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ANGELUS

I martiri ci insegnano l'eroismo del perdono

Nell’Angelus della festa di Santo Stefano, il primo martire, del 26 dicembre 2015, Papa Francesco ha nuovamente ricordato i «tantissimi martiri di oggi», i cristiani perseguitati, rilevando che non c’insegnano soltanto l’eroismo della disponibilità a testimoniare la propria fede con la vita ma anche l’eroismo straordinario del perdono. "Ogni giorno abbiamo l’occasione per allenarci a perdonare, per vivere questo gesto tanto alto che avvicina l’uomo a Dio".

Ecclesia 27_12_2015
Papa Francesco

Nell’Angelus della festa di Santo Stefano, il primo martire, del 26 dicembre 2015, Papa Francesco ha nuovamente ricordato i «tantissimi martiri di oggi», i cristiani perseguitati, rilevando che non c’insegnano soltanto l’eroismo della disponibilità a testimoniare la propria fede con la vita ma anche l’eroismo straordinario del perdono.

«Il ricordo del primo martire» Santo Stefano, ha notato il Papa, «segue immediatamente la solennità del Natale. Ieri abbiamo contemplato l’amore misericordioso di Dio, che si è fatto carne per noi; oggi vediamo la risposta coerente del discepolo di Gesù, che dà la vita. Ieri è nato in terra il Salvatore; oggi nasce al cielo il suo testimone fedele». Ieri come oggi, «compaiono le tenebre del rifiuto della vita, ma brilla ancora più forte la luce dell’amore, che vince l’odio e inaugura un mondo nuovo».

La luce dell’amore è la luce di chi è disposto a dare la vita per la sua fede. Succede anche oggi nell’esperienza dei cristiani – «e sono purtroppo tantissimi – che come santo Stefano subiscono persecuzioni in nome della fede, i nostri tanti martiri di oggi». Ma «c’è un aspetto particolare, nell’odierno racconto degli Atti degli Apostoli, che avvicina santo Stefano al Signore. È il suo perdono prima di morire lapidato».

Santo Stefano imita Gesù, che sulla croce aveva detto: «Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno» (Lc 23,34). Così Stefano «piegò le ginocchia e gridò a gran voce: “Signore, non imputare loro questo peccato”» (At 7,60). «Stefano – commenta il Pontefice –  è dunque martire, che significa testimone, perché fa come Gesù; è infatti vero testimone chi si comporta come Lui: chi prega, chi ama, chi dona, ma soprattutto chi perdona, perché il perdono, come dice la parola stessa, è l’espressione più alta del dono».

«Ma – ci potremmo chiedere – a che cosa serve perdonare? È soltanto una buona azione o porta dei risultati?». Stefano muore comunque. Il dono del perdono non serve a nulla, è solo retorica? «Troviamo una risposta – suggerisce Francesco – proprio nel martirio di Stefano. Tra quelli per i quali egli implorò il perdono c’era un giovane di nome Saulo; costui perseguitava la Chiesa e cercava di distruggerla (cfr At 8,3). Saulo divenne poco dopo Paolo, il grande santo, l’apostolo delle genti. Aveva ricevuto il perdono di Stefano. Possiamo dire che Paolo nasce dalla grazia di Dio e dal perdono di Stefano».

Il perdono è sempre fecondo. I suoi frutti non si vedono subito, ma sono reali. «Anche noi nasciamo dal perdono di Dio. Non solo nel Battesimo, ma ogni volta che siamo perdonati il nostro cuore rinasce, viene rigenerato». Anche per noi, «ogni passo in avanti nella vita di fede porta impresso all’inizio il segno della misericordia divina. Perché solo quando siamo amati possiamo amare a nostra volta».

Il Papa allude ancora una volta – è un grande tema dell’Anno Santo – al sacramento della confessione: «se vogliamo avanzare nella fede, prima di tutto occorre ricevere il perdono di Dio; incontrare il Padre, che è pronto a perdonare tutto e sempre, e che proprio perdonando guarisce il cuore e ravviva l’amore. Non dobbiamo mai stancarci di chiedere il perdono divino, perché solo quando siamo perdonati, quando ci sentiamo perdonati, impariamo a perdonare».

Certo, anche dopo la confessione per noi perdonare «non è cosa facile, è sempre molto difficile». Come sempre, Francesco invita a cominciare dalle piccole cose, dallo «scusare i piccoli o grandi torti che subiamo ogni giorno». Per questo occorre partire «dalla preghiera, come ha fatto Stefano. Si comincia dal proprio cuore: possiamo affrontare con la preghiera il risentimento che proviamo, affidando chi ci ha fatto del male alla misericordia di Dio: “Signore, ti chiedo per lui, ti chiedo per lei”. Poi si scopre che questa lotta interiore per perdonare purifica dal male e che la preghiera e l’amore ci liberano dalle catene interiori del rancore».

Vivere nel rancore è brutto. Ma «ogni giorno abbiamo l’occasione per allenarci a perdonare, per vivere questo gesto tanto alto che avvicina l’uomo a Dio. Come il nostro Padre celeste, diventiamo anche noi misericordiosi, perché attraverso il perdono vinciamo il male con il bene, trasformiamo l’odio in amore e rendiamo così più pulito il mondo». È una delle lezioni di Santo Stefano, e dei tanti martiri dei giorni nostri.