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IPOCRISIE UE

Dove vanno gli aiuti europei alla Palestina. Educazione all'odio e sottosviluppo

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Dopo l'attacco di Hamas in Israele, con le sue violenze inaudite, la Commissione europea decide di continuare a erogare aiuti a fondo perduto alla Palestina. Giurando che nessun euro è mai finito, né finirà nelle tasche di Hamas. Ma dove vanno gli aiuti europei? L'Ue non ha la coscienza pulita.

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Esteri 11_10_2023
Bambini palestinesi di fronte alla sede dell'Unrwa

Con le crude immagini che arrivano da Israele, ogni giorno peggiori, anche quelle dei bambini e neonati decapitati nel kibbutz di Kfar Azza, nella Commissione Europea ci si interroga da due giorni se sia il caso di continuare a finanziare a fondo perduto la Palestina. Infatti, oltre a Qatar e Iran, il principale donatore per la Palestina (Cisgiordania e Gaza) resta l’Ue.

Lunedì, la Commissione è stata protagonista di un vero disastro comunicativo. Germania e Austria sono state le prima a sospendere i fondi per la Palestina, a livello nazionale. Il commissario all’Allargamento e al Vicinato, l’ungherese Olivér Várhelyi, aveva twittato che l’Ue avesse deciso lo stop dei fondi europei alla Palestina, dopo l’attacco terroristico di Hamas e soprattutto dopo che il presidente dell’Autorità Palestinese, Mahmoud Abbas, di fatto lo aveva avallato. “In qualità di principale donatore per i palestinesi – scriveva il commissario – la Commissione sta mettendo sotto esame l’intero portafoglio di sviluppo per un valore totale di 691 milioni”. Il giorno stesso, però, almeno tre governi, Irlanda, Lussemburgo e Belgio si sono opposti. L’Irlanda, in particolare, ha messo in dubbio le basi legali di questa decisione.

Il giorno stesso è dunque arrivata la marcia indietro, neppure annunciata da Várhelyi, bensì dal suo collega Janez Lenarcic, commissario alla Reazione agli stati di crisi: “Pur condannando fermamente l’attacco terroristico di Hamas, è indispensabile proteggere i civili e rispettare il diritto internazionale umanitario. Gli aiuti umanitari dell’Ue ai palestinesi bisognosi continueranno fino a quando sarà necessario”. Per aggiungere ulteriore confusione, la Commissione ha anche precisato che, non essendoci pagamenti in vista, non sarebbe stata necessaria alcuna sospensione. Un po’ come dire: inutile parlare adesso di sospensioni, visto che per ora non dobbiamo pagare nulla (poi però in futuro si vedrà). Ma la necessaria e superflua precisazione è arrivata da un portavoce della Commissione, che ha specificato che nessun euro andrà a Hamas e alle sue attività terroristiche.

Ovviamente non è possibile un programma europeo ufficiale di aiuti a favore di un’organizzazione che l’Ue stessa annovera nella lista delle organizzazioni terroristiche. La domanda è un’altra: a cosa servono i fondi europei che finiscono a Gaza? E chi li controlla? Stando al pacchetto di aiuti 2022, 97 milioni di euro vanno all’Unrwa, l’agenzia delle Nazioni Unite specificamente dedicata ai rifugiati palestinesi dal 1949. L’Unrwa gestisce scuole i cui libri di testo sono stati definiti, nel 2022, “conformi alle linee guida dell’Unesco” (agenzia Onu da cui Usa e Israele erano usciti per protesta). Un’associazione non profit, la Impact-se, aveva analizzato questi testi. Questi sono solo alcuni degli esempi di quel che studiano scolari e studenti palestinesi: negli esercizi di grammatica ci sono frasi come “i palestinesi sacrificano il loro sangue per liberare Gerusalemme”. E il materiale didattico islamico dipinge gli ebrei come “intrinsecamente infidi e ostili all'islam e ai musulmani”. Nemmeno la matematica è esente da questo continuo lavaggio del cervello: si impara a contare con il numero di “martiri” palestinesi dell’Intifada.

I finanziamenti ai libri di testo palestinesi erano stati oggetto di un primo ripensamento europeo nel 2021. Várhelyi anche in quell’occasione aveva annunciato uno stop. Ma dopo l’assicurazione del presidente Mahmoud Abbas sulla riforma del sistema educativo e dopo la pubblicazione di un più che edulcorato rapporto commissionato dall’Ue sullo stato dell’educazione palestinese, i fondi erano stati nuovamente sbloccati nel 2022. Possiamo dunque affermare che l’Ue abbia contribuito direttamente alla formazione di una generazione che fa apologia del terrorismo, o si prepara a prendervi parte. Dal 2014, inoltre, l’Ue finanzia direttamente l’Università Islamica di Gaza, con 1,7 milioni di euro. Non è un’università qualunque: è stata fondata dallo sceicco Yassin, il fondatore di Hamas e in essa ha studiato anche Mohammed Deif, il leader dell’ala militare del partito che sabato ha scatenato l’inferno contro Israele.

Sempre stando alle cifre del 2022, l’Ue ha versato 199,2 milioni nelle casse palestinesi per pagare programmi sociali, assegni alle famiglie bisognose, spese mediche e anche gli stipendi dei dipendenti pubblici. Fra questi ultimi figurano anche gli insegnanti che insegnano ai ragazzi il contenuto dei testi che abbiamo visto. Ma in generale, nessuno, in Europa, è realmente in grado di monitorare come vengano usati questi soldi. Non sappiamo quanti cittadini che ufficialmente sono dipendenti pubblici, stipendiati da noi, abbiano un secondo mestiere molto più pericoloso. Non riusciamo a monitorare neppure in Italia i destinatari del reddito di cittadinanza, figuriamoci a Gaza.

C’è poi il forte sospetto che alcune Ong beneficiarie degli aiuti europei non siano pacifiche. Il dipartimento per gli aiuti umanitari della Commissione (Echo) fornisce solo un elenco parziale dei beneficiari delle Ong. Allo stesso modo, l'Aidco, che gestisce il programma Partenariato per la pace, non richiede ai beneficiari di indicare le altre organizzazioni a cui destinano una parte dei fondi Ue.

Quel che sconcerta maggiormente è l’assenza di risultati. Nel 2022 il governo di Hamas a Gaza lamentava condizioni sociali disastrose. Il 62% degli abitanti è malnutrito, il 46,6% è disoccupato (12 punti percentuali in più rispetto al periodo pre-Hamas), il 31% delle famiglie ha difficoltà ad educare i figli, soprattutto per problemi economici. Gaza non riesce ad essere autosufficiente in nulla. Una delle misure che più hanno fatto discutere, fra quelle decise da Israele nel primo giorno di guerra, è il blocco totale della Striscia: non verranno più erogati carburante, viveri, energia elettrica e acqua. Carburanti e viveri devono essere importati e Gaza potrà forse contare sull’Egitto. Ma si scopre che non è autosufficiente quanto a energia: 80 megawatt sono prodotti in loco, ma 120 devono essere importati da Israele, uno Stato che Hamas considera da sempre un nemico irriducibile. E anche per l’acqua, Gaza non è autosufficiente.