Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
L'INTERVISTA/ IBRAHIM FALTAS

«Dopo il 7 ottobre la rottura fra israeliani e palestinesi è insanabile»

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Con la guerra a Gaza, «è cambiato tutto. I rapporti tra palestinesi ed israeliani non sono e non saranno più come prima, è aumentata la diffidenza reciproca». Parla padre Ibrahim Faltas, vicario della Custodia di Terra Santa. 

Ecclesia 08_11_2023
Padre Ibrahim Faltas

«Vi prego di fermarvi, in nome di Dio: cessate il fuoco! Auspico che si percorrano tutte le vie perché si eviti assolutamente un allargamento del conflitto, si possano soccorrere i feriti, e gli aiuti arrivino alla popolazione di Gaza, dove la situazione umanitaria è gravissima. Si liberino subito gli ostaggi. Tra di loro ci sono anche tanti bambini, che tornino alle loro famiglie! Sì, pensiamo ai bambini, a tutti i bambini coinvolti in questa guerra, come anche in Ucraina e in altri conflitti: così si sta uccidendo il loro futuro. Preghiamo perché si abbia la forza di dire “basta”». Con queste parole, domenica scorsa, all'Angelus, papa Francesco ha ricordato il dramma che si sta vivendo in Terra Santa. «Quello del Santo Padre - dichiara Ibrahim Faltas, vicario della Custodia di Terra Santa - è un appello che faccio mio. Chiedo a tutti i cristiani, ripeto a tutti i cristiani, di inviare un messaggio alle autorità israeliane e di Hamas affinché fermino questa strage. Questo conflitto è una miccia che coinvolge i destini del mondo. Le guerre sono una sconfitta per tutti».

Era il 7 ottobre scorso, quando un imprecisato numero di miliziani di Hamas, dopo aver abbattuto la rete di divisione tra Gaza e Israele, ha attaccato lo Stato ebraico, uccidendo più di 1.400 persone, per la maggior parte civili, inclusi anziani, donne e bambini, sequestrandone più di 240, oggi prigionieri a Gaza. Ieri, a Gerusalemme, davanti al Muro del Pianto, sono stati accesi oltre 1400 lumini in ricordo delle vittime israeliane. Alla commemorazione, le numerose persone presenti, giunte nella città santa da tutto il Paese, si sono riunite per cantare inni e recitare salmi. La preghiera Kaddish, in memoria delle vittime, è stata guidata da Dedi Simchi, ex commissario dei vigili del fuoco, che ha perso il figlio Guy nei recenti combattimenti. Alla cerimonia ha partecipato anche il ministro Benny Gantz. 

A Gaza, anche ieri, dopo trenta giorni di intensi bombardamenti, con i volti pallidi pieni di dolore e di lacrime, con i vestiti impolverati e logori, gli abitanti della Striscia vagano tra le macerie in cerca di superstiti. Per i sopravvissuti la situazione è inverosimile, privi di case, cercano rifugi di fortuna o luoghi ipoteticamente sicuri. «Quando saremo in grado di recuperare i nostri figli, i nostri parenti da sotto le macerie? - si chiede Mahmoud al-Assar, un giovane di Gaza di fronte alla casa distrutta dei suoi genitori -. È passata più di una settimana e i loro corpi sono ancora sepolti sotto le macerie dell'abitazione. Vogliamo seppellirli. È il minimo che possiamo fare per onorarli in tombe adeguate». 

A Gerusalemme, davanti alla Knesset, una folla silenziosa, con in mano cartelli che riproducevano i volti dei loro familiari, si è radunata per ricordare, che dopo trenta giorni, i loro parenti sono ancora ostaggi di Hamas. «Ci sentiamo soffocati dalla tristezza, per coloro che mancano - ha detto Oded Leopold, un volontario di Bring them Home Now (Riportiamoli a casa adesso)-. I politici dovrebbero provare questa sensazione di soffocamento, dovrebbero sentirla ogni giorno finché ogni prigioniero non sia tornato a casa, ma soprattutto non dovranno più permettere che ciò possa ancora accadere».

A Gaza, il bilancio delle vittime è impressionante. Secondo i dati diffusi dal Ministero della Sanità palestinese e delle organizzazioni internazionali i morti sono oltre 10mila, di cui 4.100 bambini, mentre i feriti sarebbero più di 25mila. Vittime innocenti, compresi i bambini israeliani rapiti e detenuti come prigionieri a Gaza. «Se comincerà la Terza guerra mondiale la pace non tornerà più?» «Hai fatto una domanda che tocca la tua terra – ha risposto Papa Francesco -. La guerra è scoppiata già in tutto il mondo, non solo in Palestina. La guerra è brutta e ci toglie la pace e la vita. Dobbiamo lavorare per la pace». Questo dialogo tra papa Francesco e Rania, una bimba di origine palestinese, si è svolto lunedì scorso in Vaticano, dove oltre 7mila bambini hanno partecipato all'incontro “I bambini incontrano il Papa".  

A Gerusalemme la vita sembra apparentemente tranquilla. Le scuole sono aperte, soprattutto per alleggerire il peso della sofferenza che attualmente stanno vivendo i bambini. «Nella nostra scuola francescana - dice padre Ibrahim Faltas - una bambina va dalla maestra ogni dieci minuti, dicendo che vuole parlare con suo padre. Anche ieri l'ha chiesto a me. Dice di aver paura che suo papà, uscendo di casa venga ucciso da qualche bomba».

È una situazione pesante?
Molto triste. A Gerusalemme, a Betlemme e in tutta la Terra Santa, dopo quanto è accaduto lo scorso 7 ottobre, vivere è diventato un dramma. Le strade sono semideserte, non ci sono pellegrini e quasi tutte le attività commerciali sono chiuse.

È da 800 anni che i Francescani sono in Terra Santa ...
Noi siamo i custodi dei luoghi santi, delle pietre della memoria. Ma oggi siamo, molto di più. Siamo i custodi delle pietre vive, delle persone in carne e ossa. Pensiamo alla gente di Betlemme che da quando i miliziani di Hamas hanno attaccato Israele, vive segregata in casa. Betlemme è diventata una prigione a cielo aperto. È tutto chiuso.

E le persone che facevano la spola tra Betlemme e Gerusalemme per lavorare ...
Il 95% della forza lavorativa di Betlemme ha un’occupazione a Gerusalemme oppure nell'attività turistica. Ora non possono più varcare i posti di blocco e tutte le attività sono chiuse.

Questi lavoratori palestinesi rischiano allora il posto di lavoro?
Penso di sì. Israele sta cercando lavoratori dello Sri Lanka, dell'India e di altri paesi per sostituire i palestinesi. Questo è anche un motivo che spinge la gente a scappare, ad abbandonare la Terra Santa. 

Lei è stato parroco a Gerusalemme e a Betlemme. Parliamo della città santa.
Ricordo che alla parrocchia latina appartenevano ben 14mila famiglie. Erano più di 90mila persone. Ora tutti i cristiani di Gerusalemme non arrivano neanche a 9mila unità.

Sono dati certi?
Direi di sì, anche se non ci voglio credere. Un nostro recente studio ha stabilito che i cristiani a Gerusalemme sono appena 7mila e 500. Emigrano perché qui non hanno un futuro.   

Padre Ibrahim, lei era a Betlemme durante il periodo dell'occupazione della Basilica della Natività. C'era la seconda intifada. Ha ancora contatti?
Assolutamente sì. In questi giorni ricevo molte telefonate. Tanti mi chiedono consigli e di pregare per loro e per le loro famiglie. Ma molti mi domandano di aiutarli a lasciare questa terra. Vogliono andare a vivere in una nazione dove non si teme di uscire di casa o di venire arrestati. Questo ci preoccupa molto. Non vogliamo pensare ai luoghi santi come musei privi della presenza dei cristiani.

Prima la pandemia e ora la guerra ...
È una situazione effettivamente insostenibile per questo popolo. Le ostilità non termineranno presto; dureranno oltre un anno. Gli insegnanti della nostra scuola spesso mi dicono che anche loro vogliono andarsene. Sono giovani, sposati con uno o due figli.

Cosa è cambiato tra la popolazione dopo il 7 ottobre?
È cambiato tutto. I rapporti tra palestinesi ed israeliani non sono e non saranno più come prima, è aumentata la diffidenza reciproca. Gli israeliani temono gli arabi e gli arabi hanno paura degli ebrei.

Un’insanabile rottura nei rapporti?
Sarà molto difficile ricostruire la convivenza che c'era prima ... .

Come Custodia, come reagite a questa situazione?
Stiamo concentrando la nostra attenzione sulle persone. A tutti i nostri dipendenti abbiamo comunque assicurato gli stipendi. Non abbandoniamo mai nessuno. Fa parte della nostra missione.