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ENTI LOCALI

E' la burocrazia che tiene in ostaggio la politica

L’ultima ondata di avvisi di garanzia e arresti di sindaci del Pd ma anche pentastellati ha rinfocolato il dibattito sul rapporto tra politica e giustizia. Ma sfugge il vero protagonista della crisi: la burocrazia elefantiaca. Basta una firma sbagliata, ormai, per consegnare un amministratore locale nelle mani delle toghe più politicizzare e rovinarlo.

Politica 14_05_2016
Simone Uggetti, sindaco di Lodi

L’ultima ondata di avvisi di garanzia e arresti di sindaci del Pd ma anche pentastellati ha rinfocolato il dibattito sul rapporto tra politica e giustizia, sulla presunzione di innocenza, sulla obbligatorietà dell’azione penale. Il clima pre-elettorale di certo non aiuta a ristabilire equilibrio e ad affrontare con equidistanza e obiettività i problemi.

E’ di ieri la notizia dell’atteggiamento “strabico” del Movimento Cinque Stelle, che chiude un occhio su Nogarin (sindaco di Livorno) e sospende prontamente Pizzarotti (sindaco di Parma), entrambi destinatari di avvisi di garanzia. In questa Babele di trattamenti, atteggiamenti, interpretazioni, lo spazio per la discrezionalità dei giudici cresce. Ormai sono le toghe e alcuni giornalisti con i loro processi mediatici a selezionare la classe dirigente e a decretare chi possa governare e chi no, chi possa svolgere le sue funzioni di sindaco e chi no, chi debba andare in galera e chi possa restare tranquillamente a piede libero anche durante le indagini. Ad esempio, quanto risulterà compromessa l’immagine del sindaco di Lodi, Uggetti, che ieri ha ottenuto gli arresti domiciliari dopo aver trascorso dieci giorni in cella a San Vittore?

Ma chi dà tutto questo potere ai giudici, visto che la nostra democrazia è imperniata, almeno in teoria, sulla equilibrata distinzione dei poteri e il potere giudiziario dovrebbe far rispettare le leggi ma non ingerirsi nella vita politica, così come i politici dovrebbero rispettare il lavoro dei giudici senza valutarlo sempre e comunque sulla base delle convenienze del momento? La risposta è secca: la burocrazia.

L’elefantiasi burocratica è il vero alleato delle toghe politicizzate, il tallone d’Achille che sottrae competitività al sistema Italia, frena la crescita dell’economia, imbriglia il lavoro di aziende e organizzazioni, paralizza l’agire dei politici, anche di quelli che vorrebbero fare e non possono fare e che per fare sono costretti a rischiare in prima persona, esponendosi alle ritorsioni di alcuni giudici. 

L’incertezza che regna sulle modalità attuative del reato di abuso d’ufficio e sul concetto di imparzialità e buon andamento della pubblica amministrazione, e le difficoltà di tracciare confini netti tra il lecito e l’illecito alimentano spazi enormi di discrezionalità amministrativa in capo ai burocrati e di discrezionalità giurisdizionale in capo ai giudici.

Ai sindaci, soprattutto quelli di grandi città, vengono ricondotte formalmente responsabilità enormi delle quali non sempre i primi cittadini hanno piena contezza. Tuttavia, per far marciare la macchina amministrativa, a volte diventano necessarie alcune forzature, alcune accelerazioni che poi risultano foriere di spiacevoli sorprese. Ipertrofia normativa, procedure assurde, ritardi, cavilli, permessi, controlli, formalismi esaperati imbrigliano gli amministratori in una rete di condizionamenti che li rende schiavi del potere burocratico e non dà loro scampo. Mettere una firma in modo innocente può costare caro ad un sindaco che magari, a distanza di anni, si trova a dover rispondere di atti rivelatisi illegittimi o comunque inopportuni. Quegli atti sono stati scritti da funzionari superficiali o incompetenti e mettono nei guai chi formalmente è chiamato a risponderne di fronte all’opinione pubblica. E’ un meccanismo perverso che stritola anche gli amministratori locali più onesti e disarma financo le volontà costruttive più tenaci.

Questo non significa negare la corruzione, il malaffare né tanto meno assolvere a priori i sindaci o chi si arricchisce ai danni dello Stato e dei cittadini o chi compie reati gravi nei confronti della pubblica amministrazione. Vuol dire, più semplicemente, che il mix tra soverchiante peso della burocrazia e politicizzazione di certe toghe lascia la politica, soprattutto locale, in balia di chi non ha legittimazione popolare.

Quando, circa 23 anni fa, fu introdotta l’elezione diretta dei sindaci, quella novità elettorale fu salutata come un toccasana per dare stabilità alle amministrazioni locali e per introdurre un sistema di responsabilità diretta dei primi cittadini. Sono loro che ci mettono la faccia, il cittadino vota per loro e, se al termine del mandato non è soddisfatto, non li rivota e cambia cavallo. L’elettorato sembra quindi avere tutti gli elementi per giudicare un sindaco per il suo operato, per valutare se ha fatto bene o ha fatto male. Ma questa è solo un’illusione. Una burocrazia borbonica come la nostra inquina pesantemente la democrazia e produce le storture alle quali stiamo assistendo negli ultimi anni: primi cittadini da una parte ostaggio di burocrati ottusi e spesso in malafede, dall’altra esposti all’onnipotenza di certe toghe, che a volte sembrano perseguire disegni politici, dietro il comodo paravento dell’obbligatorietà dell’azione penale.