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EDITORIALE

Colonie ebraiche: smantellarle è l'unica soluzione

Dal premier Netanyahu condanna senza precedenti dell'attacco incendiario presso Nablus costato la vita a un bambino palestinese di 18 mesi, ma ciò non sposta di una virgola il nocciolo della questione: ovvero l'illegalità di tutti gli insediamenti, che sono fonte permanente di tensioni e violenze nonché ostacolo al processo di pace. 

Editoriali 02_08_2015
Insediamenti ebraici presso Nablus

Che il premier israeliano Benjamin Netanyahu abbia così duramente condannato l’attacco incendiario dell’altro ieri alla casa di una famiglia palestinese abitante in un villaggio della Cisgiordania presso Nablus, costato la vita a un bambino in fasce, è un grosso fatto nuovo.  E altrettanto nuovo e sorprendente è il fatto che il premier israeliano abbia detto che Israele si impegnerà a fondo nella ricerca dei colpevoli, molto probabilmente coloni ebrei. Lo stesso uso nella circostanza della parola “terroristi” costituisce una novità senza precedenti. Sin qui infatti tale termine era sempre stato utilizzato dai governi israeliani solo con riferimento a palestinesi.

Tutto ciò non può venire trascurato, ma non sposta di una virgola il nocciolo della questione che sono le colonie o insediamenti (settlements) ebraici che da anni Israele colloca e amplia costantemente in Cisgiordania, in territori che occupò nel 1967 e che oggi in teoria sarebbero sotto l’amministrazione dell’Autorità Palestinese. In effetti però Israele ci fa quel che vuole, e tra l’altro appunto continua a insediarvi colonie di propri cittadini. Si tratta di un processo avviato al tempo dei governi laburisti (e che perciò gode dell’indulgenza del sistema massmediatico internazionale) e che da allora non si è mai interrotto.

Attualmente queste colonie hanno complessivamente circa 340 mila abitanti. Il governo israeliano pretende di distinguere tra colonie “legali” e colonie “illegali” secondo che siano state fondate con o senza il suo consenso. In realtà sono tutte illegali poiché violano ogni norma e convenzione internazionale. Erano già illegali quando i territori si trovavano sotto occupazione militare israeliana e tanto più lo sono adesso che in teoria tale occupazione sarebbe terminata.

Nel suo La guerra del Peloponneso, un capolavoro senza aver studiato il quale è difficile parlare di relazioni internazionali con cognizione di causa, già nel V secolo prima di Cristo lo storico Tucidide scriveva che fa il male non soltanto chi lo fa direttamente, ma anche chi crea e mantiene le condizioni che lo rendono possibile. È questo esattamente il caso delle colonie ebraiche nei territori palestinesi. In primo luogo sono ipso facto segno e avamposto di una volontà israeliana di annettersi non appena possibile i territori ove sorgono. In secondo luogo chi va ad abitarci è in genere un “ultras”, testimone esplicito di tale intenzione e perciò incline ad atteggiamenti aggressivi e provocatori. In terzo luogo le colonie sorgono e si espandono su terreni che Israele requisisce ai loro proprietari  palestinesi mutilando o distruggendo aziende agricole. Vengono poi rifornite di acqua di solito a spese delle scarse risorse idriche degli originari abitanti del luogo e vengono dotate di strade di accesso e di energia elettrica sconvolgendo le campagne palestinesi.

Per tutti questi motivi le colonie ebraiche sono una fonte permanente di tensione, di rancore e di marasma economico e amministrativo, tanto più che sono collocate ad arte sul territorio palestinese in modo da disarticolarlo sia socialmente che economicamente. Che una situazione del genere sia da ogni parte il brodo di coltura di estremismi, di vessazioni e di crimini è semplicemente inevitabile. Ferma restando la responsabilità personale immediata dell’estremista, del vessatore e del criminale, in primo luogo sussiste tuttavia la responsabilità di chi ha voluto tale stato di cose e di chi lo vuol fare continuare.

È ovvio che questi 340 mila coloni non si potrebbero riportare in territorio israeliano dalla sera alla mattina, ma è altrettanto ovvio che nessuna stabile e fruttuosa pace potrà mai venire costruita tra israeliani e palestinesi finché ci saranno queste colonie. Il blocco assoluto della loro crescita e il loro graduale smantellamento è conditio sine qua non per l’avvio di qualsiasi serio processo di pace tra israeliani e palestinesi. Una pace di cui hanno bisogno i diretti interessati, ma anche noi.