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MORTO A 98 ANNI

Crudo pragmatismo e secolarizzazione, l'eredità di Napolitano

Dall'esaltazione dell'invasione sovietica dell'Ungheria alla morte voluta di Eluana Englaro, dal sostegno al bombardamento della Libia all'affare Berlusconi-Monti, l'ex presidente della Repubblica Napolitano è sempre stato in sintonia con i poteri forti.

Politica 23_09_2023

Ieri sera 22 settembre è morto alle 19.45 l'ex presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. Aveva 98 anni ed era stato al Quirinale dal 2006 al 2015.

Giorgio Napolitano è stato un valido esempio della transizione del Partito Comunista Italiano dal comunismo delle prime ore, ancora filosovietico nella forma, anche se nella sostanza già imbevuto di togliattismo più che di gramscismo, e il neosocialismo dell’Italia e dell’Europa postmoderne, dall’ideologia evanescente e camaleontica e dalla completa sintonizzazione sulle decisioni dei poteri forti. Siano essi ideologici, economici o politici.

Nel 1956 Napolitano esaltava l’invasione dell’Ungheria e difendeva il compito mondialista dell’Unione sovietica, il 20 febbraio 1974 in un articolo su L’Unità egli spiegava perché la cacciata di Aleksandr Solzhenitsyn dall'Urss fosse la «soluzione migliore» che il Partito comunista sovietico potesse adottare. … per giungere, in tempi più recenti, ad appoggiare il bombardamento della Libia da parte di Francia e Inghilterra a nome della NATO iniziato il 19 marzo 2011, e architettare dal Quirinale, sempre nello stesso anno, un cambiamento di governo in ottemperanza alle richieste di chi comandava allora, e comanda tuttora, nell’Unione Europea.

Il “migliorismo”, l’ideologia di cui era sostenitore e principale protagonista nella omonima corrente del Partito Comunista, mostrava essere così una concezione politica cinicamente pragmatistica, in coerenza del resto con la linea di sviluppo dell’adattamento del comunismo all’Occidente democratico e secolarizzato. Pragmatismo e secolarizzazione che guidarono anche la sua azione nel caso di Eluana Englaro, con la quale la sua presidenza si macchiò di un’altra pesante colpa.

Nella vicenda dei bombardamenti alla Libia è certo che la posizione di Napolitano fosse decisamente favorevole all’intervento, come egli stesso ebbe a dichiarare in seguito, confermando che, invece, almeno in origine, la posizione del presidente del Consiglio Berlusconi era contraria. È anche accertato che, in quei momenti di incertezza politica che caratterizzava tutti i partiti con passi in avanti e repentini ripiegamenti indietro, la posizione di Napolitano fu ferma e decisiva per garantire l’appoggio dell’Italia. Si sa ormai che i motivi per far fuori Gheddafi erano altri rispetto a quelli dichiarati allora, e che erano soprattutto di natura monetaria: la Libia stava lavorando per dar vita ad una moneta non dipendente dal dollaro.

Anche nel caso del disarcionamento di Berlusconi dal governo alla fine del 2011 la mano di Napolitano si fece sentire in modo molto pesante e attraverso un piano ben congegnato e perseguito a tappe. Dapprima la borsa enfatizza il famoso scarto con i bond tedeschi, poi il 23 ottobre 2011 la Merkel e Sarkozy sorridono di Berlusconi in pubblico delegittimandone l’immagine internazionale, quindi Napolitano nomina Monti senatore a vita non si sa per quali meriti, e poi spinge Berlusconi, che teme per i riflessi borsistici sulle proprie aziende, alle dimissioni e incarica Monti di formare il nuovo governo. Il migliorismo in questo caso è consistito in un rigido pragmatismo politico, trasformando il ruolo della presidenza della Repubblica a soggetto politico attivo, linea che sarà poi proseguita da Mattarella.

Nel caso di Eluana Englaro, Napolitano ha avuto la responsabilità di avere aperto la prima significativa porta verso l’eutanasia, quando fece avvertire il Consiglio dei ministri in seduta – cosa assolutamente inusuale - che non avrebbe firmato un decreto legge che impedisse l’esecuzione della giovane come stabilito dai giudici. Si trattava di una minaccia e di un ricatto preventivi e, quindi, di un atto politico. Anche in questo caso l’ideologia migliorista produceva un comportamento crudamente pragmatico.

Napolitano è stato il primo presidente della Repubblica ad essere rieletto, come avvenne il 18 aprile 2013. Rimase in carica per due ulteriori anni. La cronaca dice che il motivo è stata la situazione politica molto frammentata a seguito delle elezioni politiche avvenute in quell’anno. Però quella frammentazione politica si rispecchiava nel Presidente rieletto, figli l’una e l’altro di una degenerazione della politica che aveva radici lontane e profonde. Napolitano, nel suo discorso dopo la rielezione, redarguì aspramente i partiti, quegli stessi partiti che egli aveva però delegittimato durante la sua prima presidenza.
Non va dimenticato che con la nomina di Monti alla presidenza del Consiglio nel 2011, inizia la storia dei leader governativi non eletti, ma decisi dal presidente della Repubblica. Dalla situazione di caos politico di allora emerse Letta, subito messo da parte però dallo stesso Napolitano che ad un certo punto gli preferì Renzi. Dietro al famoso “Enrico, stai sereno!” c’era Napolitano.

Mercoledì 20 settembre, durante l’udienza in Vaticano, papa Francesco ha invitato a pregare per Giorgio Napolitano. Nel febbraio 2016 il pontefice aveva espresso una sorprendente, e per molti irritante, valutazione del suo operato politico. Aveva annoverato Re Giorgio tra “i grandi d’Italia” insieme ad Emma Bonino. In particolare egli si riferiva all’accettazione della rielezione, «quando ha accettato per la seconda volta, a quell’età, e sebbene per un periodo limitato, di assumersi un incarico di quel peso, l’ho chiamato e gli ho detto che era un gesto di eroicità patriottica».
Sulla preghiera siamo d’accordo. Su questa valutazione politica no.

 

  

 

 



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