Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
Giovedì Santo a cura di Ermes Dovico
LETTURE PER L'ESTATE/9

Chi era San Francesco? Ce lo spiega Chesterton

Chi era davvero san Francesco? Per ricostruirne la figura consigliamo la lettura dell’interessante saggio San Francesco d’Assisi (edizioni Lindau) di G. K. Chesterton e del romanzo Il gioioso mendicante (edizioni Rizzoli) di Louis de Wohl.

Cultura 23_08_2020

Morto nel 1226 e canonizzato solo due anni più tardi, san Francesco d’Assisi divenne ben presto protagonista di molte opere (narrative o saggistiche). Fin da subito nacque una fiorente letteratura sul santo.

L’agiografia due-trecentesca presentava san Francesco d’Assisi secondo una duplice tradizione. Ad un’impostazione in cui il santo veniva descritto in chiave edulcorata e miracolistica, che trovava la sua espressione nella Legenda prima e nella Legenda secunda di Jacopo da Varagine (1228-1298) e nel XIV secolo nei Fioretti di san Francesco (1370-1390), se ne contrapponeva un’altra più realistica riconosciuta come più veritiera e attendibile dall’ordine francescano delle origini di cui esempio più famoso era la Legenda maior (1260-1263) di san Bonaventura da Bagnoregio (1217/1221 circa-1274).

Ma chi era davvero san Francesco? Per ricostruirne la figura consigliamo la lettura dell’interessante saggio San Francesco d’Assisi (edizioni Lindau) di G. K. Chesterton (1876-1924) e del romanzo Il gioioso mendicante (edizioni Rizzoli) di Louis de Wohl (1903-1961).

L’immensa produzione di Chesterton, scrittore e giornalista, spazia dalla narrativa (ad esempio, L’uomo che fu giovedìI racconti di Padre Brown) alla saggistica fino alla miriade di articoli giornalistici che l’hanno reso il più brillante giornalista inglese del secolo scorso.

Lungi dalla biografia sentimentale e agiografica, il saggio di Chesterton presta attenzione al significato delle tante storie di san Francesco che «troppo spesso vengono usate come una sorta di residuo romantico del mondo medioevale, invece di essere, a immagine del santo, una sfida al mondo moderno».

Animato da quel sano realismo che è scevro di posizioni razionalistiche che non permetterebbero di comprendere appieno la santità dell’uomo, Chesterton cerca di inserire l’Assisiate all’interno della cultura e del contesto storico, sfidando la tendenza giornalistica che – a suo dire – trascura troppo spesso la tradizione in cui un fenomeno si colloca.

Così, scartando le due posizioni prevalenti della critica e della biografia che hanno letto il santo o alla luce di un’analisi sociale o sotto una prospettiva teologica, Chesterton sceglie una terza via, che è quella di condurre una ricerca animata dallo stupore per l’eccezionalità di un uomo, che è stato il vero genio del Duecento.

Per ricostruire la figura incontrata, lo scrittore sceglie pochi aneddoti, ma con la vena da affabulatore che gli è propria, la semplicità e la meraviglia del neofita, li spiega come se fossero successi a lui, con la potenza dell’immedesimazione in un santo innamorato di Cristo, proprio come lui neoconvertito. L’immagine che ne emerge è affascinante.

San Francesco era soprattutto una persona che sapeva dare e la cosa che più gli stava a cuore era il miglior modo di dare, cioè ringraziare. […] Di lui si può dire che ha scritto un trattato dell’accettazione, un trattato della gratitudine. Francesco capiva fino in fondo la teoria del ringraziamento, il cui fondamento è un abisso senza fine. Sapeva che rendere grazie a Dio poggia sulle sue basi più solide quando non poggia su nulla. […] Possiamo misurare l’intensità del miracolo dell’esistenza se ci rendiamo conto che, se non fosse per uno straordinario atto di clemenza, noi potremmo anche non esistere.

San Francesco è stato seguace di Cristo e proprio per questo è stato un precursore:

ha dato all’Italia la poesia prima che venisse al mondo Dante; si è eretto a tribuno dei poveri prima del regno di san Luigi; ha dipinto affreschi prima di Giotto. […] Il grande pittore che ha dato inizio a tutta l’ispirazione della pittura europea si è ispirato a san Francesco. Si dice che quando san Francesco mise in scena, con la semplicità che gli era propria, una rappresentazione della natività di Betlemme con i re e gli angeli nei rigidi e vistosi costumi medioevali e con le ali dorate che facevano da aureole, fu un miracolo pieno di splendore francescano. […] È stato l’anima della civiltà medioevale che non si era ancora data un corpo. C’è anche un’altra corrente di ispirazione spirituale dovuta in larga misura a lui: tutta quella spinta riformista dei tempi medioevali e moderni di cui è responsabile il motto: Deus est Deus pauperum.

Non certo sognatore, san Francesco fu uomo pratico, di azione, rapido fin quasi ad essere precipitoso nei compiti che si assumeva o nelle promesse che dava. Che entusiasmo comunica l’episodio in cui il santo mendica pietre per la ricostruzione della chiesa di San Damiano! La sua stranezza è operosa, caritatevole, entusiasta, infuocata di una passione ardente per Cristo. È la stranezza stessa di un seguace di Colui che fu paradosso e segno di contraddizione per tutti. «Noi non siamo mai saliti così in alto, perché non siamo mai scesi così in basso» scrive Chesterton a proposito di san Francesco.

Ed effettivamente nella lettura tralucono tanto l’attenzione dello scrittore ai limiti umani e al peccato quanto la letizia per aver incontrato Colui che redime la nostra miseria. Proprio da questa duplice consapevolezza nasce il senso umoristico e ironico del narratore che si dispiega in forma così semplice che il lettore ha l’impressione di accompagnare il santo nelle sue avventure.

Una doppia prospettiva (esterna al cenacolo del santo ed interna, cioè consentanea alle ragioni profonde del suo operare) permette al lettore di leggere la storia francescana sotto l’ottica mondana e sub specie aethernitatis.

Lo scrittore ungherese, naturalizzato britannico, Louis de Wohl (1903-1961) dedica molti romanzi alle figure dei santi.

Ne Il gioioso mendicante (tradotto in italiano nel 2013) Louis de Wohl presenta un uomo che abbandona tutto (la gaudente vita precedente, le ricchezze e l’agiatezza della casa paterna, la brama di combattere, la sua immagine di rex iuvenum ovvero «re dei giovani», ambìto dalle compagnie di Assisi) per seguire Cristo.

Le vicende personali del santo sono inserite nel quadro storico contemporaneo, animato da personaggi come papa Innocenzo III, papa Onorio III, l’imperatore Federico II, il sultano Al-Kamil, santa Chiara e attraversato da grandi conflitti (come le crociate, gli scontri tra Papato e Sacro Romano impero).

Con uno stile appassionato e teatrale, che indulge spesso al dialogo vivo tra i personaggi, Louis de Wohl fa rivivere la vita di san Francesco, ripercorrendone la storia dalle diatribe e incomprensioni con il padre Pietro di Bernardone alla scelta radicale di vivere come mendicante, privo di tutto, ricco solo dell’amore di Cristo, dagli incontri con i papi al viaggio per incontrare il sultano durante la crociata. 

Infine, ammalatosi, san Francesco chiese di conoscere la verità sulle sue condizioni di salute. Gli risposero che sarebbe presto morto.

«Benvenuta, sorella Morte» aveva detto subito, con gioia, e aggiunto una nuova strofa al suo Cantico di frate Sole. […] Infine aveva chiesto, e persino implorato i fratelli di riportarlo ad Assisi, e alla Porziuncola. […] Lui aveva redatto il suo testamento, esprimendo i propri desideri per i fratelli, poiché quei desideri erano i suoi unici averi terreni, tranne il corpo che stava per lasciare. Dicono si fosse messo a cantare. Quando frate Elia, con dolce rimprovero, gli suggerì che fosse più decoroso pentirsi dei peccati, lui rispose: «L’ho già fatto questa mattina. Adesso voglio lodare la bontà di Dio». Verso sera, intonò un altro salmo. […] Poi tacque. E non appena scese il silenzio, si levò il richiamo di un’allodola, alla quale subito rispose un’altra e un’altra ancora.