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SENTENZA

Eterologa gratis Così il desiderio di pochi lo pagano tutti

Il Consiglio di Stato boccia la Regione Lombardia sulla decisione di porre a carico delle coppie la fecondazione di tipo eterologo. La fecondazione eterologa, come quella omologa, deve essere a carico del servizio sanitario e non degli utenti. Una decisione che qualifica il desiderio di avere un figlio come un diritto tutelato.

Editoriali 22_07_2016
Il Consiglio di Stato ha deciso che la fecondazione eterologa deve essere gratuita

Il 10 giugno del 2014 la Corte Costituzionale apre alla fecondazione eterologa, prima vietata dalla legge 40. Il 12 settembre dello stesso anno la Regione Lombardia con una delibera decide che tale tecnica fosse a carico degli assistiti e il 7 novembre, con un’altra delibera, fissa le tariffe a carico degli utenti: tra i 1.500 e i 4.000 euro.

A quel punto L’Associazione Sos Infertilità Onlus impugna le delibere presso il Consiglio di Stato, il quale rimanda il tutto al Tribunale amministrativo regionale. Quest’ultimo dà ragione all’associazione: che sia la Regione a pagare i cicli di fecondazione eterologa (clicca qui). Maroni annunciò ricorso al Consiglio di Stato e questi, proprio ieri, gli dato torto per la seconda volta.

Alcune motivazioni indicate dai giudici del Consiglio di Stato ricalcano quelle espresse dal Tar, altre sono nuove. Andiamo a leggere alcuni stralci della sentenza. «La determinazione regionale di distinguere la fecondazione omologa da quella eterologa», scrivono i giudici, «finanziando la prima e ponendo a carico degli assistiti la seconda, non risulta giustificata e, nell'incidere irragionevolmente sull'esercizio del diritto riconosciuto dalla sentenza n. 162 del 10 giugno 2014 della Corte Costituzionale, realizza una disparità di trattamento lesivo del diritto alla salute delle coppie affette da sterilità o da infertilità assolute». E, insistendo sul punto, così aggiungono: «esigenze finanziarie da parte dell'amministrazione non possono indurla a discriminare». La Regione «deve garantire ragionevolmente il medesimo trattamento a tutti i soggetti che versino nella stessa sostanziale situazione di bisogno, a tutela del nucleo irriducibile del diritto alla salute quale diritto dell'individuo e interesse della collettività». 

Questo primo passaggio mette in evidenza almeno due elementi. Il primo: mimando la prospettiva assunta dalla Consulta, anche i giudici amministrativi qualificano il desiderio di avere un figlio come un diritto soggettivo giuridicamente tutelato. In secondo luogo, correttamente fanno osservare che coprire le spese per la fecondazione omologa e non coprire quelle per l’eterologa è irragionevole. La differenza è inesistente non solo sul piano giuridico, ma anche morale. L’eterologa è una species morale più grave dell’omologa, ma entrambe appartengono al medesimo genus di azione intrinsecamente illecita: la fecondazione extracorporea. Avrebbe fatto bene la Regione Lombardia a non rimborsare nemmeno l’omologa. In tal modo l’accusa di “disparità di trattamento” sarebbe caduta nel vuoto.

La Lombardia poi aveva obiettato che l’eterologa non rientra nei Lea, i livelli essenziali di assistenza, cioè quei servizi che la pubblica amministrazione deve garantire, e dunque veniva rimessa alla sua discrezionalità se coprire o meno i costi dell’eterologa. C’è da appuntare che il ministro della Salute Lorenzin ha annunciato propria la scorsa settimana che l’eterologa entrerà nei Lea, ma per ora rimane fuori. Al di là di questo annuncio che comunque non può interessare la vertenza che vede coinvolta la Lombardia, il Consiglio di Stato ha così replicato: «la circostanza che determinate prestazioni sanitarie non siano state inserite nei livelli essenziali di assistenza, pur rappresentando un limite fissato alle Regioni (art. 117, comma secondo, lett. m, Cost.) e connesso alla salute intesa quale diritto finanziariamente condizionato, non può costituire ragione sufficiente, in sé sola, a negare del tutto prestazioni essenziali per la salute degli assistiti, né può incidere sul nucleo irriducibile ed essenziale del diritto alla salute, poiché l’ingiustificato diverso trattamento delle coppie affette da una patologia, in base alla capacità economica delle stesse, “assurge intollerabilmente a requisito dell’esercizio di un diritto fondamentale”» come non mancava di sottolineare la Corte costituzionale nella sentenza citata. 

«Pur dovendo considerare», continua la sentenza, «la scarsezza dei mezzi e la limitatezza delle risorse di cui dispone, infatti, l'amministrazione non può ignorare una domanda di prestazione sanitaria che si faccia portatrice di interessi sostanziali parimenti bisognosi di risposta, perché verrebbe meno, altrimenti, al fondamentale compito che compete in uno stato sociale di diritto, quello di garantire i livelli essenziali di assistenza o, comunque, l'effettività di un diritto complesso - e così essenzialmente interrelato all'organizzazione sanitaria - come quello alla salute nel suo nucleo irriducibile, pur in un quadro di risorse finanziarie limitate».

Il Consiglio ci sta dicendo che se è vero che l’eterologa non può essere considerata una prestazione essenziale, d’altro canto – in barba al principio di non contraddizione - deve essere considerata come prestazione essenziale. Inoltre il Consiglio ricalca uno stereotipo giuridico assolutamente falso: la fecondazione artificiale è una tecnica che tutela il diritto alla salute. É falso perché tali tecniche non hanno natura terapeutica e quindi nulla hanno a che fare con il diritto fondamentale alla salute menzionato in sentenza. Infatti, chi si sottopone a queste pratiche rimane infertile o sterile. La provetta aggira il problema, non lo cura, non lo risolve.

«La Regione», continuano i giudici, «ha il potere di fissare limiti e condizioni all’esercizio di questo diritto [alla salute], nell’esercizio di una ampia discrezionalità, e anche quello di riconoscere prestazioni sanitarie aggiuntive rispetto ai Lea, ma la distinzione tra situazioni identiche o analoghe, senza una ragione giuridicamente rilevante, integra un’inammissibile disparità di trattamento nell’erogazione delle prestazioni sanitarie e, quindi, una discriminazione che, oltre a negare il diritto alla salute (art. 32 Cost.), viola il principio di eguaglianza sostanziale, di cui all’art. 3, comma secondo, Cost. e il principio di imparzialità dell’amministrazione, di cui all’art. 97 Cost». 

Ed infine, così chiosano: la Regione «può esercitare il potere organizzativo in materia sanitaria, anche individuando prestazioni aggiuntive rispetto a quelle previste nei livelli essenziali di assistenza e selezionando categorie destinatarie delle medesime prestazioni aggiuntive, ma non può all’interno della categoria così individuata operare distinzioni che si pongano in contrasto con il principio di eguaglianza (nella specie, poiché la Regione ha posto a carico del Servizio Sanitario Regionale, sia pure con il pagamento di un ticket, le prestazioni di procreazione medicalmente assistita di tipo omologo, l’aver posto a carico delle coppie i costi di quella di tipo eterologo comporta l’illegittimità della scelta regionale in ragione della equiparazione tra le due tecniche disposta dalla Corte Costituzionale nella sentenza n. 162 del 2014)».

Assodato per il Consiglio di Stato che l’eterologa è essenziale per tutelare il diritto alla salute – nonostante non rientri nei Lea – che la Regione trovi i fondi per finanziarla in un modo o nell’altra. Non farlo, come ricordato prima, viola il principio di uguaglianza, di non discriminazione e di imparzialità proprio perché la Corte costituzionale aveva posto sullo stesso piano sia l’omologa che l’eterologa. Oltre alle motivazioni già prima indicate per ribattere a questa accusa del Consiglio, si potrebbe anche ricordare, ma in modo assolutamente accessorio e residuale, che le tecniche di tipo eterologo sono in parte diverse da quelle di tipo omologo. La selezione del donatore, infatti, comporta tutto un iter clinico e burocratico particolare e diverso da quello dell’omologa, che potrebbe giustificare un trattamento diverso anche in ambito amministrativo. 

Ma al di là di tutte queste sottigliezze giuridiche, rimane un dato: quei circa 600 bambini (ma la cifra forse è approssimativa al ribasso) sacrificati sull’altare dell’eterologa nel 2014, secondo l’ultima relazione del ministro della Salute (clicca qui). E sul loro diritto alla salute, alla vita e alla non discriminazione cosa ha da dire il Consiglio di Stato?