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PROMEMORIA

Come prevenire la nascita dello jihadismo in Italia

In tempi di terrorismo jihadista e di paura generalizzata, si moltiplicano i suggerimenti di tutti i generi su come combattere e prevenire il problema. Ci sentiamo dunque in diritto di fornire un promemoria su ciò che la politica dovrebbe fare. Soprattutto per prevenire la nascita dello jihadismo. A partire dall'istruzione.

SUWAIDAN, LE PROVE DEL SUO ESTREMISMO di V. Colombo

Libertà religiosa 04_04_2016
Musulmani in preghiera a Milano

In tempi di terrorismo jihadista e di paura generalizzata, si moltiplicano i suggerimenti di tutti i generi su come combattere e prevenire il problema. Ci sentiamo dunque in diritto di fornire un promemoria su ciò che la politica dovrebbe fare. Come le Brigate Rosse, negli anni ’70, potevano nuotare in un mare di sindacalisti estremi e militanti marxisti massimalisti, anche i terroristi islamici si confondono in un’ampia zona grigia dell’islam politico. Il problema è soprattutto ideologico e va affrontato alla radice, prima che si arrivi all’ultimo stadio: quello del terrorista già indottrinato e convinto di dover portare a termine il suo suicidio-omicidio. In Italia abbiamo alcuni vantaggi rispetto ad altre nazioni europee. Non abbiamo un gran retaggio coloniale e abbiamo a che fare, ancora, con una seconda generazione di immigrati musulmani. Le terze generazioni stanno ancora crescendo e abbiamo ancora tempo perché non si radicalizzino come è avvenuto altrove in Europa occidentale.

Integrazione 

Fino ad ora si è perseguita la linea dell’integrazione comunitaria. Dunque si è cercato un interlocutore unico che possa rappresentare l’intera comunità musulmana in Italia. Questo modello di integrazione, altrove nell’Europa occidentale ha portato a un’auto-ghettizzazione delle comunità, lasciate in balia di sedicenti rappresentanti ideologizzati, politicizzati e radicali. L’integrazione, al contrario, dovrebbe partire dalla persona e dal suo sviluppo integrale. Quando lo studente musulmano, immigrato di seconda generazione, viene accolto nella scuola pubblica italiana, deve essere disinnescata, prima di tutto, la sua ostilità potenziale, alimentata dalla propaganda di media e associazioni islamiste, che lo convincono a considerarsi come una vittima di una società islamofoba e in realtà non fanno altro che spingerlo alla lotta contro la comunità che lo ha accolto. Il primo concetto che va trasmesso, è: l’Italia non è tua nemica. Questo discorso va fatto persona per persona, appunto. Non si deve passare attraverso associazioni che si ammantano di religione e sono in realtà politiche, che dichiarano di agire per solidarietà e in realtà alimentano l’odio. E’ un discorso che richiede precise linee guida dedicate a educatori, insegnanti, operatori dei media, mediatori culturali. Ogni malinteso, come quello dei terzomondisti che tendono a dar ragione al vittimismo islamista, può avere conseguenze molto pericolose. La ghettizzazione dei giovani inizia anche da scuole coraniche abusive e lontane dal controllo delle autorità. Le madrase abusive non possono essere tollerate dall’ordinamento italiano e devono essere chiuse, nel rispetto della legge.

Moschee

Il grosso dei gruppi jihadisti si forma nelle moschee o nelle loro connesse attività culturali e sociali. Sarebbe controproducente violare la libertà di religione, controllando le moschee, o impedendo la loro costruzione legale. Il problema va affrontato a monte: non è la moschea in sé, ma l’ideologia che vi si predica. Un imam radicale può spingere all'estremismo un’intera comunità. Dunque occorre prestare molta attenzione agli imam. Per ora, in Italia, abbiamo anche dei predicatori fai-da-te, privi della necessaria istruzione religiosa. Occorre, d’ora in avanti, che siano persone realmente fidate, che si siano formate in Italia e possano vantare una rigorosa istruzione religiosa. Anche in questo caso, va posta maggiore attenzione alla persona, ai singoli. Non ci si può fidare a scatola chiusa di imam formati e accettati da associazioni islamiche più o meno rappresentative di minoranze politicizzate. Occorre prestare attenzione anche alle iniziative che partono dall’estero. E’ noto quanto il Qatar stia investendo nel nostro paese, sia per iniziative for profit che per promuovere una islamizzazione non profit, attraverso centri culturali e moschee. Il Qatar non è un caso unico, anche Arabia Saudita e Turchia, per fare altri due esempi, sono in prima fila nella promozione dell’islam politico in Europa. L’Austria ha risolto a monte, vietando fondi esteri per la costruzione delle moschee. L’importante, in ogni caso, è sapere di che soldi si tratta, esigere il massimo della trasparenza e della responsabilità nella loro gestione. Si deve, ovviamente, vigilare sulle moschee abusive, che sono molto spesso un ricettacolo incontrollabile di estremisti. Le moschee abusive devono essere chiuse, senza indugio. Non possono essere tollerati i predicatori di odio, nei confronti dei quali occorre provvedere subito all’espulsione.

Predicatori di odio

La biografia di tutti i terroristi inizia sempre con l’incontro, dal vivo o via Internet, con un predicatore di odio. Anche in questo caso, non si può tollerare che la gioventù musulmana resti esposta alla sua opera di lavaggio del cervello. Se il contatto via Internet è ben poco prevedibile e prevenibile, almeno fra i predicatori islamici che entrano nel nostro paese e incontrano il loro pubblico dal vivo, è necessaria una selezione più accurata. Come ha sottolineato il premier britannico David Cameron, per accreditare un predicatore non basta una sua condanna all’ultimo attentato in Europa, serve un suo esplicito ripudio della violenza. Se un predicatore dice no al terrorismo a Bruxelles, ma sì a quello a Tel Aviv, allora non è una soluzione, ma parte del problema. Occorre verificare, per i predicatori ospiti, così come per gli imam, i mediatori culturali e gli insegnanti, che rispettino un principio fondamentale: la sacralità della vita. Se iniziano a fare eccezioni, allora lì si annida il problema.

Velo e infibulazione

La questione del velo, negli ultimi quindici anni, ha assunto una valenza simbolica molto potente. Indossare un velo integrale, burqa o niqab, è già un indice di radicalizzazione di una famiglia musulmana. Il velo integrale non fa parte della tradizione islamica. E’ un simbolo politico. I Talebani hanno imposto il burqa (tutt’altro che conosciuto nella tradizione popolare afgana) come sigillo del loro regime, come simbolo di sottomissione della donna al maschio. Il niqab, il più diffuso in Europa, è anch’esso un simbolo politico di sottomissione della donna nell’islam sunnita fondamentalista. Il burqa e il niqab sono, inoltre, inconciliabili con la legge italiana che vieta il mascheramento in luogo pubblico. Anche nei paesi musulmani moderati sono talvolta vietati, non si vede perché non lo debbano essere anche in Italia. In generale, ci sono poche altre tradizioni che sono incompatibili con la nostra legge quanto la mutilazione genitale femminile. Viene praticata molto più frequentemente di quanto non si creda anche in Europa. Anche questa forma di violenza, diffusa soprattutto in Africa, non è islamica. Benché sia spacciata come espressione religiosa da ambienti islamici particolarmente tradizionalisti, legalizzare l’infibulazione sarebbe solo controproducente. Non rispetterebbe il diritto di libertà di culto. In compenso legittimerebbe una violenza senza pari contro le donne.

Carcere

Il carcere è il luogo tipico in cui avviene la conversione del musulmano all’islam radicale. Lo dimostra il curriculum di molti jihadisti nati e cresciuti in Europa. Chiaramente non si può risolvere il problema abolendo il carcere per i musulmani, né si può pensare (a meno di non violare i più basilari principi di uguaglianza) di tenere i musulmani in regime di isolamento come i mafiosi più pericolosi. La prima cosa che ci dobbiamo chiedere, semmai, è: chi fornisce assistenza e conforto spirituale ai detenuti musulmani? Anche qui incontriamo spesso imam radicali, scelti da associazioni politiche, che iniziano a far proseliti nelle carceri. Un piccolo delinquente si trasforma in un jihadista potenziale dopo un periodo di detenzione. Occorre, dunque, scegliere con cura chi e come possa avere accesso nelle patrie galere. 

Immigrazione

In tempi di flussi migratori imponenti, è necessario rafforzare i controlli e affinare i criteri di selezione. Non possiamo permetterci che si presentino ai confini italiani dei “rifugiati” che poi risultano essere dei persecutori di cristiani o di altri musulmani nei loro paesi d’origine. Né possiamo accettare come richiedenti asilo politico, dei jihadisti ricercati dai loro governi d’origine per il loro radicalismo religioso e politico. La Svezia, ad esempio, ha sinora praticato una politica dell’asilo indiscriminato e ne sta pagando le conseguenze. L’immigrazione è innegabilmente usata dall’Isis per infiltrare terroristi. Occorre dunque essere vigili e rendere più frequenti gli scambi di informazioni di intelligence, sia con gli altri paesi europei che, fino a che è possibile, anche con i paesi d’origine.

Intelligence

Giunti all'ultima tappa della filiera del terrorismo, l'estremista che si è comunque convinto di imboccare la strada senza fine del terrorismo ha di fronte un solo ostacolo prima della polizia e dell'esercito: l'intelligence. Solo una buona intelligence, a questo punto, può prevenire un attentato. Ma per farlo deve conoscere l’arabo. Occorre dunque aggiornare le conoscenze linguistiche per tutti gli addetti al settore così da permettere loro di comprendere al meglio le informazioni che ottengono tramite le intercettazioni o da informatori nelle carceri e nelle moschee, conoscerne le sfumature e i significati, tentare di prevenire il peggio.