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informazione politicizzata

I giornalisti Rai scioperano solo ora, perché al governo c’è la Meloni

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Lo sciopero del sindacato UsigRai svela le intenzioni politiche di una buona parte del giornalismo del servizio pubblico. A cui fa da contraltare il sindacato UniRai, che invece difende il governo. In entrambi i casi barricate solo per interessi di bottega. 

Politica 27_04_2024

La politicizzazione del giornalismo, tanto più di quello della tv pubblica, è la vera sconfitta della libertà d’informazione. Nessuna forza politica negli ultimi cinquant’anni si è mai seriamente impegnata a riformare la Rai per trasformarla in un’azienda effettivamente pluralista e aperta all’intera società anziché sottomessa al volere dei partiti.

La lottizzazione è sempre andata bene sia alla destra che alla sinistra e ha ciclicamente suscitato mal di pancia a chi stava all’opposizione e doveva accontentarsi delle briciole di potere e di spazi di visibilità. Pertanto non ci si deve stupire di fronte al cannoneggiamento che l’Usigrai, il sindacato (non più) unico della tv pubblica, ha promosso nelle ultime settimane contro il governo, giocando di sponda con alcuni quotidiani importanti come La Stampa. L’Usigrai è da sempre vicino alla sinistra, il che è già in sé un concetto ripugnante visto che il giornalista, in base alla sua deontologia, non dovrebbe parteggiare per alcun partito e dovrebbe raccontare ai cittadini la verità sostanziale dei fatti dopo essersi impegnato a ricercarla e a verificarla. Gli stipendi dei giornalisti della Rai sono pagati con i soldi pubblici e ciò dovrebbe bastare per imporre loro un’equidistanza dalle diverse opzioni politiche e un atteggiamento super partes nel quotidiano esercizio della funzione informativa.

Analogamente ripugnante è che altri giornalisti, considerati vicini al centrodestra, anziché auspicare e favorire un vero new deal, cioè una Rai depoliticizzata e finalmente specchio del pluralismo sociale e pre-politico, abbiano deciso di costituire un sindacato contrapposto al primo, vale a dire Unirai, per portare avanti una battaglia altrettanto politica quanto quella dell’Usigrai.

La vera sconfitta del giornalismo è proprio questa: prendere atto che in una tv pubblica pagata con i soldi di tutti i cittadini, di quelli che votano a destra, di quelli che votano a sinistra ma anche di quelli che non votano o votano scheda bianca, ci sia una contrapposizione tra giornalisti che riproduce più o meno fedelmente quella che si registra nell’agone politico. Esistono schieramenti contrapposti di giornalisti che indossano un elmetto per combattere battaglie in difesa delle rispettive parti politiche che li hanno messi lì e li sostengono nei loro percorsi di carriera. Cosa abbia di servizio pubblico un sistema del genere si fa fatica a comprenderlo.

L’Usigrai ha parlato di controllo asfissiante del governo sulla programmazione della Rai e ha proclamato uno sciopero di 24 ore, con astensione dal lavoro dalle 5.30 di lunedì 6 maggio alle 5.30 di martedì 7 maggio. Ecco uno stralcio del comunicato sulle cause dell’agitazione: «Il controllo asfissiante sul lavoro giornalistico, con il tentativo di ridurre la Rai a megafono del governo, l'assenza dal piano industriale di un progetto per l'informazione della Rai, le carenze di organico in tutte le redazioni, il no dell'azienda ad una selezione pubblica per giornalisti, la mancata sostituzione delle maternità, la disdetta dell'accordo sul premio di risultato, senza una reale disponibilità alla trattativa, la mancata stabilizzazione dei colleghi precari».

Ma da Unirai (sindacato vicino al centrodestra) hanno replicato: «Di asfissiante c'è chi non si rassegna al pluralismo in Rai e insieme a qualche partito soffre la fine del monopolio. Unirai conferma di non aderire allo sciopero politico».

Il caso Scurati è stato evidentemente strumentalizzato da Usigrai per scatenare questa tempesta perfetta in piena campagna elettorale per le europee, con l’obiettivo di accreditare la visione di una Rai piegata ai voleri del governo. Sicuramente sarebbe stato meglio far parlare Scurati anziché censurarlo, ma la sostanza della questione non cambia: la Rai è da sempre politicizzata, è sempre stata egemonizzata dal governo in carica e dai partiti di maggioranza e dunque stupisce che Usigrai solo ora si accorga di questa anomalia, che è una vera patologia democratica, perché inficia alla radice il concetto di servizio pubblico radiotelevisivo e di pluralismo dell’informazione.

Anziché continuare a fare le barricate e a penalizzare l’informazione pubblica per biechi interessi di bottega perché le forze politiche e i giornalisti e dipendenti Rai non promuovono tutti insieme una riforma della Rai imperniata sul merito e sulla trasparenza nelle procedure di accesso, oltre che sul controllo dei cittadini sulla programmazione radiotelevisiva affinchè essa sia effettivamente rispettosa della variegata composizione del corpo sociale e non degli squallidi giochi di palazzo?