Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
JIHAD

E in Africa Boko Haram continua a uccidere

Il 17 novembre un jihadista si è fatto esplodere tra la gente uccidendo 32 persone e ferendone 80. È successo a Yola, città di circa 350.000 abitanti, capitale dell’Adamawa, uno degli Stati nord orientali della Nigeria da quasi due anni in stato di emergenza per i continui attacchi di Boko Haram, il gruppo terrorista islamico legato all’Isis. 

Esteri 19_11_2015
Combattenti islamici di Boko Haram

Era tardo pomeriggio, il mercato ortofrutticolo stava quasi chiudendo, ma era ancora molto affollato, quando il 17 novembre un jihadista si è fatto esplodere tra la gente uccidendo 32 persone e ferendone 80. È successo a Yola, città di circa 350.000 abitanti, capitale dell’Adamawa, uno degli Stati nord orientali della Nigeria da quasi due anni in stato di emergenza per i continui attacchi di Boko Haram, il gruppo terrorista islamico legato all’Isis. 

L’esplosione è stata così forte da essere sentita in tutta la città. Sopravvissuti e soccorritori raccontano di parti di corpi smembrati sparse dappertutto. È la terza volta dall’inizio dell’anno che Yola subisce un grave attentato dinamitardo. Le due precedenti esplosioni avevano ucciso più di 50 persone. Da anni ormai la città vive nella paura.  Il giorno dopo, 18 novembre, due altri attentati suicidi, compiuti da due donne, hanno ucciso almeno 13 persone a Kano, capitale dell’omonimo stato, città anch’essa più volte bersaglio dei terroristi. La prima donna si è fatta esplodere in un mercato, la seconda all’esterno di un punto vendita di accessori per cellulari. A Kano uno degli attentati più gravi si era verificato nel novembre del 2014. La moschea centrale era stata attaccata di venerdì da un commando entrato sparando a raffica mentre altri terroristi si facevano saltare in aria: più di 100 morti. Una folla inferocita aveva poi raggiunto fuori dalla moschea tre dei terroristi, li aveva linciati e bruciati vivi.

Sabato scorso il presidente della repubblica Muhammadu Buhari, nel corso di una visita a Yola, aveva detto che Boko Haram sta per essere sconfitto. È da. È da quando a maggio ha assunto la carica di capo dello Stato federale che Buhari assicura progressi costanti nella lotta al terrorismo. Ad agosto aveva garantito la fine di Boko Haram entro metà novembre.  Da allora gli attacchi e gli attentati sono continuati, anzi si sono moltiplicati sia in Nigeria sia in Niger, Camerun e Ciad, i tre Stati confinanti con la Nigeria nel mirino di Boko Haram da più di un anno. Per questo l’8 novembre il Ciad ha disposto lo stato di emergenza in tutta la regione del lago. 

In allarme è anche il Senegal dove all’inizio di novembre sono stati arrestati tre imam con l’accusa di sostegno al terrorismo e riciclaggio di denaro: una forte somma che si ritiene fosse destinata a Boko Haram. Inoltre, il governo intende proibire per motivi di sicurezza nazionale il niqab, l’abbigliamento delle donne islamiche che copre il viso, salvo gli occhi, e l’intero corpo. Moltissimi attentati suicidi,  infatti, vengono compiuti da donne e bambine, e talvolta uomini, che nascondono identità, armi ed esplosivi sotto il niqab. I velo islamico integrale è già stato bandito per la stessa ragione in Camerun, Gabon, Ciad e Repubblica del Congo.

Non solo Boko Haram ha esteso il proprio raggio d’azione ad altri Paesi, ma l’estate scorsa, servendosi delle rotte degli emigranti clandestini, ha incominciato a inviare centinaia di combattenti ben equipaggiati in Libia per aiutare l’Isis a prendere il controllo del paese e farne la base da cui introdurre dei miliziani in Europa e mettervi a segno degli attentati. Come prova della propria forza e consistenza, malgrado le dichiarazioni trionfali dell’esercito nigeriano che da oltre un anno annuncia continue vittorie, peraltro spesso impossibili da verificare tramite fonti indipendenti, il 2 novembre scorso Boko Haram ha diffuso delle fotografie che mostrano dei terroristi in un edificio intenti a fabbricare dei razzi. Dalle immagini la fabbrica risulta situata nello Stato nigeriano nord orientale di Borno e i macchinari potrebbero essere stati rubati in una scuola tecnica della città di Bama. In effetti, più volte i Boko Haram hanno usato granate con propulsione a razzo e molti si sono domandati come se le fossero procurate.   

Due recenti notizie aumentano lo scetticismo in merito a una imminente, definitiva sconfitta di Boko Haram. La prima è che il 16 novembre il Ciad ha ordinato alle proprie truppe di lasciare Fotokol, città del Camerun che presidiavano per garantire la sicurezza nell’area del lago Ciad. Ancora non sono note le motivazioni, ma è possibile che la decisione dipenda da nuovi problemi sollevati dai vertici militari nigeriani che già avevano negato ai militari ciadiani di stabilire una base in territorio nigeriano. Con Niger, Camerun, Benin e Nigeria, il Ciad ha costituito una forza africana di contrasto a Boko Haram forte di 8.700 uomini, finora però poco attiva e soprattutto scarsamente coordinata. Di fatto sono state le operazioni militari del Ciad a costringere Boko Haram a ritirarsi da molte città conquistate nel 2014. 

La seconda notizia, del 18 novembre, riguarda l’arresto di un ex funzionario governativo, il colonnello Sambo Dasuki, consigliere per la sicurezza del precedente capo di Stato Goodluck Jonathan, accusato di aver rubato più di due miliardi di dollari che avrebbero dovuto essere impiegati per l’acquisto di armi e munizioni destinate alle truppe impegnate contro Boko Haram. La corruzione sfrenata, ha detto un portavoce dell’ufficio di presidenza, è responsabile della morte di migliaia di nigeriani perché ha lasciato l’esercito privo di mezzi adeguati a combattere i terroristi. 

Non solo di morti si tratta. L’inviato speciale delle Nazioni Unite per la regione del lago Ciad, Roby Lanzer, ha appena diffuso un bilancio drammatico per quel che riguarda le scuole. Nei quattro Paesi bagnati dal lago, Nigeria, Niger, Camerun e Ciad, dall’inizio dell’anno Boko Haram ha distrutto circa 1.100 scuole lasciando decine di migliaia di bambini e ragazzi privi di istruzione. Nella regione, inoltre, si contano 2,6 milioni tra profughi e sfollati.