nessun sacerdote interviene a correggere questa pratica.

Altro punto: «circa la Comunione in ginocchio, l’Ordinamento Generale del Messale Romano la prevede lasciando alle singole Conferenze episcopali di scegliere se avvalersi o meno di tale opportunità. La CEI si esprime così: “I fedeli si comunichino abitualmente in piedi, avvicinandosi processionalmente all’altare o al luogo ove si trova il ministro”». Ricevere la Comunione in piedi è ritenuto il modo abituale, non esclusivo.

Ma è strano che l’Ufficio liturgico abbia dimenticato anche questa volta di riferirsi a Redemptionis Sacramentum (n. 91): «Non è lecito, quindi, negare a un fedele la Santa Comunione, per la semplice ragione, ad esempio, che egli vuole ricevere l’Eucaristia in ginocchio oppure in piedi». Così come non fa alcun riferimento al n. 92, che indica come necessario, non semplicemente raccomandato, l’uso del piattino per la Comunione dei fedeli.

Bene, infine, ribadire che «nella distribuzione della comunione l’Eucaristia è sempre consegnata dal ministro e non presa direttamente dai fedeli». Buoni, dunque, i richiami; ma perché tante omissioni?



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