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IRAQ

Bomba ad Erbil, l'Isis avverte i cristiani nel Kurdistan

Ankawa, il quartiere cristiano di Erbil, Kurdistan, è stato colpito ieri da un grave attentato. La bomba è stata fatta esplodere in una zona affollata, in un'ora di punta, per provocare più vittime e una maggiore ondata di terrore. Erbil ha accolto 2 milioni e mezzo di profughi cristiani dall'Iraq. Ora l'Isis sta facendo capire loro che non sono al sicuro.

Esteri 18_04_2015
Ankawa, dopo la bomba

Le bombe non sono tutte uguali. E non è il numero dei morti l'unico metro per misurare la loro carica devastante. È la riflessione che viene immediata pensando a quanto è successo nel tardo pomeriggio di ieri ad Ankawa, il quartiere cristiano di Erbil - la capitale del Kurdistan iracheno - dove un'esplosione ha sventrato un caffè provocando la morte di tre persone e numerosi feriti.

Un attentato apparentemente come tanti altri nelle cronache dell'Iraq di oggi. Se non fosse per un dettaglio non indifferente: Erbil è la città curda che ospita 2,5 milioni di profughi scappati dalla furia dello Stato Islamico. L'approdo di chi - in condizioni insostenibili, nell'estate scorsa - è stato costretto da un giorno all'altro a fuggire da Mosul o dalla Piana di Ninive senza poter portare con sé praticamente nulla.

La dinamica dell'attentato nel momento in cui scriviamo non è ancora del tutto chiara. Ad esempio tra le fonti locali locali c'è chi parla di un'autobomba e chi di un attentatore suicida. Ma con il passare delle ore nelle agenzie di informazione curde si fa strada l'idea che l'obiettivo non fosse direttamente il consolato americano - che si trova nella zona e che non ha avuto né danni alle strutture né feriti tra il suo personale. L'intenzione probabilmente era piuttosto quella di colpire la zona dei caffè e dei negozi di Ankawa proprio nell'orario più affollato; sembra, tra l'altro, che tra le tre vittime ci siano anche un cittadino statunitense e uno turco, oltre a un'altra insegnante americana che figurerebbe tra i feriti.

Già nel novembre scorso la tranquilla Erbil - rifugio per i cristiani fin dagli anni durissimi della mattanza a Baghdad - aveva dovuto fare i conti con un'autobomba che aveva colpito la zona del governatorato. Questa volta però sembrerebbe evidente il salto di qualità nell'azione rivendicata da una autoproclamatasi cellula di Kirkuk dello Stato islamico: l'obiettivo - più che un simbolo del potere - è seminare la paura tra la gente. E farlo proprio nel quartiere cristiano, quello dove hanno la loro base anche la maggior parte delle Ong internazionali impegnate nell'assistenza ai profughi di Mosul.

È un messaggio chiaro quello lanciato ieri dallo Stato Islamico ad Ankawa: ai cristiani - che solo pochi giorni fa qui avevano celebrato i riti della Pasqua, come segno di speranza nella tribolazione - hanno detto che neanche lì possono sentirsi al sicuro. Come li hanno colpiti a Mosul possono arrivare anche ad Ankawa, dove da mesi provano a sopravvivere tra mille difficoltà sotto le tende. Ed è un messaggio evidentemente rivolto anche ai peshmerga curdi: nonostante i successi sul campo di battaglia - ha detto lo Stato Islamico con il suo linguaggio di morte - possiamo ancora colpirvi nel cuore della vostra città; abbiamo cellule infiltrate anche in Kurdistan, pronte a entrare in azione all'occorrenza.

Per questo motivo l'attentato di ieri va preso molto sul serio: se davvero si rivelasse l'inizio di una campagna contro Erbil la situazione potrebbe diventare molto pesante. Anche perché in una situazione di sicurezza precaria si porrebbe subito la questione del personale delle agenzie internazionali impegnate per l'emergenza profughi. E un passo indietro su questo fronte sarebbe il colpo più duro che il Kurdistan in questo momento potrebbe subire.

Va aggiunto che chi è sul posto racconta da mesi della straordinaria vitalità dei cristiani iracheni, capaci di andare avanti nonostante le loro innumerevoli sofferenze. Ma il loro è un coraggio che oggi più che mai occorre continuare a sostenere attraverso la solidarietà. Non è affatto finita l'emergenza profughi a Erbil; è tuttora gravissima come lo era nove mesi fa, quando centinaia di migliaia di persone si accampavano in poche ore alla meglio. Il ritorno a Mosul è un miraggio ancora troppo lontano. A questa gente non resta che il Kurdistan; preghiamo che almeno Ankawa rimanga un rifugio sicuro.