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SCONTRO

Ecco perché la Casta delle toghe attacca il governo

Si avvererà la profezia in base alla quale Renzi non cadrà perché sfiduciato dagli elettori, bensì per mano giudiziaria? Ad avanzarla sono alcuni profondi conoscitori di rapporti tra magistratura e politica, che già nella Prima Repubblica avevano sperimentato l’impossibilità di introdurre norme in grado di contenere il potere delle toghe e che ravvisano delle enormi affinità tra Berlusconi e Renzi nel rapporto con la giustizia.

Politica 25_10_2015
Roberto Sabell, presidente dell'Associazione nazionale magistrati

Si avvererà la fosca profezia in base alla quale Renzi non cadrà perché sfiduciato dagli elettori o dal suo partito, bensì per mano giudiziaria? Ad avanzarla sono alcuni profondi conoscitori di rapporti tra magistratura e politica, che già nella Prima Repubblica avevano sperimentato l’impossibilità di introdurre norme in grado di contenere il potere, a volte soverchiante, delle toghe e che da tempo ravvisano delle enormi affinità tra Berlusconi e Renzi nel rapporto (conflittuale) con la giustizia. Il celebre detto «chi tocca i fili muore» potrebbe valere, presto o tardi, anche per l’attuale premier, che in questo anno e mezzo di governo ha più volte tentato di riformare la giustizia, fissando alcuni paletti sulla responsabilità civile dei magistrati, sulla durata delle loro ferie e su altri profili che attengono allo svolgimento del loro lavoro. 

Alcuni colpi sono andati a buon fine, ma quando si arriva alle patate più bollenti, da quella delle intercettazioni a quella delle “porte girevoli” (magistrati che disinvoltamente e in maniera a dir poco imbarazzante lasciano la toga per tuffarsi nell’agone politico e ne escono in qualunque momento per tornare a svolgere la loro professione), tutto si impantana e non cambia mai nulla. Troppo forti le resistenze al cambiamento da parte dei diretti interessati, i magistrati, affetti da un corporativismo e da una autoreferenzialità che in alcuni di loro assume tinte esasperate. Senza voler crocifiggere una categoria che garantisce nella maggioranza dei casi l’imparziale amministrazione della giustizia e il rispetto delle leggi, non si può guardare con leggerezza a quanto è accaduto due giorni fa a Bari, dove il Presidente dell’Associazione nazionale magistrati, Roberto Sabelli, aprendo il XXXII Congresso del sindacato delle toghe, ha attaccato l’esecutivo definendolo «timido sulla corruzione, deludente sulla prescrizione». 

Ma la requisitoria di Sabelli contro Palazzo Chigi è stata a tutto campo, con critiche pungenti sulle scelte fatte in materia di ferie delle toghe e su quelle, sempre rinviate, per dare «più penetranti strumenti di indagine e di prova» a magistrati e investigatori. Senza contare il pesante j’accuse rivolto alla politica per la situazione degli uffici giudiziari e per le gravi carenze di risorse anche umane (manca il 70% dei cancellieri). Ma il rimprovero più pesante mosso da Sabelli al governo riguarda l’attenzione dedicata alla limitazione della diffusione delle intercettazioni, «persino maggiore di quella dedicata alla lotta alla mafia». Un affondo che ha scatenato le immediate reazioni di esponenti del governo Renzi. La verità è che le toghe sono profondamente divise tra loro. Il blocco monolitico della magistratura ideologizzata si è progressivamente sgretolato e anche episodi come quello di Palermo, con il magistrato Silvana Saguto finita sotto inchiesta per i beni confiscati alla mafia, contribuiscono ad esacerbare gli animi e a provocare fratture tra i diversi settori dell’ambito giudiziario.

Ha quindi ragione il ministro della Giustizia, Andrea Orlando, quando spiega i toni fortemente antigovernativi usati dall’Associazione nazionale magistrati con il tentativo disperato delle toghe di ricompattarsi individuando un nemico comune, in questo caso le riforme annunciate da Palazzo Chigi in materia di intercettazioni, di prescrizione e di paletti per i magistrati che entrano in politica. Ancora più caustico il commento del ministro dell’interno, Angelino Alfano: «Credo che ci voglia coraggio e una certa faccia ad attaccare questo governo nel momento in cui abbiamo fatto leggi importanti, nel momento in cui il contrasto a Cosa Nostra va bene. L’opinione pubblica si aspetta una autocritica e parole molto forti per spiegare da parte della magistratura quello che è successo a Palermo. Si è invece dato all’opinione pubblica un messaggio devastante. Se invece dell’autocritica arrivano attacchi, questo è un modo ottimo per sviare l’attenzione ma nessuno si illuda che non ce ne siamo accorti».

Il termometro dello scontro governo-magistrati segna dunque una temperatura elevatissima. Forse anche perché, proprio nei giorni scorsi, il Consiglio superiore della magistratura, che è l’organo di autogoverno delle toghe, ha approvato una delibera che chiede al Parlamento di imporre una stretta ai magistrati che accedono alle cariche politiche o amministrative al loro rientro in ruolo. La proposta prevede il collocamento in aspettativa dei magistrati che assumono incarichi politici e chiede al Parlamento che si impedisca alla toga di candidarsi a livello locale nello stesso territorio nel quale si è svolta fino a quel momento l’attività giurisdizionale. Infine si chiede al legislatore di imporre al magistrato che ha svolto per un periodo prolungato attività politica il rientro nei ranghi dell’Avvocatura dello Stato e/o della dirigenza pubblica. Misure di buon senso che meriterebbero corsie preferenziali in Parlamento, ai fini di una rapida approvazione.